02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

Attacco al made in Italy nelle capitali d’Europa, dove i supermercati traboccano di prodotti tarocchi ed i ristoranti stravolgono le ricette tipiche del Belpaese: ecco il dossier “Cosa mangiano di italiano in Europa” firmato da Coldiretti e Nas

Non Solo Vino
I nomi storpiati dei prodotti made in Italy nei supermercati europei

In quella giungla inestricabile fatta di falso made in Italy ed italian sounding, che colpisce l’intera filiera produttiva dell’agroalimentare italiano, spiccano gli scaffali dei supermercati delle capitali europee, dove la probabilità di trovare, con nomi, immagini e colori che richiamano l’Italia, prodotti inammissibili per legge nel Belpaese (dove le regole in materia sono le più stringenti d’Europa), come la pasta di grano tenero, i formaggi ottenuti dalla polvere di latte o il vino liofilizzato, è particolarmente elevata. A lanciare l’allarme è la Coldiretti, che ha collaborato alla task force dei Carabinieri dei Nas all’estero per scoprire “Cosa mangiano di italiano in Europa”, dossier presentato alla mobilitazione a difesa del made in Italy che ha portato migliaia di agricoltori a Bologna, in Emilia Romagna, la regione con il primato italiano ed europeo di prodotti a denominazione di origine riconosciute dall’Unione Europea.
L’Italia, che, nel 2015, ha raggiunto il record storico delle esportazioni agroalimentari, a quota 36,8 miliardi, dalla lotta alla contraffazione potrebbe guadagnare qualcosa come 300.000 posti di lavoro. Ecco perché è tanto importante far valere le norme adottate a tutela della qualità dei prodotti agroalimentari nazionali, che non valgono però in altri Paesi dell’Unione Europea, dove tuttavia si tenta di sfruttare l’immagine positiva conquistata dal made in Italy con l’inganno. “L’Unione Europea - denuncia il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - anziché difendere le distintività territoriali, spinge verso un appiattimento verso il basso delle normative sotto il pressing delle multinazionali, per dare spazio a quei Paesi che non possono contare su una vera agricoltura e puntano su trucchi, espedienti e artifici della trasformazione industriale per poter essere presenti sul mercato del cibo. Una concorrenza sleale - continua Moncalvo - che danneggia gli agricoltori italiani e i consumatori i quali trovano sul mercato prodotti di imitazione che non hanno certo le stesse caratteristiche degli originali”.
Un vuoto normativo che si traduce in una voragine per il buon nome delle produzioni agroalimentari del Belpaese, con storture che vanno dai Kapeleti e Mortadela sloveni al Parmezali rumeno, dalla Milaneza pasta portoghese, fino al “Carpaccio formaggio” olandese, sono particolarmente fantasiose le imitazioni dei prodotti italiani nelle città della Vecchia Europa, come racconta il progetto dei Nas dei Carabinieri, secondo cui due prodotti tricolori su tre venduti nei supermercati all’estero non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Da Londra a Berlino, da Bruxelles a Budapest, da Bucarest a Lubiana, il fenomeno è assolutamente trasversale, e talmente radicato che non ci si preoccupa neppure di mantenere la fedeltà al nome originale della specialità made in Italy copiata, come dimostra il fenomeno delle contraffazioni del nostro Prosecco, divenuto a tal punto star dei mercati internazionali da trovare una folta schiera di imitatori che ne mettono a rischio l’ascesa, peraltro attingendo a un repertorio che pare inesauribile di “Prosecco sounding”. Si va dai Semisecco, Consecco e White Secco fatti in Germania, dove si producono pure Meer Secco e Krissecco, al Crisecco imbottigliato in Romania, fino al Prisecco inglese aromatizzato alla frutta.
Uno sfregio che, ovviamente, si ripercuote anche sulla cucina italiana all’estero, con i ristoranti italiani che, oltre a non poter contare su prodotti di qualità, si concedono troppo spesso la libertà di reinterpretare, stravolgendole, le ricette tipiche del Belpaese.

Tre italiani su quattro, così, restano delusi dai piatti “italiani” serviti all’estero, dove vengono portate in tavola le più bizzarre versioni delle ricette tradizionali, come l’abitudine belga di usare la panna al posto del pecorino nella carbonara, quella tedesca di impiegare l’olio di semi nella cotoletta alla milanese, quella olandese di non usare il mascarpone nel tiramisù, fino agli inglesi che vanno pazzi per gli spaghetti alla bolognese che sono del tutto sconosciuti nella città emiliana. È significativo e preoccupante il fatto che uno dei piatti “italiani” più diffuso siano gli spaghetti alla bolognese che spopolano in Inghilterra, ma che non esistono nella tradizione nazionale se non nei menu acchiappaturisti. Una variante molto diffusa spacciata come tricolore è anche la “Pasta with Meatballs”, pasta con le polpette che nessun italiano servirebbe a tavola.

Focus - Il progetto “Cosa mangiano di italiano in Europa” tra gli scaffali delle capitali europee
Con due prodotti tricolori su tre venduti nei supermercati all’estero che non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale, si tratta del primo progetto dei Nas dei Carabinieri per combattere gli inganni nei confronti dei consumatori europei, determinati dall’uso di immagini, parole e tricolore che richiamano impropriamente alla qualità del made in Italy, realizzato attraverso verifiche nei supermercati delle capitali di principali Paesi Europei: da Londra a Berlino, da Bruxelles a Budapest, da Bucarest a Lubiana. Un fenomeno assolutamente trasversale, e talmente radicato, come denuncia la Coldiretti, che non ci si preoccupa neppure di mantenere la fedeltà al nome originale della specialità made in Italy copiata. Particolarmente diffuso è il fenomeno delle contraffazioni del nostro Prosecco, divenuto a tal punto star dei mercati internazionali da trovare una folta schiera di imitatori che ne mettono a rischio l’ascesa, peraltro attingendo a un repertorio che pare inesauribile di “Prosecco sounding”. Si va dai Semisecco, Consecco e White Secco fatti in Germania, dove si producono pure Meer Secco e Krissecco, al Crisecco imbottigliato in Romania, fino al Prisecco inglese aromatizzato alla frutta.
Gli spaghetti, invece, perdono consonanti o cambiano vocali a seconda del paese “imitatore”, diventando Spageti in Slovenia, Spaghete in Romania, fino all’incredibile Spagheroni scovati nei supermercati olandesi. A volte il termine spaghetti viene invece mantenuto, ma abbinato a parole che richiamano specialità inesistenti in Italia, come “Bolognese”, oppure accompagnato da aggettivi come “Italiano”, ovviamente senza curarsi del corretto uso di singolare e plurale. Ma tra i termini più usati dal made in Italy “taroccato” c’è anche “maccheroni”, variamente storpiato, per di più con l’aggravante di assomigliare al termine con cui gli italiani venivano indicati in senso dispregiativo. È il caso dei Makaroni in vendita nei supermercati britannici e in quelli ungheresi, dei Macarone e Macaroni trovati in Romania e Bulgaria.
Ma le storpiature la fanno da padrone un po’ per tutti i prodotti. La vicina Slovenia si distingue più degli altri per la fantasia con cui imita le specialità made in Italy, dalla Mortadela al Bovizola, formaggio bovino che dovrebbe evocare il gorgonzola, dalla Milanska salama al Maskarpone con la “kappa”. Neppure quell’Austria che costruisce il muro al Brennero per difendere la propria identità nazionale si fa troppi problemi a scippare quella italiana producendo in casa sughi Arrabbiata e Bolognese, scovati nei supermercati viennesi. E persino l’inflessibile Germania del rigore chiude un occhio se tra i suoi confini si fanno e commercializzano “Mortadella a macina grossa italiano”, la Zottarella, formaggio che richiama la nostra mozzarella, un “Feine salami” con l’aggiunta di parmigiano reggiano e un “Firenza salami” sempre con formaggio, il Cambozola invece del gorgonzola e persino il “Tortellone all’italiana”.
In Olanda regna una confusione ancora maggiore se si pensa al “Carpaccio formaggio”, scovato tra i negozi di Amsterdam, o agli Spagheroni, mentre nei supermercati di Bruxelles, la capitale dell’Ue, è facile imbattersi in “Italiano sugo”, “Sugo Napoli”, Ravioli e Cappelletti con la scritta in italiano “Come a casa” fino alle Tagliatelle Carbonara, che non esistono nella cultura culinaria nazionale. I Taralli Don Maralli sono, invece, tra i prodotti scovati nei supermercati della Gran Bretagna, dove vendono anche pomodori “Capri tomatoes” e “Mini San Marzano”, anche qui senza alcun legame con quelli originali. Pure nei paesi dell’Est Europa che hanno fatto il loro ingresso nell’Unione dilagano i finti prodotti tricolori, dagli “Italia Biscuit” della Bulgaria ai “Salam parmezali” rumeni, che producono anche il “Salam Napoli” e il “Salam Bergamo”, i “Mini salamini piccollini”, con la doppia elle da penna rossa. Sugli scaffali ungheresi si possono, invece, acquistare mozzarella “Grande Napoli”, caffè in versione “Sicilia style”, “Milano style” e “Corso Verona”, oltre a “Donna pasta” e San Francesco “Tricolore penne”.
“In una fase di stagnazione dei consumi nazionali - commenta il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo - il mercato estero in crescita è diventato fondamentale per l’agroalimentare nazionale, tanto da rappresentare circa 1/3 del fatturato complessivo, ma in alcuni settori, come ad esempio il vino, le vendite fuori dai confini sono addirittura arrivate a superare quelle interne. È ormai improrogabile la necessità di estendere e potenziare le azioni di vigilanza, tutela e valorizzazione del vero made in Italy all’estero negli scaffali dei supermercati e sulle tavole dei ristoranti dove possiamo contare su una estesa rete di chef da primato a livello internazionale”.

Focus - L’iter normativo e le battaglie contro il falso made in Italy
In Italia, ricorda la Coldiretti, vige la storica “legge di purezza”, la numero 480 del 4 luglio del 1967 e successive modificazioni, che impone l’obbligo di produrre pasta esclusivamente con grano duro, difendendo dal rischio di trovarsi quella scotta nel piatto come accade spesso all’estero. Ma l’Unione Europea consente ai Paesi del Nord Europa di aumentare la gradazione del vino attraverso lo zuccheraggio che è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo e in Italia, dove la Coldiretti ha combattuto una battaglia per impedire il “trucco di cantina” e affermare definitivamente la definizione di vino quale prodotto interamente ottenuto dall’uva.
L’ultima storica battaglia l’Italia l’ha dovuta combattere per difendere la legge n.138 del 11 aprile del 1974 che vieta l’utilizzo di polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale contro la quale la Commissione Ue aveva minacciato nel giugno del 2015 l’avvio della procedura di infrazione, perché la legge italiana a tutela della qualità della produzioni rappresenta una restrizione alla “libera circolazione delle merci”, essendo la polvere di latte e il latte concentrato prodotti utilizzati in tutta Europa. Una battaglia vinta anche grazie alla mobilitazione della Coldiretti in Italia, dove si continua a tener alta la qualità delle produzioni casearie, a differenza degli altri Paesi dell’Unione Europea dove si continuano a produrre e vendere formaggi senza latte, magari da “spacciare” come italiani ottenuti dalla polvere.
Il problema, continua la Coldiretti, riguarda anche il boom in Europa della produzione dei cosiddetti similgrana di bassa qualità, spesso venduti con nomi di fantasia che ingannano i consumatori sulla reale origine, che è prevalentemente di Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia. Una concorrenza sleale nei confronti degli autentici Parmigiano Reggiano e Grana Padano che devono essere ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione. Una tendenza che è degenerata in alcuni Paesi dove sono stati messi addirittura sul mercato kit per la produzione casalinga dei formaggi italiani più tipici. Si tratta di confezioni per la produzione di Parmigiano o Romano venduti da una ditta inglese a 120 euro mentre quelle per la Mozzarella Cheese costano circa 30 euro. Nei kit in vendita per i due prestigiosi formaggi a pasta dura è contenuta però anche una piccola pressa da formaggi. Si possono lavorare, con gli ingredienti a disposizione, circa 8 litri di latte per volta e, complessivamente, 40 litri di latte. “La mozzarella - si legge nelle istruzioni - non è il formaggio più facile da fare e richiede un po’ di pratica per perfezionare l’operazione di estensione della cagliata. Se i vostri primi due tentativi sono deludenti non fatevi scoraggiare. Sarete ricompensati”.
Come se non bastasse, nell’Unione Europea circolano oltre venti milioni di bottiglie di pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Lambrusco o Montepulciano. Dopo la diffusione in Nord America, i wine kit sono arrivati anche in molti Paesi dell’Unione Europea dove si possono acquistare via internet o in molti negozi nonostante il fatto che in base alla normativa europea non è possibile aggiungere acqua nel vino o nei mosti. Invece, dalla Gran Bretagna alla Svezia, con una spesa compresa tra i 30 e i 40 euro per un kit da 30 bottiglie, è possibile realizzare a casa un processo che promette anche in 5 giorni di produrre di vini delle più note denominazioni.

Focus - Le specialità “tradite” dagli chef dei ristoranti italiani di tutta Europa
Tra le specialità più “tradite”, oltre ai soliti, quanto inesistenti, spaghetti “alla bolognese”, o peggio ancora “with meatballs”, ed a storture come l’abitudine belga di usare la panna al posto del pecorino nella carbonara, quella tedesca di impiegare l’olio di semi nella cotoletta alla milanese, quella olandese di non usare il mascarpone nel tiramisù, ci sono la pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli e con il formaggio comune che sostituisce l’immancabile parmigiano reggiano e il pecorino romano. Un’offesa che si vuole combattere con la candidatura del pesto alla genovese a patrimonio immateriale dell’umanità, per tutelare una tradizione conservata nel tempo da intere generazioni, che deve rappresentare anche una difesa nei confronti delle troppe imitazioni, a tutela del basilico genovese a denominazione di origine (Dop).
Nella ricetta tradizionale della costoletta alla milanese invece non possono mancare oltre alla costola di vitello battuta, il pane grattugiato grosso, le uova, il burro, meglio se chiarificato, e il sale. Una ricetta che purtroppo non sempre è rispettata e all’estero non è certo difficile trovare la costoletta alla milanese realizzata con carne di pollo o di maiale o fritta nell’olio di semi. Praticamente ovunque è poi diffusa la tipica caprese servita con formaggio industriale al posto della mozzarella di bufala o del fiordilatte. La carbonara è stata addirittura oggetto di un recente scandalo in Francia dove è stata diffusa una video-ricetta delle farfalle alla carbonara con panna, uovo crudo, pancetta e pasta stracotta per quindici minuti che ha suscitato indignazione e pubbliche scuse. Ma non si tratta purtroppo di un caso isolato. La tipica ricetta della pasta alla Norma viene infatti spesso taroccata dalla sostituzione della immancabile ricotta salata con semplice formaggio grattugiato mentre il Tiramisù che è forse il più conosciuto dolce italiano all’estero viene spesso tradito nelle sue componenti caratteristiche, savoiardi, mascarpone e marsala.
Per non parlare poi della pizza che viene offerta nelle versioni più inimmaginabili, da quella hawaiana con l’ananas a quella di pollo. Aumenta anche l’offerta di piatti italiani “pronto uso” sugli scaffali dei supermercati all’estero, dove è possibile acquistare dal sugo liofilizzato per spaghetti alla bolognese ai tortellini, alle lasagne in lattina fino ad un fantomatico piatto all’italiana in barattolo fatto di polpette di carne e pastina da minestra, che farebbero inorridire qualsiasi italiano. “Dalla tutela delle ricette tipiche - chiosa il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo - dipende molto del successo del prodotti made in Italy sui mercati internazionali. L’Italia può contare su una risorsa importante poiché nel futuro ci saranno più di due cuochi per ogni operaio, con la crisi che ha cambiato profondamente le aspirazioni dei giovani e ha provocato il crollo delle iscrizioni agli istituti professionali a indirizzo industriale rispetto al boom delle scuole di enogastronomia e turismo, come dimostrano le iscrizioni all’alberghiero degli ultimi anni”.

Focus - I numeri dell’export agroalimentare e le possibilità della lotta alle contraffazioni
Dalla lotta alla contraffazione e alla falsificazione dei prodotti alimentari italiani di qualità potrebbero nascere trecentomila nuovi posti di lavoro: a ricordarlo è la Coldiretti, sottolineando che proprio questi prodotti sono stati determinanti nel consentire all’Italia di raggiungere nel 2015 il record storico delle esportazioni agroalimentari di 36,8 miliardi, un valore che è praticamente raddoppiato negli ultimi dieci anni (+74%). A trainare è soprattutto il vino che fa registrare un aumento dell’80 per cento nel decennio per raggiungere nel 2015 un valore delle esportazioni di 5,4 miliardi che lo colloca al primo posto tra i prodotti della tavola made in Italy all’estero. Al secondo posto si posiziona l’ortofrutta fresca con un valore stimato in 4,4 miliardi nel 2015, ma con una crescita ridotta e pari al 55%, mentre al terzo posto sul podio sale la pasta che raggiunge i 2,4 miliardi per effetto di una crescita del 82% nel decennio.
Nella top five ci sono anche i formaggi che hanno raggiunto un export stimato a 2,3 miliardi con un balzo del 95% in dieci anni, mentre la classica “pummarola” fa salire la voce pomodori trasformati a 1,5 miliardi (+88% nel decennio). A determinare l’ottima performance dell’agroalimentare italiano sono stati però anche - precisa la Coldiretti - l’olio di oliva che è aumentato del 24% nel periodo considerato per raggiungere 1,4 miliardi a pari merito con i salumi.
Circa un prodotto alimentare italiano esportato su cinque è “Doc” con il valore delle esportazioni realizzato grazie a specialità a denominazione di origine, dai vini ai formaggi, dalle conserve all’olio fino ai salumi, che rappresenta il 20% del totale. “Con i prodotti originali sono però aumentate sui mercati esteri anche le imitazioni con l’agropirateria internazionale che fattura sul falso made in Italy a tavola 60 miliardi di euro nel mondo, quasi il doppio dei prodotti originali”, denuncia Moncalvo nel sottolineare l’importanza di un’azione più decisa dentro e fuori l’Europa.
In testa alla classifica dei prodotti più taroccati ci sono i formaggi a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano, ma anche il Provolone, il Gorgonzola, il Pecorino Romano, l’Asiago o la Fontina. Poi ci sono i nostri salumi più prestigiosi dal Parma al San Daniele che spesso “clonati”, ma anche gli extravergine di oliva, le conserve e gli ortofrutticoli come il pomodoro San Marzano. Se gli Stati Uniti sono i “leader” della falsificazione, le imitazioni dei formaggi italiani sono molto diffuse dall’Australia al Sud America, ma anche sul mercato europeo. A questa realtà però se ne aggiunge una ancora più insidiosa: quella dell’italian sounding di matrice italiana, che importa materia prima dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia e incrina il vero made in Italy, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024