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Il 44esimo Presidente USA Barack Obama a tutto campo dal palco di “Seeds & Chips”: tra ogm, velocità dei cambiamenti (climatici e non) e ruolo della politica, il punto di vista dell’ex uomo più potente del mondo sul cibo nel mondo globalizzato

Italia
Obama parla di cibo e climate change a Seeds e Chips a Milano

Il climate change come punto nodale e fulcro delle molteplici sfide che aspettano l’uomo e il suo rapporto con la Terra; un’innovazione tecnologica pervasiva e in continua accelerazione, sulla quale bisogna discutere intelligentemente, ma senza lasciare che la politica rimanga indietro; la tensione vergognosa tra un primo mondo che getta cibo buono e quegli 800 milioni di persone che non ne hanno e, in tutto questo, la necessità di uno sforzo corale, e multisettore, per cambiare faccia alla produzione di cibo. Sono stati questi i punti chiave dell’intervento che Barack Obama ha tenuto dal palco della kermesse Milanese “Seeds & Chips”, svoltosi in larga parte in forma di intervista con il suo consulente per la politica alimentare, e chef della Casa Bianca, Sam Kass.

Un intervento che ha preso il via da quello che per il primo Presidente afroamericano degli Stati Uniti è il vero tema del nostro tempo, ovvero il climate change: un fenomeno sul quale “l’unica controversia vera tra gli scienziati è non se stanno aumentando o meno le temperature, ma di quanto: anche se smettessimo di emettere gas serra in questo momento, è previsto che gli oceani si innalzino di circa un metro, e secondo l’estremo più alto delle previsioni, anche di più”. Un fenomeno gigantesco, se non potenzialmente un vero e proprio cataclisma, che impone un approccio realista e concreto: e nel quale, soprattutto, la produzione alimentare globale ha un ruolo di primo piano, dato che l’industria del cibo è la seconda, dopo quella della produzione energetica, per quantitativo di gas serra immessi nell’atmosfera. “Se cambiassero i flussi delle precipitazioni - ha ammonito l’ex Senatore - potrebbero essere privati di fonti di cibo centinaia di milioni di persone, causando migrazioni di massa”. Migrazioni che, in una certa misura, stanno avvenendo anche adesso, e che l’Italia ben conosce: oltre a profughi e rifugiati di guerra, i flussi migratori che già ora stanno destabilizzando l’Europa, ma non solo, sono dovuti anche al bisogno di cibo e di sostentamento di centinaia di migliaia di persone. E’ quindi primario per l’ex inquilino del 1600 di Pennsylvania Avenue “mantenere i cambiamenti climatici nella fascia più bassa delle stime, per dar modo all’umanità di adattarsi”, e in questo il ruolo degli avanzamenti tecnologici, il cui momento cinetico non accenna a rallentare, è positivo. A differenza di quanto è avvenuto nell’industria energetica, però, le emissioni globali dovute alla produzione di cibo continuano a crescere sopra la media, e questo è dovuto anche al consumo di carne stimolato dalla nascita di classi medie nei paesi una volta in via di sviluppo: uno stato di cose che, secondo Obama, è dovuto al fatto che “il cibo non è stato un argomento all’interno del dibattito sui cambiamenti climatici, a causa della mancata esposizione del suo ruolo nell’emissione di gas serra”. Ma sempre di inquinamento si tratta - un inquinamento magari meno immediato nella sua comprensione rispetto “a una ciminiera fumante”, ma i cui risultati sono altrettanto evidenti.

Ovviamente il compito della politica, in quest’ottica, è accompagnare e stimolare cambiamenti positivi: una dinamica che però, nella produzione del cibo, “è difficile, specialmente dove ce n’è in abbondanza”, ha rimarcato Obama facendo l’esempio della Commissione Agricoltura del Parlamento statunitense, dove spesso i membri agiscono più per la propria costituency che per il bene comune. Resistenza al cambiamento, quindi, e di conseguenza, bisogno di “un cambiamento che tenga conto delle necessità dei coltivatori, specie se piccoli”, perché a differenza dei grandi conglomerati dell’agribusiness “il loro è un lavoro duro, spesso sull’orlo di dover chiudere la fattoria. Ma se rendiamo convenienti le innovazioni, saranno i primi ad adottarle”. Una di quelle più dirompenti, in questo senso, sono stati, e sono ancora, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura: un argomento sul quale le opinioni tra le due sponde dell’Atlantico sono, per usare un eufemismo, molto distanti. “L’approccio che ho scelto sul tema da Presidente è lo stesso che ho preso per il climate change, ovvero far decidere la scienza. Proprio perché le persone sono molto sensibili al tema del cibo, e a cosa danno da mangiare alle loro famiglie, è giusto essere cauti nei confronti delle nuove tecnologie, ma non possiamo essere pregiudizialmente chiusi ad esse. L’umanità”, ha notato Obama, “ha sempre modificato geneticamente: il riso, il granturco, il mais che mangiamo oggi non è certo quello di mille anni fa: abbiamo imparato dalle nostre esperienze, e il metodo scientifico non si può più fermare. Ci vogliono ovviamente tutele nell’approccio a queste tecnologia, ma sul tema la politica deve lavorare con la scienza. Il dibattito sugli ogm”, ha notato, “mi preoccupa, perché mi sembra che si ragioni troppo per partito preso. Le innovazioni tecnologiche arrivano che lo si voglia o no, quindi tanto vale avere una discussione intelligente sul tema”.

Un futuro, quello del cibo in ottica globale, che passa quindi innanzitutto dalla tecnologia, ma che non può prescindere dalla componente umana, una componente che per Obama è rappresentato dai giovani: “il cibo non è solo conteggio delle calorie, ma è un collante sociale. E sono le giovani generazioni che possono cambiare l’approccio collettivo al cibo”, soprattutto agendo nelle loro comunità quotidiane, localmente, come lo stesso Obama ha fatto in gioventù a Chicago. E poi, “a lungo termine, per sfamare più persone possibile l’esempio giusto è quello del motto “non dare a qualcuno che a fame un pesce, ma insegnagli a pescare”. Abbiamo insegnato ai coltivatori africani come pensare da imprenditori, e muoversi verso l’alto lungo la catena del valore: quello è l’approccio che a lungo termine genererà più ritorni. E a parte le crisi acute, come Somalia ed Etiopia, questo è l’approccio”: lavorare sulle comunità degli agricoltori e degli allevatori, coinvolgendoli in prima persona e assicurando, tramite la politica, rinforzi positivi e non negativi. “E per favore”, ha concluso Obama prima di salutare Milano, “cerchiamo di non bruciare il pianeta”.

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