Se la realtà dell’Italia enoica è storicamente rappresentata da una sorta di “contrapposizione” tra i grandi gruppi del vino capaci di aprire nuovi mercati e di consolidare quelli storici, e gli artigiani del vino, ovvero piccoli e medi produttori che, di solito, detengono il primato qualitativo e che sempre più affascinano i mercati, è sempre più evidente che si tratta di una rappresentazione sempre meno realistica. La loro convivenza, infatti, è l’ennesima declinazione del complesso sistema Italia, in cui la creatività e la qualità artigianale non potrebbe esprimersi senza la capacità industriale di fare mercato dei grandi gruppi. Nel bene e nel male, è questa l’essenza dell’“italianità”, ed anche del mondo del vino tricolore. Due modelli alternativi, dunque, ma entrambi di grande successo, e complementari che dimostrano come nei mercati globali ci sia spazio per tutti. E i risultati si vedono, nell’export che continua a crescere, anche nel 2014, seppur meno che in passato (toccando i 5,11 miliardi di euro, a +1,4% sul 2013; dati Istat), a dimostrazione di come camminare su queste due gambe sia sempre più fondamentale per il futuro del vino italiano.
Evidente il peso economico dei grandi gruppi del vino: basta guardare la classifica delle 14 aziende vitinicole che nel 2014 hanno fatturato oltre 100 milioni di euro, e che insieme producono quasi un miliardo di bottiglie. Una concentrazione variegata di realtà produttive che comprende la cooperazione, le imprese industriali di trasformazione e i produttori vitivinicoli di grande dimensione. Un sistema complesso, dunque, che pure resta di dimensioni notevoli (l’Italia è costantemente nel podio mondiale con il 70% della sua produzione che proviene da impianti dal potenziale produttivo sopra i 10.000 ettolitri). Sono queste realtà quelle in grado di sfruttare le economie di scala e di posizionarsi solidamente nelle relazioni con la grande distribuzione nazionale ed estera e con i grandi circuiti di distribuzione internazionale che approvvigiona ho.re.ca. e vendita al dettaglio. Una propensione all’export che queste imprese avevano già perseguito con successo in passato e che, negli ultimi 5-7 anni ha visto cambiare di protagonisti. Anche le piccole e medie realtà produttive, infatti, principalmente spinte dalla crisi del mercato interno, storico e primario obbiettivo per questo tipo di imprese, ma anche dal valore aggiunto rappresentato dalle loro produzioni di eccellenza assoluta e in alcuni casi di nicchia (come i vini biodinamici e “naturali”, per esempio), hanno cominciato a concentrare i loro sforzi con successo oltreconfine, dove, peraltro, si sono sviluppate forme di distribuzione ad hoc fuori dai consueti e consolidati canali di importazione. In questo senso, è possibile parlare di una “nuova stagione”, di una riscossa, per le piccole e medie imprese del vino tricolore che se nella seconda metà degli anni Novanta, al di là di casi precedenti e pionieristici, emersero sia per la qualità dei loro prodotti che per la concorrenzialità dei loro prezzi, oggi possono mettere in campo una professionalità più elevata e un maggiore peso specifico rappresentato da una storicità sui mercati più consolidata.
“Il sistema vino italiano è fatto da realtà artigianali e industriali, e la sinergia tra queste due anime - commenta Domenico Zonin, presidente di Unione Italiana Vini, organizzazione di filiera che mette insieme 500 realtà che, da sole, rappresentano quasi il 70% dell’export enoico nazionale - lo fa funzionare al meglio. I medi e piccoli produttori con la loro eccellenza qualitativa portano il meglio del made in Italy in giro per il mondo, mentre i grandi gruppi permettono al vino italiano di avere la massa critica sufficiente per stare sugli scaffali del mondo intero. Sono due elementi che lavorano insieme, e l’uno senza l’altro, viceversa, peggiorerebbero le performance del mondo viticolo italiano”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Sandro Boscaini, presidente di Federvini, la “Confindustria del vino”,
“parlare di grandi realtà non è correttissimo perché se si guarda all’orizzonte mondiale - precisa - sono pochissime le imprese del vino italiano che competono con quelle straniere sul fronte dei numeri. Detto questo, la sinergia tra realtà medio-grandi e piccoli produttori è fisiologica al vino italiano, è il settore che è disegnato così. Ci sono i piccoli artigiani, talvolta di nicchia, che sono espressioni fondamentali di singoli territori, e realtà più grandi, che per altro ragionano con logiche sempre meno industriali a livello produttivo, che riescono ad esprimere più volumi. Ma la sinergia tra questi due modelli di impresa vinicola non solo è necessaria, ma fa bene al sistema vino italiano, alla sua crescita qualitativa e al mantenimento della sua vocazione territoriale, che è un patrimonio unico. Sono due realtà diverse che si valorizzano a vicenda”. “Sicuramente il sistema vino italiano è fatto da grandi e piccoli produttori - spiega Matilde Poggi, presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, che mette insieme oltre 900 cantine che producono nel complesso, un volume sui 65 milioni di bottiglie ogni anno - e gli uni sono utili agli altri e viceversa. Ci piacerebbe però soprattutto che il consumatore finale capisse meglio la differenza fra un vino prodotto da un vignaiolo e uno prodotto da un industriale. Sono due cose diverse, profondamente diverse, e dovrebbero avere un prezzo di verso e una distribuzione diversa. Sono l’espressione di due sistemi economici diversi”.
Da un lato, insomma, i grandi gruppi del vino capaci di aprire nuovi mercati e di consolidare quelli storici, e che hanno anche “l’obbligo” di dover in qualche modo seguire le tendenze del mercato e dare al consumatore quello che cerca, pur tenendo ben salda la propria identità; dall’altro gli artigiani, che devono seguire la loro “lucida follia”, fare il vino che piace a loro, e trasmettere la propria filosofia agli appassionati, con etichette uniche che danno valore aggiunto a tutto al panorama produttivo dell’Italia del vino. Due anime della produzione enoica del Belpaese, la cui convivenza sinergica è il legame che tiene insieme il sistema Italia, in cui la creatività e le idee artigianali insieme alla capacità industriale di fare rete e mercato, creando ricchezza ed occupazione, sono alla base del successo del made in Italy nel mondo.
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