Tra gestioni familiari storicamente restie, esclusi pochi casi eccellenti, all’apertura a capitali e management esterno, peculiarità del settore come il ciclo produttivo lento, o la grande patrimonializzazione immobiliare, nonché la frammentazione della dimensione aziendale, quello tra mondo del vino italiano e mondo della finanza e del credito è, da sempre, un matrimonio complicato. Anche se il settore è molto attrattivo, e non mancano strumenti finanziari più moderni che potrebbero essere sfruttati meglio, come i minibond, il private equity, le partnership istituzionali e così via, senza averne timore, ma studiandoli bene. Emerge dal Forum “Wine2Wine” (www.wine2wine.net) dal workshop “Strumenti finanziari per crescere”, di scena oggi a Verona.
“Il mondo del vino italiano è particolare, visto da quello del credito e della finanza - ha detto Gabriele Barbaresco dell’Ufficio Studi di Mediobanca - perché, da un lato, è solido, ben capitalizzato, e attira investimenti a lungo termine, ma avendo un ciclo produttivo lento ed una redditività più bassa di altri settori dell’alimentare, magari, attira poco gli investitori di borsa. E questo è un peccato, perché dove ci sono società quotate in borsa, per esempio in Nord America, si vede che spesso quei titoli performano meglio della media. Certo, rimangono dei limiti strutturali: la nostra più grande azienda, per esempio, fattura solo il 5% dell’intero settore, a differenza di quanto avviene in altri Paesi dove si parla di decine e decine di punti percentuali, e questo non attira chi opera in borsa”.
E allora, visti i problemi di accesso al credito bancario delle imprese, come trovare capitali per investire e crescere? “Gli strumenti ci sono, ma il mondo del vino deve imparare a conoscerli meglio - ha spiegato Vincenzo Capizzi, docente di Intermediazione Finanziaria e Assicurazioni alla Sda Bocconi - e guardarli con meno diffidenza. Parlo dei “minibond”, per esempio, che una serie di provvedimenti di legge, dal 2012, come il “Salva Italia” o il “Destinazione Italia”, hanno aperto anche alle piccole imprese agricole. Possono emetterli, per esempio, alche spa ed srl con fatturato superiore ai 2 milioni di euro, quindi con parametri anche al di sotto di quelli delle Pmi, a patto che non siano già quotante, che non siano start-up, e quindi esistano da almeno 4 anni, e abbiano l’ultimo bilancio inutile. Ma attenzione: sono strumenti che servono a raccogliere capitale per fare investimenti, non per raccogliere fondi a basso costo per pagare, magari, debiti od obbligazioni pregresse che non si è riusciti a pagare”.
Certo, ci sono anche i partner istituzionali come Isa, “che è una società di intermediazione finanziaria totalmente controllata dal Ministero delle Politiche Agricole - ha detto il direttore dell’Area Investimenti Angelo Aiello - ma che agisce come una spa, con strumenti come il mutuo ipotecario, che riusciamo ad erogare con fondi nostri, ma anche con ingressi nei capitali delle aziende, ovviamente non a fine speculativo, e con un orizzonte di medio-lungo termine, sui 7-10 anni”.
Ma la vera risorsa da scoprire, per il mondo del vino, è il private equity, come ha sottolineato Andrea Fedi, avvocato dello Studio Legance. “Nei prossimi 30, al vino e all’alimentare, succederà quello che è successo alla moda. C’erano marchi, famiglie, e sarti di altissimo livello: oggi alcuni sono scomparsi, altri finiti dalle boutique alle bancarelle, altri sono andati all’estero, altri che non erano al top ci sono arrivati, invece, perché hanno sfruttato le opportunità. E la stessa cosa, sono sicuro, accadrà ad agroalimentare e vino. Come prepararci a questo cambiamento? Partendo dalla presa d’atto che “piccolo non è bello”, a tutti i costi, ma che di sicuro “piccolo è piccolo. E per prepararsi all’internazionalizzare, a vendere di più all’estero, si deve essere più grandi. E per crescere, il capitare migliore rimane quello di rischio, ovvero quello che non vuole interessi e non deve essere restituito, ma che investe in un progetto di impresa. E se è vero che i fondi di private equity spesso sono degli squali, è altrettanto vero che ci sono strumenti per mettergli una museruola - spiega Fedi - per prendere solo il buono, solo la potenza, senza rischiare di perdere la propria identità, la propria cultura di impresa, la propria autonomia. E poi, non ultimo, ci sono le reti di impresa, importantissime, anche perché ad agosto è uscito un decreto ad hoc per quelle tra imprese agricole, sono uno strumento che può dare grandi risultati”.
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