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Alla vigilia del voto sul “Brexit”, lo stato dell’arte sul terzo mercato mondiale per il vino tricolore: trend, evoluzione dei prezzi e dei consumi in Gran Bretagna, tra estremizzazioni delle fasce di prezzo e vitigni “superstar”

Oltre a essere l’indiscusso hub paneuropeo della finanza internazionale, dato il suo ruolo storico di “ponte” tra le due sponde dell’Atlantico, il Regno Unito è anche un mercato significativo per parecchi paesi produttori di vino - oltre che il terzo più importante per il nostro Paese, dopo Stati Uniti d’America e Germania. E anche se il futuro potrebbe portare cambiamenti repentini e imprevedibili, a causa del possibile risultato del referendum sulla permanenza nell’Unione Europea del prossimo giovedì, tenere d’occhio un mercato di queste dimensioni è sempre utile, anche perché è senz’altro dotato di una notevole dinamicità.
Preso nel suo complesso, innanzitutto, il Regno Unito ha consumato 133,3 milioni di casse da 9 litri, secondo il “Global Database 2016” di International Wine & Spirit Research (www.theiwsr.com), con un aumento dello 0,1% anno su anno, e un export tricolore che al primo trimestre di quest’anno valeva 152 milioni di euro (in crescita del 7% rispetto al medesimo periodo del 2015), secondo gli ultimi dati Istat elaborati da Ismea per l’Osservatorio del Vino dell’Uiv - Unione Italiana Vini (www.uiv.it). Inoltre, come ci dicono i dati prodotti dalla Wine & Spirit Trade Association (Wsta) e presentati durante la più recente London Wine Fair, il commercio di vino nel Regno Unito è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, rendendolo uno dei paesi più importanti del mondo per il settore e il secondo più grande importatore sia per volumi che per valori. In buona sostanza, la Gran Bretagna importa più vino pro capite di qualsiasi altro dei migliori mercati del mondo, e - sempre secondo International Wine & Spirit Research - entro il 2018 il mercato UK per i vini fermi varrà qualcosa come 26 miliardi di dollari, rendendolo il secondo più importante nel mondo dietro ai soli States.
La vendita di vino nel Paese è oggi dominata dalla vendita “off-trade” (80%), con margini ormai ridotti all’osso secondo tutti gli osservatori, ma - come puntualizzato da un recente report del Global Agricultural Information Network (Gain) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti - anche se la spesa dei consumatori britannici per le bevande alcoliche è scesa del 13% dal 2007 ad oggi, è in ripresa costante dal 2009, e, dato altrettanto rilevante, il vino è tutt’altro che d’elite, essendo diventato la bevanda alcolica d’elezione per il 60% degli adulti britannici. I produttori del mondo possono quindi contare in UK su di uno “zoccolo duro” composto da oltre 30 milioni di consumatori abituali, che dal dicembre 2014 al dicembre 2015 hanno movimentato circa 7,5 milioni di ettolitri di vino (-2%) per un controvalore di 5,37 miliardi di sterline, e con un prezzo medio stabile a 7,17 sterline per litro. Il discorso è ben diverso sul versante degli sparkling, con 728.000 ettolitri (+27%) per 658 milioni di sterline (+26%) e un prezzo medio di 9,04 sterline, in leggero calo (-1%). E anche il mercato nel suo complesso si è contratto dell’uno per cento circa, sia in volume che in valore, dal gennaio 2015 al gennaio 2016, secondo dati Nielsen riportati da “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com) - dato che porta però a presupporre una stabilizzazione più che un ridimensionamento sistemico.
Passando alle fasce di prezzo, i cambiamenti più rilevanti sono avvenuti in quella compresa tra le cinque e le sei sterline a bottiglia, con le vendite in volume che sono trasmigrate ai due estremi, ovvero sotto le tre o sopra le otto sterline. La stessa dinamica “polarizzante” sta interessando, a ben vedere, l’intero mercato: la fascia compresa tra le 5 e le 6 sterline (la più corposa, con 1,65 milioni di ettolitri) si è contratta del 10% in volume, mentre la fascia sotto le tre sterline è cresciuta del 15%, quella compresa tra le 8 e le 9 del 2%, quella fra le 9 e le 10 del 3% e quella tra le 10 e le 11 sterline del 2%. Sia rossi che bianchi hanno seguito il trend generale del mercato, contraendosi dell’uno per cento, ma i rosati hanno subito una diminuzione del 7% sia in volume che in valore; sul versante dei varietali, il mercato dei bianchi ha visto Pinot Grigio e Chardonnay in deciso calo, a differenza del Sauvignon Blanc, che ha messo a segno un notevole +9% sia in volume che in valore, consolidando il suo ruolo come leader di mercato nel settore - stesso ruolo ricoperto, passando ai rossi, dal Merlot, che ha goduto di una crescita speculare a quella del Sauvignon Blanc e che è seguito dallo Shiraz, mentre il Cabernet Sauvignon ha mostrato una leggera flessione.
Discorso a parte, ovviamente, merita lo Champagne, che mostra una dinamica più conservativa, caratterizzata da una crescita lenta ma costante (+5% in volume, a 127mila ettolitri, e +4% in valore, a 322 milioni di sterline), e da una flessione nel prezzo medio difficilmente preoccupante (-1%, a 26,17 sterline). E anche se lo iato di prezzo medio tra il re degli sparkling e i suoi “colleghi” è ancora impressionante, rimane il dato di fatto che dal 2008 in poi il Prosecco è stato più che capace di ritagliarsi un posto nel cuore (e nelle cantine) di una moltitudine di consumatori britannici, secondo il report Gain, proprio grazie al suo ottimo rapporto qualità-prezzo.
Passando al ruolo dell’Italia nel mercato retail britannico, il nostro è il secondo Paese più importante, a 1,12 milioni di ettolitri (-6% anno su anno in volume e -5% in valore, a 745 milioni di sterline, con un prezzo medio per bottiglia a 4,98 sterline, in crescita dell’uno per cento), dietro alla sola Australia (+4% in volume a 1,68 milioni di ettolitri, +3% in valore a 1,17 miliardi e -1% in prezzo medio, a 5,21 sterline) e davanti agli Stati Uniti. In questo settore i bianchi tendono a dominare, con il 47% delle vendite totali nel 2015 rispetto al 42% dei rossi e all’undici per cento dei rosati. E anche se il settore è stato per certi versi “disarticolato” dalla crescita di catene della gdo non convenzionali, come Lidl e Aldi, c’è un trend più generale identificabile nel comportamento quotidiano dei consumatori britannici, ovvero la ricerca del miglior rapporto qualità-prezzo possibile; dato questo che potrebbe essere decisamente favorevole al vino italiano, anche per il rovescio di questa dinamica, ovvero la ricerca di etichette ben più importanti, in termini di prezzo, per le occasioni speciali - fenomeno che a propria volta ha alimentato la crescita e la diffusione di wine merchant indipendenti in Gran Bretagna.
Passando invece al consumo di vino “on-premise”, tra l’ottobre 2014 e l’ottobre 2015 il settore si è contratto del 2% in volume (a 1,72 milioni di ettolitri) e del 3% in valore (a 3,36 miliardi di sterline), ma il prezzo medio per litro è cresciuto del 3%, arrivando a toccare le 19,55 sterline: dal versante della ristorazione Italia e Francia sono senz’altro i produttori di vino più importanti, e la preferenza per i bianchi è qui ancora più marcata, con una quota di mercato del 53% contro appena il 37% dei rossi e il 10% dei rosati. In termini di trend di mercato, infine, il “salutismo” dei consumatori britannici si sta facendo sentire anche sul versante del nettare di Bacco; la domanda di vini a bassa gradazione alcolica dovrebbe continuare a crescere, lentamente ma costantemente, nei prossimi cinque anni, e altrettanto si può dire per le produzioni biologiche - anche se, puntualizza il rapporto Gain, vista la difficoltà di determinare con certezza se un vino è autenticamente “bio”, parecchi rivenditori si stanno affidando più alla qualità dei propri portfolio d’offerta che a tale denominazione. E le vendite di vino online stanno vivendo un periodo di crescita marcata, sia per i grossi player del retail che per gli indipendenti, e questo a prescindere dalla quantità e dalla varietà dell’offerta dei singoli agenti.
“Wine Intelligence” (www.wineintelligence.com) ha dedicato, infine, parte del suo più recente “Portraits UK” all’identificazione dei profili tipo del consumatore britannico, delineandone sei: il segmento più numeroso è quello dei “mainstream-at-homers” (24%), consumatori di mezz’età che vedono il vino come un consumo “core” e quotidiano, seguiti dai “senior sippers” (23%), più anziani e dal consumo meno frequente, e dai “risk-averse youngsters” (18%), bevitori giovani e ancora spaesati di fronte alla varietà di scelte possibili. Seguono i “kitchen casuals” (14%), bevitori occasionali e di mezz’età per i quali il vino non è tanto una passione quanto una semplice abitudine di consumo, i “generation treaters” (11%) - l’evoluzione demografica dei “risk-averse youngsters”, giovani adulti che iniziano a “farsi le ossa” nel mondo di Bacco sperimentando qua e là - e infine gli “adventurous connoisseurs” (10%), esperti di mezz’età che si fidano della loro preparazione in tema di vino, e che di conseguenza sperimentano con sicurezza e con piacere le migliaia di possibilità offerte dal mercato globale.

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