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Ministri, politici, governatori, sindaci, consumatori, ambientalisti, tutti “allevatori per un giorno” mungendo mucche in Piazza Affari a Milano, Piazza San Marco a Venezia, Campidoglio a Roma, nella protesta del latte con maximungitura di Coldiretti

Neve a parte, oggi ad “imbiancare” le piazze di mezza Italia, ci sono anche litri e litri di latte: Piazza Affari a Milano si è trasformata in una stalla con alcune centinaia di allevatori a mungere vacche in pubblico; una cinquantina di sindaci, provenienti da tutta la Sicilia, hanno munto mucche, pecore e capre in piazza Croci a Palermo; a Piazza Castello a Torino gli allevatori piemontesi chiedono l’indicazione in etichetta dell’origine di tutti i prodotti e la valorizzazione della biodiversità delle razze storiche della carne; e poi c’è Piazza San Marco a Venezia dove le mucche sono vere, e non maschere dell’ormai prossimo Carnevale, e la stalla è “galleggiante” perché c’è l’acqua alta. E se nella stalla della Capitale, in Piazza Campidoglio a Roma, insieme alla Coldiretti e al presidente Roberto Moncalvo che hanno lanciato “la più grande operazione di mungitura pubblica mai realizzata in Italia e nel mondo”, c’erano i Ministri del Lavoro Giuliano Poletti, della Salute Beatrice Lorenzin e dell’Ambiente Gianluca Galletti, nelle piazze di tutta Italia oggi è stato tutto un susseguirsi di ministri del Governo, governatori delle Regioni, sindaci, politici, gente di spettacolo e di cultura, del mondo economico e sociale, rappresentanti dei consumatori ed ambientalisti, a mungere vacche, contro la chiusura delle stalle, la disoccupazione, la scomparsa delle mucche, i prezzi stalla-tavola moltiplicati, le quote latte, il latte straniero e le etichette ingannevoli, che colpiscono il settore dall’inizio della crisi.
Va la pena di elencarli: insieme a decine di migliaia di allevatori che lo fanno quotidianamente a mungere sono stati il Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a Milano e della Giustizia Andrea Orlando a Palermo, ma anche gli ex Ministri del settore primario Alfonso Pecoraro Scanio, Nunzia De Girolamo ora capogruppo Ncd alla Camera, e Luca Zaia ora Governatore del Veneto insieme ai suoi colleghi della Lombardia Roberto Maroni, del Lazio Nicola Zingaretti, della Toscana Enrico Rossi, della Calabria Mario Oliverio e della Sicilia Rosario Crocetta. C’erano anche i Sindaci di Roma Ignazio Marino e di Bari Antonio De Caro. Tra i politici il vice Ministro delle Politiche Agricole Andrea Olivero, il sottosegretario al Ministero delle Politiche Agricole Giuseppe Castiglione, il capogruppo del Pd alla Camera Roberto Speranza, il capogruppo di Sel al Senato Loredana De Petris e il vicepresidente della Commissione parlamentare sulla contraffazione e l’onorevole Nicodemo Nazzareno Oliverio. Hanno aderito rappresentanti delle associazioni dei consumatori, il presidente del Codacons Carlo Rienzi, di Federconsumatori Rosario Trefiletti, di Adiconsum Pietro Giordano, di Adusbef Elio Lannutti e il segretario generale Movimento Consumatori Alessandro Mostaccio, ma anche ambientalisti come il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, quello della Lipu Fulvio Mamone, il direttore generale di Greenpeace Pippo Onufrio, il presidente Federparchi Giampiero Sammuri.
“Accogliamo con orgoglio questo segno concreto di solidarietà, vicinanza e sostegno al lavoro che tutti i giorni svolgono gli allevatori italiani, per garantire latte fresco e grandi formaggi made in Italy ma anche la biodiversità e il presidio del territorio” ha detto il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “ora bisogna creare le condizioni nella filiera per dare il giusto valore al latte italiano”.
“Chi produce latte in Italia deve avere remunerati i costi di produzione - ha detto Martina - noi siamo qui a sostenere la battaglia di Coldiretti e di tutti gli allevatori italiani. C’e’ un problema di definizione del prezzo” e ha auspicato “che l’industria batta un colpo: chiedo di fare uno sforzo, di riconoscere che in Italia i costi di produzione sono più alti. Noi come Governo - ha spiegato Martina - stiamo attivando alcune iniziative, ne discuteremo settimana prossima, l’11, al tavolo con la filiera lattiero-casearia”.

Focus - Protesta del latte, Coldiretti: “il sistema garantisce 180.000 posti di lavoro e una ricchezza economica di 28 miliardi di euro pari al 10% dell’agroalimentare italiano”. Da inizio crisi, chiusa 1 stalla su 5, in 32.000 senza lavoro
Dall’inizio della crisi è stata chiusa una stalla italiana su cinque con la perdita silenziosa di 32.000 posti di lavoro e il rischio concreto della scomparsa del latte italiano e dei prestigiosi formaggi con effetti drammatici anche sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale. E’ quanto emerge dal dossier “L’attacco alle stalle italiane” presentato dalla Coldiretti in occasione della protesta del latte con le stalle allestite nelle principali città italiane, per mungere, dare da mangiare e custodire gli animali, con la collaborazione tecnica dell’Associazione italiana allevatori che ha seguito l’allestimento e ha curato, nel rispetto del benessere, la partecipazione degli animali all’evento.
Una dimostrazione concreta di sostegno agli allevatori italiani, sottolinea Coldiretti, sotto attacco del furto di valore che vede sottopagato il latte alla stalla senza alcun beneficio per i consumatori, ma anche degli inganni con il commercio di latte e formaggi provenienti da chissà quale parte del mondo ma spacciati come italiani. In Italia le poco più di 36.000 stalle sopravvissute hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente: per ogni milione di quintale di latte importato in più, denuncia la Coldiretti, scompaiono 17.000 mucche e 1.200 occupati in agricoltura. E la situazione rischia di precipitare nel 2015 con il prezzo riconosciuto agli allevatori che, denuncia la Coldiretti, non copre neanche i costi di produzione e spinge verso la chiusura migliaia di allevamenti che, a breve, dovranno confrontarsi anche con la fine del regime delle quote che terminerà il 31 marzo 2015, dopo oltre trenta anni.
L’impatto negativo è però anche sulla sicurezza alimentare. Nell’ultimo anno, denuncia la Coldiretti, hanno addirittura superato il milione di quintali le cosiddette cagliate importate dall’estero, che ora rappresentano circa 10 milioni di quintali equivalenti di latte pari al 10% dell’intera produzione italiana. Si tratta di prelavorati industriali che vengono soprattutto dall’Est Europa che consentono di produrre mozzarelle e formaggi di bassa qualità.
Dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi le importazioni di prodotti lattiero-caseari dall’estero sono aumentate in valore del 23 per cento, secondo un’analisi di Coldiretti relativa ai dati del commercio estero nei primi dieci mesi del 2014. Oggi anche a causa delle importazioni di minor qualità l’Italia, sottolinea la Coldiretti, importa il 40% del latte e dei formaggi che consuma. Difendere il latte italiano, sottolinea la Coldiretti, significa difendere un sistema che garantisce 180.000 posti di lavoro, ma anche una ricchezza economica di 28 miliardi di euro pari al 10% dell’agroalimentare italiano. A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano con 36.000 imprese di allevamento che producono 11 milioni di tonnellate di latte bovino di produzione complessiva. Circa la metà del latte consegnato (45,5% per circa 50 milioni di quintali), è destinato alla produzione di ben 48 formaggi Dop. La chiusura di una stalla non significa però solo perdita di lavoro e di reddito, ma anche un danno con il 53% degli allevamenti italiani che si trova in zone montane e svantaggiate e svolge un ruolo insostituibile di presidio del territorio dove la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali.
Nell’anno dell’Expo, la chiusura delle stalle, continua la Coldiretti, rischia di far perdere all’Italia il primato nella produzione di formaggi a denominazione di origine (Dop) che in quantità è addirittura superiore quella francese e contribuisce a forgiare l’identità nazionale in campo alimentare con oltre 48 specialità riconosciute a livello comunitario sparse lungo tutto lo stivale. “Stiamo perdendo un patrimonio del nostro Paese sul quale costruire una ripresa economica sostenibile e duratura che fa bene all’economia all’ambiente e alla salute”, afferma il presidente Moncalvo nel denunciare che “l’invasione di materie prime estere spinge prima alla svendita agli stranieri dei nostri marchi piu’ prestigiosi e poi alla delocalizzazione delle attività produttive”.
Tra gli obiettivi della mobilitazione per salvare le stalle italiane ci sono: indicare obbligatoriamente l’origine nelle etichette del latte (anche Uht), dei formaggi e di tutti gli altri prodotti a base di latte; garantire che venga chiamato “formaggio” solo ciò che deriva dal latte e non da prodotti diversi; assicurare l’effettiva applicazione della legge che vieta pratiche di commercio sleale; rendere pubblici i dati relativi alle importazioni di latte e di prodotti con derivati del latte, tracciando le sostanze utilizzate; un pronto intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato contro le forme di concorrenza sleale e gli abusi di posizione dominante nel mercato del latte; attuare le misure di sostegno agli allevamenti italiani previste dal Piano Nazionale di Sviluppo Rurale; realizzare un piano organico di promozione (in Italia e all’estero) del latte e delle produzioni italiane, (in Italia e all’estero) del latte e delle produzioni italiane, a partire da Expo 2015; promuovere iniziative nazionali per il consumo del latte e dei formaggi di qualità, soprattutto nelle scuole e nelle mense pubbliche; semplificare le procedure burocratiche; garantire che le risorse previste dal “Piano latte” del Mipaaf vadano agli allevatori.

Focus - Coldiretti: prezzo latte moltiplica 4 volte da stalla a tavola
Il prezzo del latte fresco moltiplica più di quattro volte dalla stalla allo scaffale con un ricarico del 328% che è esploso nell’ultimo anno per il taglio del 20% nel compenso riconosciuto agli allevatori mentre il prezzo al consumo tende addirittura ad aumentare. E’ quanto emerge dal dossier “L’attacco alle stalle italiane” presentato dalla Coldiretti. Sulla base delle elaborazioni Coldiretti su dati Ismea il latte viene pagato agli allevatori in media 0,35 centesimi al litro, con un calo di oltre il 20% rispetto allo scorso anno, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro, di qualche centesimo superiore allo scorso anno. In altre parole, spiega la Coldiretti, gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar mentre quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. Ma soprattutto il prezzo riconosciuto agli allevatori, sottolinea la Coldiretti, non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali e sta portando alla chiusura di una media di 4 stalle al giorno con effetti sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani. Una accelerazione favorita anche dall’embargo deciso dalla Russia ai prodotti agroalimentari europei che, sottolinea la Coldiretti, oltre a penalizzare direttamente le esportazioni dei formaggi tipici ,ade in Italy sta facendo arrivare in Italia il latte che gli altri Paesi Europei prima esportavano nel paese di Putin.
“Nella forbice dei prezzi dalla stalla alla tavola c’è spazio da recuperare per consentire ai consumatori di acquistare un prodotto indispensabile per la salute e per dare agli allevatori italiani la possibilità di continuare a garantire una produzione di qualità con standard di sicurezza da record”, ha affermato il presidente Moncalvo nel sottolineare che “a dimostrarlo ci sono gli esempi significativi di gruppi lungimiranti della distribuzione e dell’industria che ci auguriamo possano essere seguiti da tutti”.

Focus - Coldiretti: stranieri 3 litri di latte su 4, etichetta inganna
Tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta. E’ quanto emerge dal dossier “L’attacco alle stalle italiane” presentato dalla Coldiretti. Dalle frontiere italiane passano ogni giorno 24 milioni di litri di latte equivalente tra cisterne, semilavorati, formaggi, cagliate polveri di caseina per essere imbustati o trasformati industrialmente e diventare magicamente mozzarelle, formaggi o latte italiani, all’insaputa dei consumatori. Complessivamente in Italia, sottolinea la Coldiretti, sono arrivati 8,6 miliardi di chili in equivalente latte (fra latte liquido, panna, cagliate, polveri, formaggi, yogurt e altro) che vengono utilizzati in latticini e formaggi all’insaputa dei consumatori e a danno degli allevatori perché non è obbligatorio indicare la provenienza in etichetta. Ad essere spacciato come italiano è il latte proveniente in cisterne soprattutto da Germania, Francia, Austria, Slovenia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Olanda. In particolare si assiste ad un sostanziale aumento dell’import dei Paesi dell’Est (+18% Ungheria, +14% Slovacchia, +60% Polonia) e una diminuzione di quello importato dai Paesi dell’Ovest (-7% dalla Germania e -13% dalla Francia), secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat relative ai primi dieci mesi del 2014. Ci sono però anche le cagliate da impiegare nella produzione di mozzarelle che arrivano principalmente dai Paesi dell’Est per un quantitativo che ha raggiunto il milione di quintale all’anno ed è diretto per un terzo in Campania. E tra i Paesi esportatori la Lituania negli ultimi 3 anni ha triplicato le spedizioni in Italia.
Un chilogrammo di cagliata usata per fare formaggio sostituisce circa dieci chili di latte e la presenza non viene indicata in etichetta perché non è ancora obbligatoria l’indicazione di origine Oltre ad ingannare i consumatori ciò fa concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco. Ma sul mercato europeo ed anche in Italia sono arrivati anche i similgrana di bassa qualità spesso venduti con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine che è prevalentemente di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia. Una concorrenza sleale nei confronti degli autentici Parmigiano reggiano e Grana Padano che devono essere ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione. Il mercato dei similgrana prodotti nell’Unione Europea è una operazione che, da calcoli prudenziali, vale sul mercato della distribuzione 2 miliardi di euro e che equivale, in termini di valore, all’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano.
“In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e lo stop al segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero è un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Focus - Coldiretti: quote latte, finiscono quest’anno con nuove multe
Nell’ultimo anno di attuazione del regime delle quote latte che terminerà il 31 marzo 2015 rischiano di arrivare nuove multe per il superamento da parte dell’Italia del proprio livello quantitativo di produzione assegnato dall’Unione Europea, dopo quattro anni in cui nessuna multa è stata dovuta dagli allevatori italiani. E’ quanto emerge dal dossier “L’attacco alle stalle italiane” presentato dalla Coldiretti. Il rischio di superare le quote assegnate nella campagna 2014/2015 è dimostrato dal trend di aumento del 3,37% rispetto allo scorso anno registrato dall’Agea tra aprile e novembre. La questione quote latte, ricorda Coldiretti, è iniziata 30 anni fa nel 1983 con l’assegnazione ad ogni Stato membro dell’Unione di una quota nazionale che poi doveva essere divisa tra i propri produttori. All’Italia - conclude la Coldiretti - fu assegnata una quota molto inferiore al consumo interno di latte. Il 1992, con la legge 468, poi il 2003, con la legge 119, e infine il 2009, con la legge 33, sono state le tappe principali del difficile iter legislativo per l’applicazione delle quote latte che ha consentito alla stragrande maggioranza degli allevatori di mettersi in regola.
Con la fine del regime delle quote latte è prevedibile un aumento della produzione lattiera italiana e comunitaria che potrebbe aumentare del 5 per cento, secondo le stime della Coldiretti, con il rischio di ripercussioni negative sui prezzi del latte alla stalla, con notevoli difficoltà soprattutto per gli allevamenti da latte che risiedono nelle zone più fragili e sensibili del nostro Paese e dell’Unione. “Occorre intervenire a livello comunitario e nazionale per preparare con strumenti adeguati un atterraggio morbido all’ uscita del sistema delle quote”, ha affermato il presidente Moncalvo nel sottolineare che è importante che le risorse previste dal “Fondo latte di qualità” vadano agli allevatori.

Focus - Coldiretti su acquisizione del Consorzio Cooperativo Latterie Friulane da parte di Lactalis: “francesi pigliatutto, intervenga antitrust”
“L’ultima operazione della multinazionale del latte francese Lactalis è stata l’acquisizione del Consorzio Cooperativo Latterie Friulane annunciata silenziosamente a fine anno e festeggiata con una lettera in cui si annunciava agli allevatori italiani fornitori dei diversi marchi del Gruppo un ulteriore taglio a 35 centesimi al litro del prezzo del latte”. Emerge dal dossier “L’attacco alle stalle italiane” presentato dalla Coldiretti. La Coldiretti e il Codacons chiedono con un esposto di fare luce sugli abusi di dipendenza economica a danno dei produttori di latte fresco all’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm).
La presenza della multinazionale francese Lactalis in Italia inizia nel 2003 con l’acquisizione dell’Invernizzi, continua con quella della Galbani e della Locatelli e poi nel 2011 con la Parmalat ed infine con l’acquisizione del Consorzio Cooperativo Latterie Friulane. “A ciò si aggiunge - denuncia la Coldiretti - la strana storia della Centrale del Latte di Roma, che vede coinvolta la multinazionale francese Lactalis. Nel marzo del 2010 una Sentenza del Consiglio di Stato ha dichiarato la nullità della vendita della Centrale del Latte di Roma a Cirio da parte del Comune di Roma e tutti gli atti conseguenti, compresa la successiva vendita a Parmalat, pertanto le azioni della Centrale del Latte sono ritornate al Comune di Roma, il quale però, dopo cinque anni, non ha ancora avviato le procedure di recupero delle proprie azioni. Intanto il progetto per il recupero della Centrale è chiaro: prevede un ruolo di partecipazione diretto degli allevatori nelle scelte che riguardano l’azienda”.
“Il risultato di questa situazione di mercato è - denunciano Coldiretti e Codacons - un evidente squilibrio contrattuale tra le parti che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono. I prezzi praticati dagli intermediari della filiera del latte fresco sono iniqui e gli allevatori manifestano ormai evidenti segni di cedimento”. La Coldiretti, sostenuta anche dall’intervento di Codacons, ha chiesto, allora, all’Antitrust (Agcm) che si faccia chiarezza sulla questione dei prezzi e dei costi di produzione, argomento ancora troppo poco indagato, e che si individui la situazione di abuso in cui le imprese di trasformazione operano a danno di chi garantisce una materia prima di qualità.
La recente legge n. 27 del 2012, ricorda la Coldiretti, ha disposto interventi urgenti a tutela della concorrenza e dello sviluppo della competitività prevedendo, all’articolo 62, una disciplina specifica in materia di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari nelle relazioni commerciali. La particolare attenzione alle relazioni contrattuali nel settore agricolo è dovuta al riconoscimento della posizione di “debolezza” in cui versa una parte contraente rispetto ad imprese più forti sul mercato. Il decreto che ha dato attuazione all’articolo 62 vieta le pratiche commerciali sleali e, in particolare, quelle pratiche che determinano prezzi palesemente al di sotto dei costi di produzione medi dei prodotti oggetto delle relazioni commerciali e delle cessioni da parte degli imprenditori agricoli.

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