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Si fa presto a dire Brexit: le conseguenze dell’uscita del Regno Unito dal mercato unico dell’UE saranno complesse, ma ci sono accorgimenti che possono aiutare gli operatori del beverage, afferma una “Industry Note” di Rabobank

Non c’è dubbio che la Brexit - o meglio, il risultato del referendum del 23 giugno - abbia creato più di una preoccupazione a tutte le aziende del mondo che hanno in qualche modo a che fare col Regno Unito: altrettanto vale per un settore come il beverage, all’interno del quale il vino italiano ha una particolare importanza, visto che la Gran Bretagna è il suo terzo mercato fuori dai confini nazionali dopo Stati Uniti e Germania. Al momento tutto è ancora com’era, visto che il vero cambiamento partirà da quando il Governo britannico deciderà di chiedere l’applicazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che disciplina il procedimento tramite il quale un Paese può uscire dal mercato unico. Ma nel frattempo, ci sono delle possibilità e degli scenari che è già possibile esaminare, per quanto a spanne: e a farlo ci ha pensato la multinazionale bancaria olandese Rabobank, tradizionalmente focalizzata sul settore agroalimentare, con una sua “Industry Note”.

L’analisi parte da due dati di fatto; il primo è che attualmente, come detto, gli scambi da e verso il Regno Unito continuano a godere dei benefici del mercato unico, e ciò continuerà per almeno i prossimi due anni. Il secondo è che la sterlina, già debole sui mercati valutari dalla tornata elettorale del maggio 2015, con ogni probabilità perderà ulteriormente di valore,sia nel breve che nel medio periodo. Questo favorirà gli esportatori dallo Uk e penalizzerà gli importatori, perché se i guadagni dei primi vengono registrati in sterline, e vengono prodotti su altri mercati, la sterlina debole avrà un effetto positivo, mentre per i secondi avverrà l’esatto contrario. Una cosa, secondo gli analisti di Rabobank, è quasi certa, ovvero il fatto che dazi e tariffe doganali diverranno realtà: e se l’industria britannica cercherà di avvantaggiarsi tramite misure spiccatamente protezionistiche, i primi a soffrirne saranno i consumatori domestici, la cui capacità di scelta allo scaffale si ridurrà sensibilmente.

Detto questo, l’analisi Rabobank si focalizza sui principali tre settori del mondo beverage, ovvero birra, vino e spirits. Per quanto riguarda la prima, i leader di mercato in Uk fanno capo a multinazionali che producono sia dentro che fuori i confini del paese, e quindi per queste ultime sarebbe in teoria facile spostare nel Regno il maggior numero possibile di attività di trasformazione della materia prima in prodotto finito - cosa però non semplice all’atto pratico, visto che già adesso la maggior parte del processo di creazione del valore aggiunto avviene in loco. Passando al nettare di Bacco, la situazione è decisamente poco rosea: gli effetti saranno globali, ma riguarderanno massicciamente i produttori europei, ed in quest’ottica, gli analisti del gruppo olandese sottolineano che tre paesi europei - Francia, Italia e Spagna - sono all’origine del 60% circa di tutto il vino importato nel Regno Unito. Come premesso, una certa dose di dazi sarà inevitabile, e al momento assolutamente non quantificabile, quindi secondo Rabobank la cosa migliore da fare è prepararsi a focalizzare le proprie attività di marketing in mercati alternativi, come la Cina o gli Stati Uniti. E anche per quanto riguarda gli spirits, la situazione non è ottimale; anche se la Scozia riuscisse nel suo intento dichiarato di restare nel mercato unico, appare quantomeno improbabile che lo scotch scozzese possa godere di accesso libero al mercato europeo senza che altrettanto avvenga per il vino europeo.

La “Industry Note” di Rabobank si conclude con delle possibili soluzioni, sia di breve che di lungo termine. Per quanto riguarda gli importatori, le conseguenze dei futuri e quasi certi dazi possono essere attenuate “facendo magazzino” il più possibile allo stato attuale delle cose, posto che ciò non vada a danneggiare il conto economico dell’azienda o la qualità del prodotto. Un’altra possibile soluzione potrebbe poi essere quella di proteggersi da un deprezzamento troppo marcato della sterlina tramite degli “hedge” - soluzione che però va valutata molto attentamente, dato che ha una componente di rischio intrinseca alla scommessa finanziaria intrapresa. Tra le soluzioni a lungo termine, invece, gli analisti sottolineano che la cosa migliore da fare sarebbe spostare più attività trasformative possibile dentro il Regno Unito, anche perché a quel punto i costi sarebbero denominati in una valuta che si è deprezzata in confronto alle altre. Certo, il processo imporrebbe, tra le altre cose, un cambio di nome a tutti i prodotti a indicazione geografica, vino incluso, e quindi molto dipende da quanto la qualità del prodotto verrebbe influenzata da una eventuale “britannizzazione” del processo produttivo. Infine, soluzione decisamente non alla portata di tutti, il deprezzamento della sterlina potrebbe rendere molto più appetibili processi di fusione e acquisizione di aziende locali.

Stando così le cose, purtroppo, il report non può che sottolineare che al momento non è possibile valutare in profondità le conseguenze dell’avvio del procedimento di uscita del Regno Unito dal mercato comune: ciò che è sicuro, scrivono gli analisti, è che dal punto di vista degli scambi commerciali le cose peggioreranno. Il vero punto dirimente è fra quanto tempo, con quale velocità e fino a che punto lo faranno.

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