Non si sa ancora dove si poserà (ha già toccato Stati Uniti e Cina, ma non si fermerà) e come (su quali strumenti di comunicazione). L’unica certezza è che si vuol far volare, sostenuta soprattutto dai produttori vinicoli prima, agroalimentare poi, per portare ancora di più, e possibilmente più unita, l’immagine della Toscana nel mondo. È la “farfalla” (marchio ormai sdoganato da tanti casi celebri, dal logo della Rai al tatuaggio di Belen Rodriguez fino al braccialettino di Cruciani) di “Tuscany Taste”, ovvero il nuovo logo, la nuova immagine “istituzionale” del vino (ma in futuro dell’agroalimentare regionale) creata dalla Regione Toscana, ideata da Lorenzo Marini (direttore creativo e presidente di Lorenzo Marini Group). “Era una scelta strategica del Presidente Rossi - spiega l’assessore all’Agricoltura della Toscana, Gianni Salvadori - trovare un logo che non fosse della Regione in quanto istituzione, ma a disposizione di chi vuole usarlo, e che identificasse “Toscana e agroalimentare”. Uno strumento, per il quale, ad oggi, sono stati spesi meno di 150.000 euro del bilancio regionale in capo a Toscana Promozione, a disposizione di chi vuole usarlo, e sono convinto che solo insieme si può insieme dalle difficoltà in cui anche noi siamo, come tutti. Con l’unità e con questa Toscana che è tanta eredità e passato, ma deve essere anche innovazione e futuro, che è “smart” e frizzante, e vuole offrirsi sempre di più al mondo. Dobbiamo toglierci di dosso un po’ di presunzione, convinti delle nostre radici, ma guardando al futuro”.
E al futuro guarda la “farfalla”: “viviamo nel tempo del brand e dell’immagine obbligatoria, questo simbolo vuole essere il perno di un sistema comunicazione, che può essere una campagna pubblicitaria o altro. L’importante é fare squadra, se tante perle non hanno filo di seta che le unisce non sono un gioiello, sono perle sciolte. Dobbiamo raccontare promesse, e queste “due toscane” messe insieme, sovrapposte, che compongono le ali della farfalla, non sono solo luogo geografico. Sono vino che è energia viva, motrice, che prende forma. Abbiamo bisogno di un sogno, di storie da raccontare, e un simbolo come questo da grande spazio interpretativo, ognuno di noi ci vede delle cose. Abbiamo associato a questa forma la Toscana non per dire ciò che esiste ed è conosciuto (i paesaggi, i cipressi e così via), ma quello che potrà essere. Ci appoggiamo ad un substrato di cultura già condiviso, per trasformare un marchio in un brand, in forma contemporanea”.
La presentazione di un nuovo marchio è anche l’inizio di un percorso. E per partire con i passi giusti, è fondamentale riflettere anche sul futuro della comunicazione e del vino italiano.
“Io mi auguro che questo battito d’ali - ha detto Giacomo Mojoli, consulente di marketing territoriale e docente del Politecnico di Milano - venga percepito in tutto il mondo. La grande sfida non è nel bicchiere, ma in ciò che sta fuori e che deve essere raccontato. Il vino non ha tenuto conto della contemporaneità, alla fine non ne abbiamo mai intercettato i linguaggi, lo abbiamo sempre pensato come qualcosa di autoreferenziale a certi mondi che se la raccontavano tra loro. La comunicazione oggi non deve fare quell’errore, ma neanche banalizzarsi. Oggi la scommessa è rendere eccezionale la normalità: non dobbiamo parlare più di eccellenze esclusive, di territori inarrivabili: c’è voglia di semplicità, che è difficile a farsi, ma riuscire a farsi capire è l’obiettivo dei territori del vino. E proporre, anche attraverso i prodotti, esperienze replicabili. Quando uno entra in contatto con l’esperienza del cibo e del vino, deve poterla rivivere esperienza a casa, altrimenti non funziona”.
Come realizzare tutto questo?
“Serve il coraggio di “ibridare” - spiega Felice Limosani, “digital story teller” ed esperto di comunicazione non convenzionale - sparigliare, non attingere più solo ai linguaggi ed ai concetti del mondo di riferimento, in questo caso, del vino. La cosa fondamentale è capire il linguaggio più appropriato per raccontare la propria identità, la propria verità”.
Perché “Veritas”, uno dei concetti che nelle intenzioni della Regione accompagnerà il marchio, “è una delle parole e dei concetti chiave, che fanno la differenza in momenti di crisi come questo, che poi è un periodo di transizioni ad altri paradigmi, di cambiamento strutturale. Uno di quei momenti in cui si fanno i conti con la verità, ciò che è davvero buono e bello, e credo che questo lavoro abbia la forza “maieutica” di tirare fuori la forza del gusto accessibile e originale, perché noi non siamo lusso, siamo territorio, e questo dobbiamo raccontare. E fino ad ora in tanti hanno raccontato tante balle. Ed un altro concetto chiave è quello di “conoscenza”: anche il vendere, oggi è sempre più ancorato ad una conoscenza diffusa, ovvero allo sperimentare e condividere la propria esperienza, e questo ce lo consentono benissimo i social network, che fino a pochi anni fa non esistevano. Dobbiamo muoverci su chi cerca conoscenza e passione per la Toscana e per l’Italia: per affrontare la globalizzazione non è necessario essere grandi, ma essere aperti per arrivare al mondo”.
Tornando alla “farfalla”, il tempo dirà se riuscirà a diventare un filo rosso capace di legar in modo convinto i produttori di tutti i territori toscani, di “martellare” la comunicazione e di essere raccolto anche dalla rete per creare un marketing virale in grado di portare benefici concreti ai produttori. O se, come nessuno, ovviamente si augura, avrà la vita breve delle farfalle vere.
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