Un problema che rischia di minare uno dei patrimoni più importanti dell’Italia enoica: il suo “giacimento” di vitigni di antica coltivazione. Proprio questo è il lato oscuro, che si intravede nella annosa, per il vino italiano, questione della liberalizzazione della produzione svincolata dalla terra d’origine di quei vitigni che presentano nomi non legati ad un’indicazione geografica, o meglio dell’utilizzo del loro nome, entrata nell’agenda di Bruxelles, e di cui si è parlato nel Forum Wine2Wine (www.wine2wine.net).
Per Domenico Zonin, presidente Uiv, si tratta di una “battaglia non facile per il vino italiano, perché è difficile proteggere un vitigno che da un nome ad un vino, ma non è tutelato dal legame geografico con una specifica denominazione”. Sulla stessa linea, Sandro Boscaini, presidente Federvini, che osserva “la questione della liberalizzazione dei vitigni è un tema dove dobbiamo lottare duramente e dove l’impegno del Ministero delle Politiche agricole e del Governo è determinante”.
In sostanza, vini come Lambrusco, Vermentino, Sangiovese, solo per citarne alcuni, potrebbero essere prodotti anche in altri Paesi Ue ed etichettati come tali. Un’operazione non applicabile quando si parla di vini che riportano un luogo geografico nella propria denominazione, come ad esempio il Prosecco o il Chianti, ma potenzialmente attuabile per vitigni diversi.
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