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Dal genoma del Cabernet Sauvignon ai risultati di cisgenesi, transgenesi e genome editing nella resistenza della vite alla peronospora e all’oidio: nelle parole del professor Mario Pezzotti (Università di Verona), le ultime conquiste della ricerca

Italia
La ricerca genetica e la scienza per il futuro del vino e della viticoltura

L’innovazione vive di ricerca, e la ricerca, in viticoltura, punta sulla genetica, per adattarsi ai cambiamenti climatici e rendere la vite resistente alle malattie. Tra le ultime novità, la definizione del genoma del Cabernet Sauvignon, ma risultati importanti sono stati raggiunti anche nella cisgenesi, transgenesi e genome editing applicate alla resistenza alla peronospora, di cui è stato individuato il gene della resistenza, ed all’oidio, che si sconfigge spegnendo il gene della sensibilità, come emerge dal lavoro, e dalla cooperazione tra le Università, degli scienziati di tutto il mondo, riuniti all’“International Symposium on Grapevine Physiology and Biotechnology” (www.grapevine2016.org), a Verona dal 13 al 18 giugno.

Tra le novità più interessanti, come detto, “la definizione del genoma del Cabernet Sauvignon: sono stati presentati i primi risultati della struttura del Cabernet Sauvignon, costituito, com’è noto, da Cabernet Franc e Sauvignon Blanc. Oggi conosciamo il set genomico materno ed il set genomico paterno, ossia entrambi i cromosomi: sappiamo l’allele che gli ha dato il Sauvignon Blanc e quello che gli ha dato il Cabernet Franc. Questa nuova tecnologia - racconta Pezzotti - realizzata tra le Università di Davies, grazie al lavoro del professor Dario Cantu, San Diego, Nevada, con l’apporto del professor Grant Cramer, e Verona, con la ricerca del professor Massimo Delle Donne, ha utilizzato tecnologie avanzate di sequenziamento in cui le sequenze sono più lunghe del normale, e nuovi programmi informatici per definire e decifrare il genoma materno e paterno di un individuo. Non abbiamo più un unico genoma, ma un genoma diploide, in cui sono definiti gli alleli della madre e del padre”.

Detto così, non sembra un grande passo avanti, ma in realtà, “è un passaggio fondamentale per il futuro, perché capiremo come contribuiscono i diversi set, materno e paterno, a definire il genoma di un individuo. Noi, ad esempio, siamo ciò che siamo perché abbiamo ricevuto il genoma delle nostre madri e dei nostri padri, ma quali sono gli alleli dominanti che abbiamo rispetto a quelli recessivi? Alcuni caratteri - spiega il docente di Genetica Agraria all’Università di Verona - saranno di nostra madre, altri di nostro padre, in altri ancora di entrambi: oggi, nella vite, possiamo conoscere con esattezza qual è il contributo della madre e del padre. Per ogni varietà possiamo risalire alla filogenesi, e quindi a chi erano i genitori, e a come i singoli alleli lavorano. Questo lavoro, frutto della collaborazione tra Usa ed Italia, nasce dal grande interesse per il Cabernet Sauvignon, la varietà più importante nel mondo, ma da domani potremmo cominciare, se trovassimo le risorse, a fare lo stesso lavoro per tutte le varietà autoctone italiane: ne abbiamo 300, sono certo che lo faremo”.

A livello pratico, “piano piano capiremo come il Cabernet Sauvignon differisca da tutte le altre varietà e quali sono i motivi genetici dietro a queste differenze, cos’è il Cabernet Sauvignon e quali sono i geni importanti che rispetto agli altri. La stessa cosa potremmo farla per il Sangiovese, per il Nebbiolo o per la Corvina, per la Garganega. È un passaggio che accelera di molto le tecniche di cisgenesi e di genome editing: nel Cabernet Sauvignon, ad esempio, c’è il gene che riproduce l’odore di erbaceo, per alcuni è un grande prego, per altri un grande difetto, capire quale sia l’allele che ne è responsabile vuol dire poter fare genome editing e “spegnere” quel gene se non vogliamo avere il sentore di erbaceo. Nel momento in cui conosciamo quali sono gli alleli migliori possiamo incominciare a fare gli incroci e capire in quale degli individui che abbiamo ottenuto dall’incrocio sono andati a finire gli alleli che cin interessano, o comunque la maggior parte. Questo - aggiunge Pezzotti - servirà enormemente per il miglioramento genetico derivante dall’incrocio sessuale ma anche da biotecnologie”.

Rimanendo in tema di ricerca genetica, risultati importanti sono stati raggiunti anche nella cisgenesi, transgenesi e genome editing per la resistenza alla peronospora ed all’oidio, con “i risultati delle ricerche dell’Università di Verona e dell’Istituto di San Michele all’Adige. Nella metodologia transgenica - cambia argomento il professor Pezzotti - abbiamo ottenuto, a Verona, delle piante geneticamente modificate, resistenti alla peronospora. Mentre San Michele all’Adige ha presentato i modelli per la cisgenesi e per il genome editing della vite, per renderla resistente sia alla peronospora che all’oidio, per il quale è stato trovato il gene che conferisce la resistenza, mentre per la peronospora è stato messo a punto il modello di cisgenesi, che sarà utile per i programmi futuri. Mentre per la peronospora - continua Pezzotti - abbiamo il gene della resistenza, però, nell’oidio viene spento il gene della sensibilità, un gene che ha anche altre funzioni, per cui non sappiamo che effetti possa avere e quale sia quindi la funzione completa di questo gene, dobbiamo valutare con attenzione il valore della pianta che sarà resistente all’oidio, o meglio che non sarà più sensibile all’oidio. Nell’orzo ed in altre piante come il pomodoro funziona perfettamente lo spegnimento di questo gene”.

Ma la ricerca, ovviamente, non può non tenere conto dei cambiamenti climatici, che hanno avuto una loro centralità. “Ci sono state molte comunicazioni sul cambiamento climatico e su come dobbiamo adattare le piante al cambiamento climatico. Una domanda particolarmente pressante - spiega il docente di Genetica Agraria - in California, Cile, Australia e Sudafrica, dove l’obiettivo è quello di capire come poter adattare le pratiche viticole ai cambiamenti, per avere un’uniformità di produzione qualitativa, capire cioè come vanno allevate le piante per avere sempre una qualità elevata. L’attenzione riposta dai viticultori è soprattutto nella conoscenza degli effetti dei cambiamenti climatici sulla regolazione del metabolismo secondario della vite, che va dagli antociani alle molecole aromatiche”. La ricerca, però, ha sempre bisogno di fondi, “e noi a livello internazionale stiamo portando avanti delle iniziative che possano tentare di recuperare fondi a livello di Commissione Europea per evitare sprechi e sovrapposizioni. Ma è molto difficile - conclude Pezzotti - perché la Comunità Europea immagina sempre che il mondo della viticoltura sia così ricco che riesca a farcela con i fondi privati”.

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