Per essere un buon degustatore, basta impegnarsi ed imparare o senza genetica è uno sforzo vano? Le teorie in proposito si rincorrono e si smentiscono a vicenda da tempo, e l’ultimo studio, “Wine Expertise Predicts Taste Phenotype”, curato dai professori. John Hayes e Gary Pickering, del Penn State’s Department of Food Science e della Brock University Cool Climate Oenology & Viticulture Institute, pubblicato sull’American Journal for Enology & Viticulture, dimostra come la capacità di riconoscere il sapore amaro sia in realtà dovuta ad un gene, presente in molti degustatori, ma anche nella gente comune, seppur in percentuali inferiori. L’esperimento ha coinvolto 330 partecipanti, divisi in due gruppi, “esperti” e “consumatori”, a cui è stato chiesto di “assaggiare” un disco di carta trattato con alcune gocce della sostanza chimica 6-n-propylrhioueacil, chiamata anche “Prop”. Alcune persone trovano che il Prop (adottato ampiamente come indicatore della variabilità del gusto) sia assolutamente insapore, altri lo trovano estremamente o leggermente amaro, ed il tutto per un gene, il TAS2R38. Ma attenzione ad arrivare a facili conclusioni: un vino si giudica soprattutto nella sua interazione tra olfatto e gusto, ed anzi, è proprio nel naso che gli aromi si aprono e si lasciano scoprire, basti pensare all’impossibilità di degustare quando si è raffreddati. In definitiva, nonostante l’importanza di riconoscere il gusto amaro, non è un gene a fare grande un degustatore, ma l’esperienza e la perseveranza, anche perché, tra i migliori “nasi” del mondo, sono in molti a non avere il gene TAS2R38.
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