02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

Cresce (10%) e vale 15,4 miliardi di euro il business agroalimentare della criminalità italiana. Che investe tutto il Paese e tutta la filiera. A dirlo il “Rapporto Agromafie” n. 3 di Coldiretti, Eurispes e “Osservatorio criminalità agricoltura”

Se l’economia “pulita” in Italia è in frenata, quella criminale cresce a doppia cifra: +10% per il business della criminalità organizzata nell’agroalimentare del Belpaese, che nel 2014 ha toccato il valore di 15,4 miliardi di euro. È il dato saliente del “Rapporto Agromafie” n. 3 di Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, di scena oggi a Roma.
Con la mafia che, sempre più spesso, ricicla soldi sporchi nel settore, anche con i 5.000 tra ristoranti, bar e locali vari che si stimano in mano alle organizzazioni malavitose. Ma che reinveste anche i soldi puliti in attività criminali, con il cosidetto “money dirtying” che, secondo il Rapporto, sposta ogni anno almeno 1,5 miliardi di euro dall’economia sana a quella illegale.
Con modalità di azione che non ormai riguardano non solo una parte del Paese, il Mezzogiorno, ma tutto il territorio nazionale. E che non lasciano nessun settore di attività illeso: dall’agricoltura tout court alla ristorazione, dall’agriturismo alla produzione di energie alternative, fino alla distribuzione.
“Produzione, distribuzione e vendita sono sempre più penetrate e condizionate dal potere criminale - spiega il rapporto - esercitato ormai in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato, l’imposizione degli stessi modelli di consumo e l’orientamento delle attività di ricerca scientifica. Non vi sono zone “franche” rispetto a tali fenomeni. Mentre è certo che le Mafie continuano ad agire sui territori d’origine, perché è attraverso il controllo del territorio che si producono ricchezza, alleanze, consenso: specialmente nel Mezzogiorno, costretto ad aggiungere alla tradizionale povertà gli effetti di una crisi economica pesante e profonda, aggravata dalla “vampirizzazione” delle risorse sistematicamente operata dai poteri illegali. I capitali accumulati sul territorio dagli agromafiosi attraverso le mille forme di sfruttamento e di illegalità hanno bisogno di sbocchi, devono essere messi a frutto e perciò raggiungono le città - in Italia e all’estero - dove è più facile renderne anonima la presenza e dove possono confondersi infettando pezzi interi di buona economia. Vengono rilevati, attraverso prestanome e intermediari compiacenti, imprese, alberghi, pubblici esercizi, attività commerciali soprattutto nel settore della distribuzione della filiera agroalimentare, creando, di fatto, un “circuito vizioso”: produco, trasporto, distribuisco, vendo, realizzando appieno lo slogan “dal produttore al consumatore”.
“L’incremento - sottolineano Coldiretti, Eurispes ed Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare - è stato determinato da diversi fattori tra i quali questi alcuni non prevedibili, come quelli climatici, che hanno colpito pesantemente la produzione, non più in grado di soddisfare la domanda, ciò che apre le porte a fenomeni di ulteriore falsificazione e sfruttamento illegale dei nostri brand; altri, dovuti alle restrizioni nell’erogazione del credito alle imprese che hanno portato o alla chiusura di numerosissime aziende o alla necessità per molti imprenditori di approvvigionarsi finanziariamente mediante il ricorso ad operatori non istituzionali”.
Il fenomeno delle “agromafie” investe ambiti complessi e articolati, dove il sistema mafioso originato nelle radici antiche delle mafie del latifondo, dei gabellieri e dell’abigeato si è da tempo rigenerato in forme di vera e propria criminalità economica, ad opera di ben strutturati ed invasivi gruppi di interesse con ramificazioni diffuse anche sul piano transnazionale. È attraverso queste forme di imprenditorialità criminale che viene assicurato innanzitutto il riciclaggio degli illeciti patrimoni che provengono dal traffico di stupefacenti, dal racket e dall’usura, ma vengono anche consolidate le nuove forme di controllo del territorio in cui i soggetti criminali sono veri e propri soggetti economici che operano con i metodi del condizionamento dei mercati e degli appalti, della corruzione dei pubblici funzionari, dello sfruttamento della manodopera clandestina e dell’accesso illecito ai finanziamenti europei e alle altre pubbliche sovvenzioni. Gli interessi criminali sono rivolti anche alle forme di investimento nelle catene commerciali della grande distribuzione, nella ristorazione e nelle aree agro-turistiche, nella gestione dei circuiti illegali delle importazioni/esportazioni di prodotti agroalimentari sottratti alle indicazioni sull’origine e sulla tracciabilità, della macellazione e della panificazione clandestine, dello sfruttamento animale e del doping nelle corse dei cavalli, e lucrano anche sul ciclo dei rifiuti, non curandosi delle gravi conseguenze per la catena agroalimentare, per l’ambiente e la salute di tutti noi e delle future generazioni.
“Singolare in questi contesti - si legge in una nota -è anche il livello delle intese trasversali raggiunte, vere e proprie joint venture realizzate da famiglie mafiose, ’ndranghetiste e camorriste per definire i loro ambiti di influenza su prodotti alimentari specifici, sulla manodopera, sui trasporti e sulle forniture del packaging. Il rafforzamento del profilo economico e finanziario dei gruppi “criminali storici” vede un continuo inserimento di elementi contigui ai sodalizi nella gestione e/o nella struttura societaria di imprese che riguardano sempre più frequentemente il comparto agroalimentare, specie con riferimento ai circuiti della commercializzazione e della logistica dei trasporti. Il ciclo illegale dei rifiuti, della cementificazione e delle “energie alternative”. Il settore ambientale vede anche altre iniziative che hanno sottratto vaste aree agricole con la cementificazione selvaggia e con manovre speculative sulle cosiddette “energie rinnovabili” legate all’agricoltura, quali i sistemi fotovoltaico, eolico e delle biomasse per i rilevanti incentivi economici previsti per il settore. Con riferimento alla estensione territoriale del fenomeno delle agromafie è altrettanto noto come i sodalizi criminali “storici”, che si sono evoluti nei termini indicati di criminalità economica anche nel settore agroalimentare, ormai non interessano solo i territori meridionali, ma riguardano anche le aree del Centro e del Nord Italia dove le consorterie mafiose si sono da tempo insinuate nel tessuto economico attraverso un fitto intreccio di interessi tra comitati d’affari locali e famiglie mafiose siciliane, clan camorristici e ’Ndrangheta calabrese. Il “modello economico-criminale” è stato dunque replicato come ben delineato in diversi riscontri investigativi: anche in questi casi si va dall’accaparramento dei terreni e della manodopera agricola al controllo della produzione, dal trasporto su gomma allo stoccaggio della merce, dall’intermediazione commerciale alla fissazione dei prezzi, fino ad arrivare agli ingenti investimenti destinati all’acquisto di supermercati o centri commerciali in cui possono trovare ambito privilegiato di impiego i proventi illeciti, anche in termini di riciclaggio”.

Focus - Coldiretti/Eurispes: con “carestia” di prodotti made in Italy è “borsa nera”, soprattutto per l’olio di oliva
Ruberie e saccheggi di olive nei campi ma anche forme di accaparramento e di commercio clandestino dell’extravergine sono solo la punta dell’iceberg dei fenomeni di illegalità che rischiano di scoppiare sul mercato del made in Italy alimentare colpito quest’anno da una vera e propria carestia nei suoi prodotti simbolo. Emerge dal terzo “Rapporto Agromafie” elaborato da Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”.
“Nel 2015 sugli scaffali dei supermercati ci sarà il 35% in meno di olio di oliva italiano, ma anche un calo del 25% per gli agrumi, del 15% per il vino fino al 50% per il miele, mentre il raccolto di castagne è stato da minimo storico, con il rischio concreto di un aumento delle frodi a tavola. A rischio sono soprattutto i cibi low cost dietro i quali spesso si nascondono, infatti, ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi ma possono a volte mascherare anche vere e proprie illegalità, come è confermato dall’escalation dei sequestri. È ormai un dato di fatto ad esempio che i consumatori vedranno sulle loro tavole oli non del tutto italiani, quando non completamente provenienti da paesi esteri. Vero è che la quota di importazioni di olio proveniente da paesi come Spagna, Turchia e Grecia era già altissima, almeno l’80%, anche prima della crisi dei raccolti. Secondo Coldiretti il mercato europeo dell’olio di oliva, con consumi stimati attorno a 1,85 milioni di tonnellate, rischia di essere invaso dalle produzioni provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente che non sempre hanno gli stessi requisiti qualitativi e di sicurezza.
Un allarme che riguarda soprattutto l’Italia, che è il principale importatore mondiale di olio per un quantitativo pari a 460mila tonnellate. Betacarotene, clorofilla, oli di semi e olio di sansa, sono i veri nemici dell’extravergine d’oliva. Il rischio infatti è che entrino nel circuito della distribuzione alimentare prodotti fortemente adulterati, manipolati attraverso l’aggiunta di additivi o imbottigliati in maniera fraudolenta. Che il calo della produzione registrato quest’anno esponga ad un incremento delle frodi lungo tutta la filiera dell’olio è dimostrato dalla recente operazione “Olio di carta” condotta dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari.
Le indagini coordinate dalla Procura di Trani, con la collaborazione della Guardia di Finanza, hanno fatto emergere un sistema complesso di frode agroalimentare in Puglia e Calabria, che si estendeva in regioni “non sospette” come Toscana e Liguria. Un giro di false fatture per oltre 10 milioni di euro relativo al commercio di più di 500,000 litri di extravergine, per un valore commerciale complessivo di 3 milioni. I controlli degli Uffici dell’Agenzia sulle aziende attive nel commercio internazionale di prodotti agroalimentari nell’ambito dei flussi esteri di olio di oliva hanno rilevato prezzi di transazione medi dichiarati su valori di 2,50 e 3 euro per kg di prodotto con la Tunisia che nel 2013 si conferma ancora il principale fornitore extracomunitario di “olio di oliva”, pur riducendo il quantitativo di prodotto esportato dalle 76.000 tonnellate del 2012 alle 62.000 tonnellate del 2013. La quota liberata nel 2013 appare, tuttavia, coperta dall’incremento delle importazioni provenienti dalla Turchia, attestate su “valori medi” sensibilmente inferiori rispetto a quelli del Paese nordafricano”.

Focus - Agromafie, allarme “Money dirtying: 1,5 mld puliti in economia sporca i capitali sani si mescolano a quelli illegali
“Oggi osserviamo un’ulteriore e ancora più pericolosa evoluzione del fenomeno criminale con il money dirtying che è esattamente speculare al riciclaggio nel quale i capitali sporchi affluiscono nell’economia sana; per contro, nel money dirtying sono i capitali puliti ad indirizzarsi verso l’economia sporca”. Emerge dal “Rapporto Agromafie” n. 3 di Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, dal quale si evidenzia che attraverso meccanismi di money dirtying, almeno un miliardo e mezzo di euro transitano sotto forma di investimento dall’economia sana a quella illegale ovvero circa 120 milioni di euro al mese, 4 milioni di euro al giorno.
“La crisi economica; le regole imposte da Basilea 2 e 3 che limitano fortemente l’erogazione del credito; l’incertezza e, spesso, la paura che spingono i privati a tenere immobilizzate presso le banche quote sempre più consistenti di risparmio sottratte, di fatto, all’investimento; la possibilità per le stesse banche di approvvigionarsi presso la Bce a tassi vicini allo zero, con la conseguenza che diminuisce sempre più l’interesse alla raccolta, che viene ormai remunerata in maniera simbolica. Sono questi gli ingredienti - si legge nel rapporto - che definiscono la condizione all’interno della quale vanno ricercate le origini del money dirtying. In buona sostanza, molti tra coloro che dispongono di liquidità prodotta all’interno dei settori attivi nonostante la crisi, trovano convenienti e pertanto decidono di perseguire forme di investimento non ortodosso, con l’obiettivo del massimo vantaggio possibile affidandosi a soggetti borderline o ad organizzazioni in grado di operare sul territorio nazionale e all’estero in condizioni di relativa sicurezza. Il settore agroalimentare, che ha dimostrato in questi anni non solo di poter resistere alla crisi ma di poter crescere e rafforzarsi anche in un quadro congiunturale complessivamente difficile, è diventato - di conseguenza - ancor più appetibile sul piano dell’investimento. Ora, dal punto di vista strettamente logico, le organizzazioni criminali, che già dispongono di ingenti risorse proprie da ripulire sul mercato legale, non dovrebbero essere interessate a prendere in carico altro denaro, questa volta pulito, da investire nelle loro attività apparentemente lecite o illecite. E, invece, esse considerano particolarmente interessante e vantaggioso questo tipo di operazioni per alcuni fondamentali motivi. Il primo è quello “relazionale”: che consiste nella possibilità di entrare in contatto con quello che, parafrasando la recente inchiesta che ha riguardato la Capitale, potremmo definire “il mondo di sopra”, cioè imprenditori rispettabili, uomini d’affari, esponenti della politica e del mondo istituzionale centrale e locale, operatori del sistema creditizio. Insomma, la possibilità di entrare in contatto e frequentare salotti e ambienti più o meno buoni”.
“Il secondo - spiega ancora il Rapporto - è di “natura estetica”: l’afflusso di moneta buona migliora l’aspetto e copre l’odore di quella cattiva. Le due monete finiscono per confondersi e ibridarsi, rendendo sempre più sfumati ed incerti, fino a cancellarli, i confini tra l’economia sana e quella malata. E l’operatore al servizio delle consorterie mafiose ne ricava, almeno sul piano esteriore, la rispettabilità e la credibilità necessarie per poter operare in taluni, qualificati ambienti economici e sociali. Il terzo è di “natura strumentale”: essere utili, garantire guadagni e assicurare nello stesso tempo protezione, stabilire in sostanza un patto di complicità con operatori rispettabili e con aziende e società anche rinomate può risultare molto proficuo e vantaggioso. In effetti, una volta abbattuto il muro di separazione tra i due mondi, niente impedisce di sviluppare nuove iniziative di interesse comune, nuovi business. Finché l’uomo d’affari, l’imprenditore che ha cercato o accettato il contatto e ha affidato ad organizzazioni illegali o mafiose propri capitali, diventa esso stesso oggetto e soggetto del riciclaggio, e - da finanziatore - complice. Allora, il processo di infezione - concludono Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità agroalimentare - diventa irreversibile”.

Focus - Coldiretti/Eurispes, boomerang su made in Italy, falsi oltre 60 miliardi di euro. Attenzione su Expo 2015
“Fino ad ora delle infiltrazioni criminali di Expo 2015 dedicato a “nutrire il pianeta, energia per la vita si è parlato in buona parte solo in termini di “appalti truccati”, “tangenti” ed “intollerabili ritardi” ma il nostro Paese è sotto tiro da parte di organizzazioni criminali nazionali e transnazionali in grado di movimentare nel giro di pochi secondi ingentissime risorse finanziarie derivanti da traffici illeciti planetari di ogni tipo e natura, e tra questi anche traffici illegali di alimenti”.
Lo sostengono Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, nel “Rapporto Agromafie” n. 3, dal quale viene l’allarme che da questa straordinaria occasione di visibilità per il made in Italy derivi il rischio di una invasione di migliaia di tonnellate di prodotti e generi alimentari che, attraverso sofisticati meccanismi di alterazione, sofisticazione e contraffazione, sono commercializzati senza esserlo come prodotti tipici italiani o come eccellenze italiane per un valore che potrebbe superare i 60 miliardi.
“Un pericolo che va affrontato con stringenti misure di rafforzamento dell’attività di controllo sui flussi commerciali e da una maggiore trasparenza sulle informazioni in etichetta sulla reale origine degli alimenti. Una conferma viene dalle decine di inchieste giudiziarie. Ad esempio i limoni sudamericani che sono commercializzati come limoni della penisola sorrentina; gli agrumi nordafricani si trasformano in agrumi siciliani e calabresi; con cagliate del Nord Europa si produce la mozzarella italiana spacciata per originale mozzarella di bufala; con il grano proveniente dal Canada che entra attraverso i porti pugliesi facendolo diventare puro grano della Murgia, si produce il pane di Altamura. Per non parlare poi di quello che succede con l’olio e con il pomodoro.
Tonnellate e tonnellate di olio provenienti da Tunisia, Marocco, Grecia e Spagna entrano nel nostro Paese per produrre un olio comunitario che viene miscelato con lo straordinario olio extravergine d’oliva italiano al fine di poter raddoppiare illegalmente i profitti e collocare sul mercato milioni di bottiglie di apparente olio italiano (perché così riportato fraudolentemente sulle etichette) con illeciti profitti a vantaggio di speculatori e contraffattori. Ma incredibili sono state le cronache giudiziarie dell’ultimissimo periodo in tema di olio: su richiesta delle autorità italiane, le autorità inglesi hanno sequestrato ed eliminato dalla catena di supermercati inglesi Harrod’s migliaia di bottiglie di un olio denominato “Tuscan Extravirgin Olive oil”, un prodotto che di italiano e toscano non aveva assolutamente nulla. Ancora più incredibile ed inquietante è quanto accade in tema di mercato illegale del pomodoro. Si legge negli atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla contraffazione (scorsa legislatura) che arrivano nel nostro Paese dalla Cina milioni di tonnellate di pomodori che diventano strumento di un’imponente opera di contraffazione ai danni del consumatore, il quale si trova sugli scaffali dei supermercati conserve e barattoli di pomodori riportanti il tricolore italiano, ma contenenti in realtà pomodori provenienti dalla Cina. Ed è bene che si sappia - concludono Coldiretti, Eurispes e Osservatorio Criminalità nell’agroalimentare - che questi pomodori cinesi sono coltivati e prodotti nei “laogai” che sono veri e propri campi di concentramento nei quali sono ammassati decine di migliaia di detenuti politici, dissidenti, piccoli criminali, soggetti ostili al regime, i quali (come nei campi di concentramento nazisti) sono costretti a lavorare fino a diciotto ore al giorno”.

Focus - Coldiretti/Eurispes: pericoli dal web, porto franco per la contraffazione
“Dalla Daniele mortadella prodotta negli Usa dove si vende addirittura il kit per preparare il Parmigiano ma anche il Chianti bianco svedese o il vino in polvere per ottenere in poche settimane il Barolo confezionato in Canada sono alcuni degli orrori che si possono in rete e acquistati con il commercio on line”. Emerge dal “Rapporto Agromafie” elaborato da Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, da cui emerge che, nel 2014, l’incremento dell’e-commerce nel nostro Paese è stato del 17% sul 2013, per un volume economico pari a 13,2 miliardi di euro, con il settore agroalimentare che si colloca, forse a sorpresa, al secondo posto, tra quelli che pesano maggiormente sulle vendite online con una quota del 12%.
“Accanto ad esperienze positive di successo, la Rete - spiega il Rapporto - viene usata spesso come porto franco e diviene uno dei canali ideali per la diffusione dell’Italian sounding. Ecco allora in vendita su Internet il kit per il vino liofilizzato “Fai da te” con false etichette dei migliori vini Made in Italy, ma anche il kit per il falso Parmigiano Reggiano, il falso Pecorino Romano ed altri celebri formaggi nostrani come la mozzarella, la ricotta e l’asiago. Le confezioni di questi “Cheese kit” contengono polveri, recipienti, termometri, colini ed altri oggetti, con le istruzioni per la preparazione. Agli acquirenti viene garantito di ottenere i diversi formaggi tipici italiani in tempi brevi che variano dai 30 minuti ai due mesi. Diffusi in Nuova Zelanda, Australia e Canada, questi kit presentano etichette che richiamano il tricolore ed utilizzano la denominazione “Italian Cheese”.
Si tratta solo dei casi più clamorosi ed evidenti di condotta commerciale fraudolenta nella vendita online di prodotti alimentari. In altri casi - si legge ancora - le irregolarità riguardano le scadenze, le informazioni sui prodotti, l’etichettatura. Tra gli alimenti per i quali si riscontrano frodi più frequenti ci sono i prodotti tipici della tradizione locale e regionale (32%), i prodotti Dop e Igp (16%) ed i semilavorati (insaccati, sughi, conserve, 12%). Tra le categorie contraffatte il primato negativo spetta ai formaggi Dop; seguono le creme spalmabili e i salumi.
I Nuclei Antifrodi dei Carabinieri hanno individuato 70 diverse tipologie di prodotti alimentari contraffatti in vendita sulla Rete dove non mancano scandalose operazioni di business che fanno leva sugli episodi, i personaggi e le forme di criminalità organizzata piu’ dolorose ed odiose che danneggiano l’immagine dell’Italia nel mondo, dalla vendita del caffè “Mafiozzo” stile italiano prodotto in Bulgaria al sugo piccante rosso sangue “Wicked Cosa Nostra” prodotto in Usa e addirittura le spezie “Palermo Mafia shooting” e il Fernet Mafiosi dalla Germania senza dimenticare i consigli culinari di mamamafiosa sul sito www.mamamafiosa.com, con sottofondo musicale a tema”.

Agromafie: Coldiretti/Eurispes, 5.000 ristoranti in mano alla criminalità organizzata
“Le organizzazioni criminali stanno in questi anni approfittando della crisi economica per penetrare in modo sempre più massiccio e capillare nell’economia legale. Quello della ristorazione è uno dei settori maggiormente appetibili. In alcuni casi la mafia possiede addirittura franchising, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali, queste attività aprono in breve tempo decine di filiali in diversi paesi del mondo”. Emerge dal terzo Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes, e “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, secondo cuisono almeno 5.000 i locali della ristorazione nelle mani della criminalità organizzata nel nostro Paese.
“Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così - spiegano le firme del Rapporto - la possibilità di sopravvivere anche agli incerti del mercato ed alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza, la disponibilità di liquidità, e di espandere gli affari. La frequenza con cui si verificano questi fatti si accompagna ad un cambiamento culturale: fare affari con esponenti delle organizzazioni mafiose viene spesso considerato “normale”, inevitabile se si vuole sopravvivere. Viene considerato inevitabile non rispettare regole percepite come ingiuste, soffocanti per chi gestisce un’azienda, a cominciare dalla pressione fiscale. Acquisendo e gestendo direttamente o indirettamente gli esercizi ristorativi le organizzazioni criminali anche la possibilità di rispondere facilmente ad una delle necessità più pressanti: riciclare il denaro frutto delle attività illecite”.
E ogni tipo di organizzazione criminale ha le sue specializzazioni. “Cosa Nostra manifesta un particolare interesse nei confronti dell’acquisizione e della costituzione di aziende agricole, ma anche della grande distribuzione alimentare (centri commerciali e supermercati). La Camorra mira a tutto il settore agroalimentare ed alla ristorazione in modo specifico. La ’Ndrangheta, per infiltrarsi nel comparto agroalimentare, sfrutta in particolar modo le connivenze all’interno della Pubblica amministrazione. Le attività ristorative sono dunque molto spesso tra gli schermi “legali” dietro i quali si cela un’espansione mafiosa sempre più aggressiva e sempre più integrata nell’economia regolare. La politica imprenditoriale della mafia moderna si caratterizza per una vocazione colonizzatrice ed una struttura tentacolare, di crescente complessità. Grazie ad una collaudata politica della mimetizzazione, le organizzazioni riescono a tutelare i patrimoni finanziari accumulati con le attività illecite. Si muovono ormai come articolate holding finanziarie, all’interno delle quali gli esercizi ristorativi rappresentano efficienti coperture, con una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari ed all’origine dei capitali.
Le operazioni delle Forze dell’ordine - concludono Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità agroalimentare - indicano con chiarezza gli interessi di tutte le organizzazioni criminali nel settore agroalimentare, ma anche in modo specifico nella ristorazione nelle sue diverse forme, dai franchising ai locali esclusivi, da bar e trattorie ai ristoranti di lusso e aperibar alla moda”.

Rapporto Agromafie: Giancarlo Caselli, alla guida dell’Osservatorio: “tenere alta la guardia sui reati agroalimentari”
Il ddl sulla cosiddetta tenuità del fatto, che esclude il carcere per condotte di scarsa gravità, “va nella giusta direzione, ma è importante definirne bene i contorni: temiamo infatti che possano rientrare nella non punibilità i reati del settore agrolimentare, dove spesso sono in gioco tra l’altro interessi di portata costituzionale, come la salute dei cittadini. È fondamentale non trascurare la gravità e la ripetibilità delle condotte”. È il campanello d’allarme lanciato nel corso del Convegno sul Rapporto Agromafie 2015 da Giancarlo Caselli, l’ex magistrato che ora dirige l’Osservatorio contro le agromafie di Coldiretti.

Rapporto Agromafie: il Ministro della Giustizia Andrea Orlando: “farò un gruppo di lavoro sui reati agroalimentari”
“Costituirò presso il Ministero un gruppo di lavoro per studiare i reati agroalimentari”. Lo ha annunciato il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, intervenendo alla presentazione del Rapporto Agromafie 2015. “Dobbiamo provare a razionalizzare - ha aggiunto il Ministro - non aggiungendo reati ma armonizzando le sanzioni e capendo quali condotte si contrastano meglio con le sanzioni amministrative, le sanzioni interdittive che escludono di poter ricoprire determinate funzioni, le confische anziché con pene carcerarie. Serve un sistema mirato: l’interlocutore è spesso più spaventato dal rischio di poter vedere rimossa dal mercato la propria attività piuttosto che da una pena carceraria”.

Rapporto Agromafie: Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia: “rafforzare il coordinamento contro le mafie”
“È evidente che la crescita del business delle agromafie ci preoccupa, sappiamo di avere una buona filiera di controllo ed anche delle buone leggi, ma bisogna far funzionare tutto meglio perché questo è sempre più il nostro biglietto da visita all’estero”. Lo ha detto il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, sul Rapporto sulle Agromafie 2015 di Coldiretti, Eurispes e dell’Osservatorio sulla criminalità agroalimentare presentato oggi. “Mantenere una buona qualità del prodotto, ripulire il settore della ristorazione dalle società generate da capitali mafiosi, combattere ogni forma di caporalato sono i punti fondamentali per contrastare gli interessi criminali, che in questa fase di crisi economica vengono purtroppo facilitati - ha proseguito Bindi - per questo alcune delle idee lanciate dai curatori del Rapporto mi sembrano particolarmente efficaci, tra queste un tavolo di lavoro specifico del Ministero della Giustizia che coinvolga anche chi lavora nel settore; ed un ruolo sempre più attivo della Direzione Nazionale Antimafia, che ha da tempo attivato un settore specifico nella sua organizzazione, ma che deve poter svolgere un’azione di impulso e coordinamento più efficace”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024