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Inchiesta WineNews - È positivo il sentiment del vino italiano, alla vigilia delle Feste. Lo dicono 25 cantine leader sondate (per 1,7 miliardi di euro di fatturato). Per il 70%, vendite natalizie a +20%, “ma, per il 2017, preoccupano Brexit e Trump”

Italia
Inchiesta WineNews su cantine del vino italiano: bilancio positivo per 2016, più incerto sentiment per 2017

Con le Festività di fine anno ormai alle porte, il mondo del vino italiano si concede ottimismo, sia ripercorrendo il 2016, sia in proiezione del 2017. A dirlo sono 25 tra le realtà enologiche più importanti d’Italia per storia, immagine e per volume d’affari (per 1,7 miliardi di euro di fatturato complessivo), sondate da WineNews, per tastare il polso ad uno dei settori più dinamici e positivi anche in tempi di economia “ballerina”. E dove tra la maggioranza delle aziende si respira un sentiment positivo (37%) e abbastanza positivo (43%) verso l’anno che verrà, a fronte di un 20% che invece vede addensarsi nubi minacciose sul nuovo anno. Un trend positivo registrato da WineNews che, evidentemente, è guidato dalle aziende produttrici di bollicine (con il Prosecco a fare da “battistrada”), ma che si riverbera anche su quelle rossiste e/o bianchiste (con quest’ultima tipologia decisamente in recupero di appeal). Per il 70% del campione sondato, infatti, a fine anno, le vendite si incrementeranno mediamente del 20%. Un dato che fa il paio con i progressi nelle vendite sul 2015 a +11% per il 73% delle cantine campione. E se l’esportazione delle etichette tricolore continua “a tirare” anche a fine 2016, con le aziende campione che indicano nel 60% dei casi una crescita a +9% - nonostante non manchino alcuni segnali di rallentamento (su tutti gli Usa, fenomeno da valutare con molta attenzione) - torna a sorridere anche il mercato interno, che sembra essere di nuovo considerato strategico: il 70% delle aziende ritrova una crescita delle vendite entro i confini nazionali, che si attesta su un confortante +8%. Il mercato italiano con tutte le sue debolezze, consumi in discesa (siamo ormai sotto ai 37 litri pro capite) e ritardi pesanti nei pagamenti alle cantine, solo per fare due esempi macroscopici, è uno sbocco commerciale importante non solo numericamente (oltre 20 milioni di ettolitri), ma anche per il suo ruolo di “vetrina” internazionale.
Se il finale del 2016, nel suo complesso, conferma la salute del comparto vitivinicolo, capace di rappresentare un’eccezione importante nel panorama generale dell’economia nazionale, vanno però tenuti in debito conto alcuni segni in controtendenza. Le esportazioni ad agosto (ultimi dati utili Istat) sono andate bene, +18%, anche se va considerato che questo mese vale il 15% in meno di un mese normale. Le esportazioni sui primi 8 mesi riprendono velocità, +2,8% per 3,45 miliardi di euro, sul +1,1% e 3,1 miliardi di euro dei primi 7 mesi dell’anno. Sull’anno il ritmo di crescita si attesta tra il 3 e il 3,5%, il che significherebbe chiudere il 2016 con un valore export sui 5,5 miliardi di euro. Dal punto di vista dei volumi, non ci sono molte deviazioni: 13 milioni di ettolitri esportati da inizio anno, 20,2 milioni negli ultimi 12 mesi. Non si vedono quindi segni di indebolimento dell’esportazione, soprattutto grazie agli spumanti: combinando luglio e agosto, hanno raggiunto 190 milioni di euro, contro 151 segnati nello stesso periodo del 2015, quindi +26%. Il prezzo medio esportato per gli spumanti Dop nel Regno Unito cresce, nonostante l’indebolimento della sterlina causa Brexit, raggiungendo i 3,3 euro al litro contro i 3,1 del 2015 e 3 euro di agosto 2015, mentre il dato complessivo degli spumanti sta a 690 milioni di euro da inizio anno, a +24%. Anche per i fermi agosto è stato buono, ma le esportazioni da inizio anno restano negative, -2% a 2,5 miliardi di euro. I volumi calano del 5% sui primi 8 mesi dell’anno, con i primi 4 mercati (Usa, Germania, Regno Unito e Canada) tutti con il segno meno davanti.
Per questo, le cantine, sondate da www.winenews.it , dimostrano di investire risorse finanziarie e umane in modo sempre più strategico, orientandosi soprattutto sui mercati più “sicuri” e su quelli che maggiormente possono garantire un valore aggiunto ulteriormente spendibile. Le cantine italiane, nella maggior parte dei casi, hanno “diversificato” le proprie vendite su un portafoglio di mercati, a volte, molto esteso e, probabilmente, sta proprio nella capacità di modulare i propri sforzi molto del successo del recente passato. Ci sono mercati nei quali spendersi con maggior vigore per situazioni contingenti e altri perché garantiscono visibilità, altri ancora perché potenzialmente in crescita futura. Ecco che allora gli imprenditori del vino del Belpaese nel 73% dei casi hanno concentrato i propri sforzi sul mercato europeo, scegliendo come Paesi target soprattutto Germania, Svizzera e Gran Bretagna, con qualche mirata “incursione” nel Nord Europa, specialmente in Svezia, nel 70% su quello italiano, nel 60% sul mercato americano, guardando anche al Canada, e nel 8% sui mercati orientali, dove, diminuita di qualche grado la “febbre cinese”, pur continuando in alcuni casi a esercitare un buon/ottimo appeal, il vino italiano sta ancora tentando di costruirsi transazioni solide, fatta eccezione per il Giappone, dove il mercato per le cantine del Belpaese è già più solido e storicizzato. Non mancano anche alcune conferme in particolari zone del Sud America, Brasile e Cile, e qualche “pioniere” che sta provando a costruire un mercato in Africa.
I dati Istat sulla produzione di vino in Italia per il 2015 ci consegnano un quadro positivo: si è toccato quota 47,6 milioni di ettolitri, con un incremento del 20% sul 2014 e del 9% sulla media storica di 43,6 milioni di ettolitri. La produzione di vini Doc passa a 18,8 milioni di ettolitri, +15% sul 2014 e +20% sul dato storico di 15,7 milioni di ettolitri, con i rossi e bianchi, rispettivamente a 8,2 e 10,6 milioni di ettolitri (qui giocano un ruolo decisivo Prosecco e Asti a supporto dei volumi dei Doc bianchi) nel 2015. I vini Igt hanno sfiorato 15 milioni di ettolitri, +11% sia sul 2014 che sulla media storica di 13,3 milioni. Anche negli Igt ci sono più vini bianchi che rossi: 7,9 contro 7 milioni di ettolitri. Nel 2015 è cresciuta anche la produzione dei vini da tavola, +41% a 14 milioni di ettolitri, poco sotto la media storica di 14,5 milioni. I vini bianchi sono cresciuti del 22% a 25,6 milioni di ettolitri, il 18% sopra la media storica di 21,7 milioni di ettolitri. I vini rossi invece sono prodotti in 22,1 milioni di ettolitri nel 2015, sostanzialmente in linea con la media storica, ma il 17% in più sul 2014.

Da più parti, inoltre, si evidenzia che il mercato del vino, interno e internazionale, resta troppo legato alla leva del prezzo e questo è sentito come un elemento di metamorfosi difficile da eludere al momento delle scelte sugli scaffali. Inoltre non bisogna trascurare le voci in controtendenza emerse anche dall’inchiesta WineNews, che individuano principalmente in due elementi, Brexit e Trump, le possibili ulteriori criticità. Se l’incognita Brexit non cessa di produrre preoccupazioni, i consumi nel Regno Unito non sono scesi e il settore dei servizi - che rappresenta l’80% dell’economia britannica, e comprende dai servizi finanziari alla ristorazione - nel mese di agosto è cresciuto come non era mai successo. La sterlina si è stabilizzata, l’indice Ftse 250 (che monitora le aziende britanniche quotate in borse) è tornato ai valori precedenti l’esito del voto e i sondaggi dicono che la maggioranza di chi ha votato per il “Leave” non si è pentito. Naturalmente tutto questo non vuol dire che le conseguenze della Brexit si sono esaurite, anche perché l’uscita del Regno Unito dall’Ue tecnicamente deve ancora avvenire.
Più incerti gli esiti del voto delle presidenziali Usa. L’elezione di Donald Trump con le sue politiche protezionistiche a favore dei prodotti americani (che potrebbero tradursi in dazi e altri ostacoli per i prodotti d’importazione) potrebbero portare problemi per il nostro export; ma in linea di massima c’è ottimismo, perché gli Usa si sono dimostrati affezionati al nostro Paese e ai nostri prodotti (attualmente viene mandato negli Stati Uniti un miliardo di euro in prodotti agroalimentari). Quindi, al di là dei problemi di breve periodo sui mercati finanziari, non sembra che il nostro Paese subirà delle conseguenze negative a livello economico, anche se sarebbe cosa buona e giusta cercare di rafforzare i contatti con la nuova amministrazione americana.

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