Le uve bianche e rosse dell’annata 2012 sono ormai diventate vino e dalle previsioni è ora possibile formulare i primi giudizi definitivi. Non sarà un’annata che rimarrà nella storia, ma, certamente, non sarà nemmeno così debole come ci si poteva aspettare nei mesi estivi, quando la situazione, per effetto di un clima a dir poco torrido, sembrava davvero al limite. Certo le quantità di vino sono scarse con le rese delle uve in vino, in alcuni casi, da record negativo, ma anche questo potrebbe rivelarsi un dato tendenzialmente positivo, con i prezzi degli sfusi in ascesa anche in zone che nel recente passato ne avevano visto una contrazione drammatica.
Una vendemmia che, comunque, sarà ricordata almeno per la sua difficoltà. A segnarla inequivocabilmente la siccità, il calore - quest’ultimo elemento una non-novità visti gli andamenti delle temperature nei mesi estivi a partire almeno dalla raccolta del 2000 - e l’anticipo del taglio, inevitabile, in generale, per i vigneti piantati più di recente con portainnesti meno produttivi, sesti d’impianto stretti e produzioni a ceppo sempre più ridotte, nonché con varietà (e cloni) precoci.
Ma l’annata 2012 sarà ricordata anche per i suoi effetti, spesso imprevedibili, sulle diverse reazioni fisiologiche dei vigneti, quelli più vecchi, quelli meglio coltivati ..., sulle varietà semi-tardive o tardive e sui diversi terroir, con quelli storicamente più sfavoriti, per esempio, da esposizioni a nord, che si sono trasformati in areali interessanti perché capaci di “resistere” meglio alle sollecitazioni di un clima sempre più “tropicalizzato”.
Molte di queste difficoltà sono note a chi ha come obbiettivo enologico quello di produrre vini originali e inimitabili, cioè i grandi vini, e sono condensate, per esempio, in quanto da anni va dicendo Denis Dubourdieu, dell’Università di Bordeaux: “Grazie alla diffusione delle conoscenze è possibile oggi produrre vino in diverse parti del mondo. Le condizioni necessarie sono ben note: clima caldo e relativamente secco, possibilità tecnica e regolare di irrigazione”. Ma “i vitigni - prosegue l’enologo bordolese - si esprimono al loro meglio se possono raggiungere la piena maturità al termine di un ciclo vegetativo lungo. Le uve non sufficientemente mature, oppure quelle stramature, non permettono di ottenere vini tipici. Se dalle prime si ottengono sempre pessimi vini, dalle seconde, ancorché senza difetti, si ottengono vini che si assomigliano indipendentemente dall’origine, con una capacità di invecchiamento limitata. I vini tipici e da invecchiamento vengono ottenuti essenzialmente da varietà coltivate al loro limite settentrionale nell’emisfero nord, o meridionale nell’emisfero sud. È il caso del Merlot e dei Cabernet a Bordeaux, o del Sangiovese in Toscana. Dunque tipicità e grandezza di un vino si ottengono solamente in situazioni limite. Il terroir non è un privilegio, né un dono della natura, come troppo spesso si sostiene. È piuttosto il superamento di un handicap naturale”.
Insomma, la vendemmia 2012 potrebbe diventare un vero e proprio “confine” e ricordarci che il fattore tecnico, sia in campo che in cantina, diventerà sempre più determinante per cercare di continuare, almeno alle nostre latitudini, a ricercare un equilibrio, condizione necessaria per produrre vini originali, inimitabili e di grande livello. Per, intanto, offre di sicuro un panorama variegato e sfaccettato, dove c’è spazio anche per le eccezioni, evidentemente, ma che, in generale, conferma che si tratta di un’annata che non potrà restare negli annali dal lato qualitativo. Un dato che, pur cercando il massimo del relativismo, difficilmente uscirà da una “matematica” relazione fra mancanza di precipitazioni e grande caldo, che ha indotto nelle uve la perdita degli aromi e nella pianta il blocco della fotosintesi con arresto nei frutti della maturazione fenolica, accanto all’accrescimento delle gradazioni alcoliche e ad un calo delle acidità. Risultato? Vini buoni, piacevoli, ma poco propensi a sfidare il tempo e a conquistare le vette dell’eccellenza.
Se i bianchi sono ormai in fase di definizione, nelle vasche dei rossi alcune partite sono ancora in macerazione, ma ormai i giochi sono fatti. Ecco allora il parere di alcuni degli enologi più importanti d’Italia, attesi ad un primo riscontro del lavoro svolto nella raccolta 2012.
“Chi ha osato, aspettando che le viti si reidratassero, e ha raccolto più tardi - spiega Leonardo Valenti, professore di viticoltura all’Università di Milano e consulente di aziende del calibro della franciacortina Castello Bonomi, della veneta Paladin e dell’umbra Caprai - si è trovato con dei prodotti interessanti. Chi, invece, non ha avuto pazienza, non potrà certo contare su partite di valore. Guardare alla fisiologia della pianta e ai suoi diversi comportamenti è stato decisivo. Nei vigneti dove già preesisteva poco equilibrio, vegetativo o produttivo, il caldo ha inciso maggiormente. I risultati, in generale - conclude Valenti - sia nei bianchi che nei rossi, sono discreti, non certo fantastici”.
Carlo Ferrini, winemaker delle griffe toscane Castello di Fonterutoli, Barone Ricasoli e Mps Tenimenti, dell’abruzzese Valle Reale, da Casanova di Neri e Castello Romitorio (a Montalcino), della siciliana Tasca d’Almerita, della trentina San Leonardo, si dichiara soddisfatto “viste le premesse. Certo, in qualche zona i precoci sono andati in crisi, soprattutto nelle zone più calde, ma i vitigni tardivi hanno risposto tendenzialmente bene anche con dei risultati molto belli e questo in tutta Italia. Un’annata precoce ma, alla fine, non come la 2011. Non sarà l’annata del secolo - conclude Ferrini - tuttavia la qualità è buona, magari senza picchi verso l’alto”.
“Tutto sommato, benché non possa essere considerata tra le migliori - spiega Riccardo Cotarella, il winemaker italiano forse più conosciuto nel mondo - nella vendemmia 2012 ce la siamo cavata. Certo i vini avranno le caratteristiche di un’annata calda, ma non mancheranno, mediamente, di piacevolezza. La questione più spinosa - prosegue Cotarella - resta quella della quantità che oscilla tra il -15 e il -20% con punte anche di -30%, con un aumento della produzione rilevabile solo in Sicilia, che veniva però da un 2011 di produzione decisamente ridotta all’osso, e una sostanziale tenuta della Puglia. Le recenti stime delle associazioni di categoria, invece, parlano di un decremento del 3% sul 2011. Spero che si sbaglino, altrimenti dovremmo pensare ad una vendemmia diversa …”.
“Il vero dramma di quest’annata - afferma il flying winemaker Roberto Cipresso - è il calo quantitativo, con rese in certi casi ridicole. Dopo grandi sforzi per portare in fondo una vendemmia difficile, i costi per questo lavoro potrebbero addirittura non essere compensati dal volume del prodotto. Un’annata molto calda che però non sembra aver compromesso la qualità dei vini, specialmente di quelli ottenuti raccogliendo un po’ più tardi”.
“In linea generale - spiega Lorenzo Landi, enologo consulente di cantine come Lungarotti in Umbria, Rocca delle Macìe in Toscana, Fazi Battaglia nelle Marche e Cottanera in Sicilia - conferma le sue premesse. I vini non sono male, ma i bianchi sono un po’ in debito di aromi e freschezza e i rossi non sembrano fra i più espressivi. Ci sono zone dove le cose sono andate meglio come in Friuli, Abruzzo, Etna e Sardegna, ma tendenzialmente parliamo di un’annata non destinata ad entrare nella storia”.
Per Vincenzo Mercurio, giovane enologo emergente con consulenze in Sardegna, Puglia, Basilicata e Campania, “la vendemmia 2012 è stata veramente difficile ed è stato necessario “navigare a vista”, ma non sono mancate alcune sorprese, come nel caso dei Taurasi. Le zone tardive dell’Irpinia hanno recuperato, nel processo di maturazione tannica, originando vini dai tannini più docili ed equilibrati. Anche in Basilicata, la vendemmia si è un po’ “raddrizzata” e in Calabria il Gaglioppo, specialmente quello raccolto più tardi, ha ripreso equilibrio. Ci sono prodotti interessanti, in generale, i vini sono piacevoli ma nulla di più”.
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