Con l’export delle bottiglie tricolori che molto probabilmente farà segnare un nuovo record nel 2014, l’export manager resta una figura chiave per il vino italiano. E il 29 gennaio, alla Fondazione Edmund Mach a San Michele all’Adige, con l’intervento di Federico Castellucci, già direttore della prestigiosa Organizzazione internazionale della vigna e del vino (Oiv), al Palazzo della Ricerca e della Conoscenza, ha inizio l’edizione n. 3 dell’Executive Master per export manager del vino, con un boom di iscrizioni (80 per 25 posti disponibili) da tutta Italia e dall’estero, dagli Stati Uniti alla Spagna, dal Libano all’India, all’Inghilterra.
Inaugurando la nuova edizione del Master, Castellucci parlerà del mercato mondiale del vino, con dati, tendenze e prospettive, focalizzando l’attenzione in particolare sulle possibilità e sulle difficoltà per l’Italia. L’Executive Master, promosso dal Centro Istruzione e Formazione, forma export manager nel settore vitivinicolo e si rivolge a neo-laureati, imprenditori del settore, addetti commerciali del settore vitivinicolo o dei beni di lusso o dei beni di consumo che ambiscono ad acquisire o migliorare le competenze nella gestione dell’export del vino.
Il master è in programma dal 30 gennaio al 23 maggio 2015 con formula weekend di 16 giornate formative e 126 ore in aula. I docenti sono professori universitari, ricercatori, professionisti, consulenti, tutti specialisti del settore enologico e del processo d’internazionalizzazione delle imprese. Non mancheranno le testimoniante e le esperienze di responsabili di alcune primarie aziende vinicole italiane che hanno un preciso profilo “export oriented”.
Info: www.fmach.it
Focus - La prolusione di Federico Castellucci al Master per export manager del vino della Fondazione Mach: “Il mercato mondiale di vino: dati, tendenze e prospettive per l’Italia”
“In un anno di produzione mondiale media (-6% sul 2013 ), sono sempre Italia, Francia e Spagna insieme a produrre il 47% del vino mondiale, alternandosi nella posizione di primo produttore mondiale; e, comunque, dieci Paesi producono l’80% del vino mondiale. La superficie dei vigneti continua ad aumentare nei Paesi del Nuovo Mondo (ed in Cina) e a diminuire in quelli europei, anche se la tendenza va rallentando. I consumi, dopo la forte battuta di arresto di inizio crisi (2007-2008), stentano a ripartire e cambiano i protagonisti: l’Europa consuma ora solo il 61% (era il 69% nel 2000) del vino, mentre gli Usa, passati dal 20 al 23% del consumo mondiale, e dove la crescita dei consumi di vino accompagna la crescita in valore, sono diventati il più grande singolo mercato del pianeta.
Oramai oltre il 37% del vino prodotto nel mondo viene esportato: siamo a quasi 100 milioni di ettolitri, ben oltre due volte la produzione annua italiana, ma di questi circa il 40% è costituito da vino sfuso, che rappresenta solo il 10% del valore dell’export: si spostano quindi i centri di profitto, dai Paesi produttori ai Paesi commercializzatori e distributori. Che cosa si potrebbe fare per meglio gestire questo fenomeno? Fermo restando la presenza in Paesi di export consolidato, quali sono le nuove frontiere per l’export italiano? E verso consumatori con che tipo di sensibilità? Siamo sicuri che possano comprendere appieno il complesso sistema delle Dop, o che preferiscano semplicemente un riferimento nazionale (Italia), o di origine regionale (Toscana,Trentino)? La complessa normativa vitivinicola europea ha un impatto negativo sulla capacità competitiva dei vini europei nel mondo?
L’Italia, dove i consumi di vino non riprendono, così come accade per gli altri grandi Paesi produttori, ha lavorato bene all’export in volume ed anche, abbastanza in valore, ma non basta ancora: la Francia, che esporta in volume quasi il 25% meno dell’Italia, ha un fatturato più elevato di oltre il 50% (7,8 miliardi di euro, rispetto ai 5 italiani): c’è quindi ancora da fare.
Il fenomeno spumanti ha dato nuova vivacità ai consumi ed all’export; l’Italia, con il fenomeno Prosecco, si è rivelata ancora una volta dinamica, ma il trend va consolidato e vanno meglio studiati fenomeni e potenzialità particolari, come quello di Singapore, che, negli ultimi tre anni, è stato il principale importatore di Champagne destinato al continente asiatico”.
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