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“Il Sagrantino sarà una delle varietà da vino più importanti d’Australia”: così il produttore Chester Osborn della cantina D’Arenberg. Il produttore leader di Montefalco Marco Caprai: “bene se altri produttori nel mondo valorizzano il Sagrantino”

Italia
I colori del Sagrantino

Noto da almeno cinque secoli e coltivato dentro le mura di Montefalco come vino da Messa e passito, riscoperto e rilanciato a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso grazie al lavoro della cantina Arnaldo Caprai in collaborazione con l’Università di Milano e il professor Leonardo Valenti, il Sagrantino di Montefalco ha conquistato, negli anni, la critica ed i mercati internazionali, diventando, con le sue particolarità portate ai più alti livelli qualitativi, uno dei simboli enoici dell’Italia nel mondo. E di lì a poco, anche il vitigno Sagrantino, ha iniziato ad essere esportato e coltivato in altri territori del Pianeta. Persino in Australia dove, secondo Chester Osborn, istrionico produttore alla guida della celebre cantina “D’Arenberg”, nella McLaren Vale, tra qualche tempo potrebbe contendere addirittura allo Shiraz il primato tra i vitigni più importanti del Paese. “È una delle varietà che in questo momento mi entusiasmano di più, e sarà una delle più importanti in Australia, perché funziona bene in molte zone ed ha una grande acidità” ha detto a “The Drink Business” lo stesso Osborn, che dai suoi 200 ettari di vigneto produce oltre 70 tipi di vino diversi, ed è da sempre aperto alla sperimentazione, che sta conducendo in Australia anche con altri vitigni del Belpaese (come NegroAmaro e Nero d’Avola) e non solo.
Una “profezia”, quella del produttore australiano, che potrebbe far storcere il naso molti, soprattutto a pochi mesi dalle polemiche sulla possibile “liberalizzazione” da parte dell’Ue dell’utilizzo in etichetta del nome di alcune varietà tipicamente italiane anche in altri Paesi. Eppure, proprio secondo chi il fenomeno “Sagrantino di Montefalco” ha contribuito in maniera decisiva, la diffusione di questo vitigno all’estero è da vedere come un fatto positivo.

“Dopo il successo e la riscoperta della critica internazionale, il Sagrantino, “piccola grande” varietà italiana di uva che ha trovato il suo territorio d’elezione a Montefalco, ha iniziato a diffondersi anche in altri territori del mondo, ed oggi è coltivato in quattro Continenti - commenta, a WineNews, il produttore
Marco Caprai - e se pensiamo che fino a poco tempo fa questa produzione era limitata alla cerchia muraria di Montefalco, è sicuramente un caso di internazionalizzazione del made in Italy particolare. E dobbiamo vederlo come fattore positivo: il Sagrantino è una varietà che avrà sempre numeri piccoli, ed il fatto che altri produttori nel mondo pensino a valorizzarla può aiutare i nostri produttori a diffondere meglio i loro vini, che poi rimangono quelli di riferimento, di confronto. L’esempio è quello di Bordeaux: con il “taglio bordolese” si è diffuso con successo in tutto il mondo, ma il modello rimane sempre Bordeaux, dove è nato”.
Insomma, nell’era della globalizzazione, è impossibile pensare e pretendere che questa non coinvolga anche i vitigni autoctoni italiani, come per altro già è avvenuto e avviene con alcune delle più famose, dal Sangiovese alla Barbera, per esempio. Altro discorso, poi, è sostenere, come dice Osborne, che “il terroir della McLaren Vale potrebbe essere addirittura più adatto di quello di Montefalco per il Sagrantino, perché capace di conferire più frutto e mineralità al vino”.
Su questo, solo il tempo potrà dire la verità. Ma “l’originale”, in ogni caso, sarà sempre il Sagrantino “made in” Montefalco.

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