La politica crede sempre di più, concretamente, a quanto pare, nella valorizzazione del vino e dell’enogastronomia come risorsa per il rilancio dell’economia italiana. I segnali sono tanti, e dopo la sfida lanciata dal Premier Matteo Renzi a Vinitaly di portare l’export enoico a 7 miliardi di euro in pochi anni, e l’attivismo del Ministro delle Politiche Agricole Mauro Martina (dal Padiglione Vino ad Expo a #Campolibero, passando per il “testo unico” del vino), ora arriva anche l’impegno del viceministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda a confermarlo.
Il nettare di Bacco, infatti, al pari di altre eccellenze del made in Italy, sarà “al centro del più grande piano di promozione mai visto - ha detto (e di cui si attendono i dettagli ed il budget, ndr) - che passerà anche dalla valorizzazione di eventi top, in questo caso Vinitaly, per esempio”. Ma l’attenzione dello Sviluppo Economico sul vino è alta: “è un elemento portante dell’economia italiana - ha detto Calenda - e non ha un problema di visibilità all’estero, ma semmai di riconoscimento. Sul mio tavolo ho un dossier sul Prosecco in Australia, per esempio, dove sono riconosciute la Doc e la Docg, ma c’è anche il Prosecco generico australiano. Stessa cosa, in parte, in Cina. Dobbiamo lavorare su questo, e anche sulla promozione. E dialogare con la distribuzione straniera. In Cina, per esempio, prendendo a modello i francesi, che hanno messo insieme i 15 brand più importanti, affidati alla distribuzione di un soggetto privato, ma con sostegno del pubblico, e oggi esportano 10 volte l’Italia. E, ancora, investiremo in formazione e condivisione di export manager, visto che sono poche le aziende del vino che possono permettersene uno, ma è una figura senza la quale l’internazionalizzazione si realizza male. E, più in generale, vogliamo dire basta ad iniziative più “ludiche” che incisive, come successo in passato. In questo senso, c’è in vista la riorganizzazione dell’Ice, e un cambio di rotta sull’utilizzo dei soldi pubblici: si spendono in base a quello che le rappresentanze delle imprese ci dicono, perché le esigenze di chi produce non si decidono nei Ministeri. Abbiamo, come politica, il dovere di farci perdonare tante cose dalle imprese”.
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