Il moderno mercato del vino sempre più export oriented, impone una specializzazione e un’ampia conoscenza dei tanti mercati che sancisce la fine dell’era in cui un imprenditore vitivinicolo gioca il ruolo “dell’uomo solo al comando”, ma è necessario dotare la propria azienda di personale specializzato per quanto riguarda l’organizzazione, la logistica, il marketing, il commerciale, e che sappia “navigare” tra i vari markets. Il tutto con la consapevolezza che mercati esteri in forte crescita come la Cina non sempre sono a misura delle imprese italiane, specie le più piccole, e che realtà considerate ormai mature come gli Usa possono contare invece margini di crescita ancora importanti per il vino italiano. Ecco uno degli argomenti più interessanti della ricerca “Evoluzione dei mercati e capacità di internazionalizzazione delle imprese vinicole italiane”, realizzata da Wine Monitor, nel contesto di “Wine2Wine”, illustrata da Denis Pantini, responsabile Wine Monitor.
Lo studio parte dal dato di fatto che il mondo del vino italiano registra consumi interni in calo (-34% in 15 anni) e una forte crescita di quelli internazionali. Le aree del mondo che, attualmente, crescono di più sono i mercati asiatici che rappresentano il 20% dei consumi di vino nel mondo, con un aumento del 269% in 10 anni, per un valore che raggiunge oggi i 6.098 milioni di dollari. E’ del 66%, invece, la crescita dell’export di vino italiano verso il Nord America, con un valore di 7.621 milioni di dollari. L’area Ue ha visto un incremento del 32% per un valore che si attesta a quota 16.520 milioni di dollari. Anche l’Italia del vino, ha ricordato Pantini “si è adeguata al trend dell’export, registrando un aumento delle vendite, trainate soprattutto dalle bollicine che, in 10 anni, hanno spuntato un incremento del 242%”, seguito dal +63% per i vini fermi. Complessivamente, dice lo studio, nel giro di 20 anni, i mercati esteri raggiunti dai vini italiani sono passati da 142 nel 1993 a 180 nel 2014 per i vini fermi imbottigliati, da 126 a 165 dal punto di vista degli sparkling wines e da 53 a 119 sul fronte degli sfusi.
Dallo studio emerge con forza che “la propensione all’export aumenta con la dimensione delle aziende. L’analisi evidenzia, infatti, che per le imprese sotto i 2 milioni di fatturato, l’export rappresenta il 27% dei ricavi, mentre per i “big” da oltre 40 milioni la quota esportazioni vale il 79% del fatturato”. Per Pantini “è evidente che le nostre aziende vinicole, che sono piccole, hanno bisogno di dotarsi di risorse umane più importanti perché i mercati si sono allargati, e soprattutto perché le condizioni di accesso ai vari paesi sono molto differenti e vanno conosciute”. “Un’indagine - ha detto ancora Pantini - evidenzia che le aziende più grandi hanno quasi tutte le principali funzioni aziendali, dal commerciale al marketing, mentre le realtà più piccole non le hanno”. Ed ancora, “nelle aziende più piccole registriamo anche un gap di soddisfazione” sulle figure da assumere in azienda, perché “si hanno difficoltà a trovare la persona giusta a svolgere una determinata funzione mentre le grandi aziende possono riuscire a far propri i migliori talenti” per ogni settore. Nasce da qui, ha detto ancora Pantini, “un’indagine, in collaborazione con Wine Meridian, su come si stanno muovendo le imprese e quali sono le figure che avranno sempre più importanza per le aziende”.
Alle aziende che intendono approcciarsi ai mercati internazionali, il responsabile Wine Monitor consiglia di “valutare attentamente i mercati dove si vuole essere presenti”. Analizzando i principali 8 mercati mondiali (Usa, Uk, Germania, Canada, Russia, Giappone, Cina e Svizzera, che insieme pesano per il 70% del consumo del vino mondiale) e incrociando la percentuale di vino importato sul totale dei consumi di vino, con la percentuale di vino sul totale delle bevande alcoliche, la ricerca traccia quali saranno le direttrici di sviluppo futuro. Emerge, ha sottolineato ancora Pantini, che “il mercato Usa, che noi crediamo ormai maturo, in realtà ha ancora grandi margini di sviluppo. Anche la Cina ha grandi possibilità di espansione e dove le esportazioni di vino, pur rappresentando già oggi un miliardo di euro, sono ancora poche e le opportunità di crescita sono dunque ampie”.
Ma “se la Cina è il Paese che sulla carta offre le maggiori prospettive di sviluppo, il vino italiano nel Paese non è ancora ben valorizzato e ci sono difficoltà ad entrare. Perciò un piccolo imprenditore è inutile che pensi ad andare in Cina quando ci sono tanti altri mercati che possono dare più soddisfazione”. Per conoscere tutti questi aspetti, ha concluso Pantini, “servono risorse umane preparate in azienda. E’ l’ora di uscire dal vecchio stereotipo che il produttore è quello che fa tutto da solo perché le condizioni del mercato sono talmente cambiate e complesse che ha bisogno di risorse umane preparate e competenti per affrontare gli scenari globali”.
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