L’export di vino dei Paesi Ue in Usa funziona: nel 2013 ha fruttato alle cantine europee 2,5 miliardi di dollari, con una crescita del 43% dal 2008, e con l’Italia leader assoluta in valore, con più di 1 miliardo. Il tutto anche grazie ad un accordo tra States ed Unione Europea del 2006 che ha risolto tante questioni, ma ne ha lasciate aperte molte altre, che la filiera del vino del Belpaese vorrebbe risolvere nel Ttip, il “Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti”, in via di definizione e che dovrebbe chiudersi nel 2015, come spiegato oggi a Roma nell’incontro promosso da Unione Italiana Vini, guidata da Domenico Zonin.
Tra le questione irrisolte, per esempio, c’è quella delle barriere tariffarie, pesanti, per i produttori europei, più da un punto di vista burocratico che economico tout court, visto che si parla di 0,131 euro a litro per i vini fermi imbottigliati e di 0,32 euro per gli spumanti che prendono la via delle Americhe, e irrisorie per i pochi vini americani che procedono in direzione inversa, 0,068 dollari per i vini fermi, e 0,198 dollari per gli spumanti. E allora, la proposta, è di azzerarli reciprocamente, e di andare verso la maggiore armonizzazione normativa possibile nel settore vino Usa Ue. Semplificando, per esempio, le norme sull’etichettatura, o risolvendo la questione delle 17 indicazioni geografiche “semigeneriche”, ovvero denominazioni europee che anche gli americani possono utilizzare per i loro prodotti perché nel loro sistema (basato sui marchi commerciali registrati) descrivono un tipo di vino più che una provenienza geografica (è il caso di Chianti e Marsala per l’Italia, ma ci sono anche Champagne e Burgundy per la Francia, per esempio), sulle quali l’Europa vorrebbe riconosciuta la tutela, perché il loro uso, per altro appannaggio di pochissimi produttori americani, rischia di essere fuorviante per i consumatori.
Tema questo, però, sul quale ad oggi non sembra esserci una sensibilità così spiccata da parte degli americani, come ha spiegato Katherine Hadda, Ministro Consigliere agli Affari Economici dell’Ambasciata Usa in Italia.
Ma c’è anche la questione del riconoscimento e della definizione di “vino biologico”, che segue norme diverse sulle due sponde dell’Atlantico, per non parlare del fatto che, mentre i Paesi dell’Unione Europea riconoscono automaticamente le risoluzioni dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino, questo non accade in Usa che non aderisce all’Oiv.
Insomma, la richiesta forte è quella di andare verso una semplificazione che favorisca gli scambi commerciali enoici tra i due mercati, rimuovendo, di fatto, tutte quelle barriere doganali, economiche e non (e che pesano fino al 30% sul business, più dei dazi tout court, ndr), che ancora oggi esistono, ma anche le condizioni perché se ne creino di nuove con l’evoluzione delle normative. Magari dematerializzando e riducendo i documenti per l’esportazione, semplificando le procedure di accreditamento e riconoscimento di importatori e distributori, ed istituendo un gruppo di lavoro bilaterale permanente, nell’ottica di una maggiore trasparenza ed efficienza, evitando di gravare gli operatori di oneri burocratici ed economici spropositati.
Il tutto nel quadro di un accordo importante, il Ttip, ma anche difficile, come ha ricordato Felice Assenza, dg Politiche internazionali e dell’Unione Europea del Ministero delle Politiche Agricole, “visto che gli scambi Usa-Ue rappresentano il 46% del commercio mondiale, e che presenta grandi opportunità anche per il vino e per l’agricoltura italiana, ma anche aspetti sui quali è bene lavorare in maniera approfondita e con il dialogo”.
Dialogo che è la strada battuta, dall’Unione Europea, anche in Cina, dove il vino Ue rappresenta il 65% di tutto il vino esportato nel Paese asiatico, con la Francia che pesa per il 75% e con l’Italia che segue, a distanza con il 9% del totale del Vecchio Mondo. Ecco perché c’è ancora da lavorare tantissimo, in un mercato che, comunque, per il Belpaese, è passato da 40 milioni di euro in valore nel 2010 ai 74 del 2013, ma dove l’Italia non è ancora percepita, dalle masse, come Paese produttore di vino. E anche qui, oltre a delle barriere tariffarie decisamente più elevate che in Usa (una tassa del 10% al consumo, a cui si aggiunge un dazio del 14% per il vino imbottigliato e del 20% per lo sfuso), c’è il problema di barriere come i regolamenti su prodotti fitosanitari autorizzati in Ue ma vietati in Cina, continua richiesta di nuove documentazioni e certificazioni tradotte in cinese e così via. Nonché il tema del riconoscimento delle indicazioni geografiche: nel trattato bilaterale in corso tra Ue e Cina ce ne sono già 100 in elenco, di cui 14 del vino italiano, su cui sembra in dirittura d’arrivo il riconoscimento e la tutela in tutto il territorio cinese, a cui si aggiungeranno altre 160 nei 4 anni successivi all’entrata in vigore dall’accordo. Ma, più di tutto, per far diventare la Cina quel grande mercato del vino che anche l’Italia vuole, c’è bisogno di azioni di promozione e comunicazione efficaci e mirate, con il supporto delle istituzioni. Come, si spera, sarà il progetto “Vino Italiano in Cina” che nel 2015 sarà finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico, di cui i produttori attendono, a breve, i dettagli.
Focus - Ue-Usa, il coordinatore della Commissione Agricoltura del Parlamento Ue Paolo De Castro avvia confronto sul Ttip per il settore agroalimentare tra rappresentanti degli agricoltori, delle cooperative e degli industriali del settore
“I rischi e le opportunità per il settore agroalimentare nel negoziato Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra l’Ue e gli Usa, sono al centro di un ampio confronto, avviato oggi a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo, tra i rappresentanti degli agricoltori, delle cooperative e dell’industria agroalimentare. “La posta in gioco è troppo importante per l’Europa, perché siano messi in evidenza solo i rischi di un accordo non soddisfacente per i nostri standard”, ha detto Paolo De Castro, organizzatore dell’iniziativa e coordinatore alla Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo, dove ricopre anche il ruolo di relatore per i negoziati Ue-Usa.
“Occorre invece - ha aggiunto - riflettere ed avere a disposizione tutte le informazioni, sia dal punto di vista dei rischi, ma anche delle opportunità, rispetto ad un mercato Usa che conta 350 milioni di abitanti con un reddito pro capite del 50% più elevato di quello europeo”. Del resto, nell’interscambio con gli Stati Uniti, l’Ue vanta un saldo attivo di 6 miliardi di euro, la cui tendenza è in crescita negli ultimi anni. In concreto, precisa De Castro, l’Ue esporta negli Usa di più di quanto importa, “pertanto abbiamo voluto incontrare il mondo della produzione per discutere con i rappresentanti del commercio internazionale e dell’agricoltura delle responsabilità che abbiamo su questo accordo”. De Castro conclude ricordando che “il Parlamento Ue ha potere di veto quindi - dice - i negoziatori ci devono convincere altrimenti è chiaro che prima il Parlamento Europeo e poi i Parlamenti nazionali, alla ratifica voteranno contro”.
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