Un regista unico che coordini finalmente le diverse realtà vitivinicole del Paese e abbia la forza e la credibilità per interloquire in modo proficuo con le istituzioni, da un lato, e per rappresentare in modo immediato e chiaro l’Italia sui mercati internazionali, dall’altro. Ecco cosa si augurano principalmente per questo 2018 appena iniziato alcune delle principali associazioni di rappresentanza del vino italiano intervistate da WineNews: Federvini, Uiv, Federdoc e Fivi hanno raccontato di un anno nuovo già colmo di nuovi progetti pratici, temi spinosi da affrontare e di questioni incompiute da risolvere, eredità di un 2017 che si porta dietro, sì, alcune importanti soddisfazioni, ma anche nodi impegnativi che non è riuscito a sciogliere, come l’incapacità di una gestione corretta dei fondi europei o la mancanza di alcuni decreti attuativi del Testo Unico del Vino, approvato già un anno fa.
Iniziando proprio dal 2017, WineNews ha chiesto ai presidenti delle 4 associazioni cosa resta di negativo e cosa di positivo. “Non riusciamo a gestire il settore vinicolo in modo coerente con le attenzioni che riceve. Il vino italiano è, infatti, sotto i riflettori da parte del pubblico come del privato per 365 giorni l’anno: è un’attenzione preziosa, ma dev’essere convogliata per non sprecarla. Siamo interlocutori frammentati - confessa Sandro Boscaini, presidente della Federazione Italiana Industriali Produttori, Esportatori ed Importatori di Vino - Federvini (www.federvini.it) - mentre il vino dovrebbe essere considerato un unicum: sia come voce che parla alle istituzioni nazionali, sia come voce che si rivolge al mercato straniero, per promuovere il vino italiano con immediatezza. Personaggi illuminati hanno reso vivace e forte i diversi ambiti territoriali ma oggi non basta più: il mondo ha bisogno di un rinnovato linguaggio. A livello aziendale già ci sono realtà consolidate (come i consorzi o diverse associazioni) che hanno trovato soluzioni coordinate di comunicazione, ma è utile aggiungere l’apporto istituzionale: bisogna iniziare a disegnare delle soluzioni d’insieme. Un’eredità positiva è invece stata l’approvazione del Testo Unico del Vino, andato in applicazione ad inizio 2017, e la legge sull’Enoturismo approvato alla sua fine: due risultati molto positivi, nonostante l’attuale situazione politica (l’approvazione del Testo Unico è stata fra i pochi esempi di voto unanime di questa legislatura!), che lasciano sperare in un cambiamento di rotta nell’approccio al settore vitivinicolo. Una sorta di riscatto culturale, un segnale di vera attenzione e di rispetto. Ancora più importante se legato a questo anno internazionale del cibo italiano. L’Italia possiede una cultura del buono, del bello e dell’armonia che può insegnare e diffondere: senza calpestare le tradizioni e i sapori peculiari alle diverse culture, semplicemente trasmettendo il valore della scelta della qualità”.
Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Vini - Uiv (www.uiv.it), tocca subito il tema più scottante del 2017: “ci portiamo dietro le incertezze di disponibilità delle risorse Ocm alle aziende, risorse che non tengono conto delle reali necessità aziendali e delle repentine potenzialità del mercato (come, ad esempio, la rapida svalutazione del dollaro statunitense e l’aumento della concorrenza francese). I piani quinquennali sono poco elastici sia per le loro tempistiche che per la varietà intrinseca al settore vitivinicolo italiano: creano più disparità che sinergia perché fondano su logiche burocratiche e non meritocratiche. E serve più efficienza, anche nella rendicontazione, che ha costi troppo elevati per le aziende. Di positivo invece c’è stato il sorriso orgoglioso e ottimista di Stefano Vaccari del Ministero delle Politiche Agricole, che sta portando avanti con caparbietà le nostre istanze in merito alla dematerializzazione dei registri. Riteniamo sia una risorsa importantissima di dati aggiornati, anche sulle vendite, che permetterebbe di pianificare meglio gli investimenti e gli obiettivi nazionali, abbassando i costi aziendali dovuti all’incertezza, alla fumosità. Il prossimo passo è quello di rendere più efficaci anche i controlli, che devono avvenire da remoto e, solo in un secondo momento, coinvolgere realmente l’azienda in modo più mirato, per non creare, di nuovo, ulteriori costi alle aziende”.
Anche per il presidente di Confederazione Nazionale dei Consorzi - Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro (www.federdoc.com), la gestione dei fondi europei ha rappresentato il punto più basso dell’anno appena passato. “A prescindere dalle batoste che ci ha inflitto il clima, su cui purtroppo non possiamo intervenire, il nodo più grosso che ci trasciniamo dal 2017 è l’incapacità di una corretta gestione de fondi europei, sia in termini di Ocm, coi suoi ritardi cronici, sia del Regolamento 1144: i 3 milioni andati all’Italia a fronte dei 24/25 milioni alla Spagna e ai 31,5 andati alla Francia, gridano vendetta - ha constatato Ricci Curbastro - e qui paghiamo l’assenza di un Ministro delle Politiche Agricole. La più grande soddisfazione è invece la firma del Ceta, l’accordo con il Canada, che rappresenta un ottimo punto di riferimento futuro per quel che concerne la protezione delle Denominazioni. Un riconoscimento importante che avrà ripercussioni positive anche sugli accordi futuri, come quello del Giappone, conclusosi a novembre. Anche l’approvazione prima di Natale del pacchetto Omnibus grazie allo sforzo di De Castro e del deputato europeo Herbert Dorfman”.
Va dritta alle questioni pratiche la lista dei nodi lasciati in sospeso dal 2017 di Matilde Poggi, presidentessa della Federazione Vignaioli Indipendenti - Fivi (www.fivi.it): “nel 2017 non siamo riusciti a delineare, in quanto filiera, una proposta condivisa sull’etichettatura, come ci ha richiesto di fare l’Unione Europea entro marzo 2018: il termine della scadenza è dopo domani e manca l’accordo. Da parte delle istituzioni, invece, stiamo ancora aspettando parte dei decreti attuativi del Testo Unico sul Vino, senza i quali resta lettera morta. Un grande risultato dell’anno passato è stato, invece, riuscire a ridimensionare parte della burocrazia legata ai registri telematici: in particolare essere riusciti ad eliminare l’obbligo di dichiarazione cartacea delle giacenze per le aziende che hanno già sono online”.
Dopo lo sguardo al passato, ci si rivolge al futuro, pieno di propositi pratici da gestire nell’immediato, ma anche di prospettive più ampie che bisogna in qualche modo iniziare ad affrontare. La mancanza di un regista comune che dia una voce coordinata ed efficace al variegato mondo del vino italiano, come s’è detto, è uno dei punti più urgenti da risolvere, sia per i grandi produttori, ma anche per i piccoli, come ha confermato Matilde Poggi: “nel 2018 potremmo lavorare a creare un regista unico per proporre i vini italiani all’estero nelle manifestazioni internazionali. L’Italia produce vini di qualità e offre una varietà di vitigni autoctoni, che ci rendono unici al mondo. Ma c’è troppo individualismo: saremmo più forti se facessimo fronte comune, non tanto nella quantità, quanto nel valore della produzione (ancora bassa rispetto ai nostri diretti concorrenti francesi). Come Fivi vogliamo continuare questa comunicazione proficua, di dialogo e conoscenza, iniziata gli scorsi anni con i consumatori. E continuare a promuovere il logo Fivi, pieno di significato: sempre più aziende ci credono. Soprattutto giovani, sia per storia che per età dei conduttori. A questo riguardo, un altro obiettivo 2018 sarà lavorare meglio sui dati a disposizione dell’associazione. Chiederemo più collaborazione da parte dei nostri associati, perché avere in mano una situazione aggiornata delle dimensioni, dei fatturati e delle singole caratteristiche aziendali, è uno strumento utile e potente nelle relazioni con le istituzioni. Il tema di ampio respiro da affrontare, invece, riguarda le autorizzazioni agli impianti. Non funzionava il sistema vecchio, che si basava sulla compravendita dei diritti, ma non funziona nemmeno il regime di oggi, che porta all’affitto di terreni in regioni diverse dove poi si espiantano i vigneti. In Francia non hanno questo problema di autorizzazioni: lì la questione si gioca sul rinnovo degli impianti. In Italia invece si sta investendo molto sul vino, come in Veneto. Non so quale sia la soluzione giusta, ma basterebbe imporre il reimpianto di un vigneto nella stessa Regione in cui si è espiantato”.
“Mi auguro un Ministro delle Politiche Agricole più presente e non diviso fra gli impegni ministeriali e quelli di partito - entra nel merito a gamba tesa Ricci Curbastro, coerente con le critiche rivolte all’assenza politica durante il 2017 - un giudizio che non attacca minimamente l’intelligenza e la preparazione dell’attuale Ministro, che stimo. Ma semplicemente due lavori che richiedono presenza costante sono troppi per tutti. Sul piano operativo di Federdoc, invece, il 2018 sarà importante per portare a compimento le certificazioni Equalitas. Una certificazione che ha diversi partner e che sta riscuotendo consenso sia fra le aziende, che nei territori e sui mercati, anche fra i buyer internazionali. A Vinitaly presenteremo le prime aziende certificate e anche i primi territori certificati: finalmente uno strumento che misurerà la viticoltura non solo per la sua origine e qualità, ma anche per la sua sostenibilità economica, sociale ma soprattutto ambientale. L’orizzonte più ampio sono i vitigni resistenti. Le Denominazioni devono iniziare a discutere di questa frontiera per formarsi non solo un’opinione ma anche un’opportunità di investimento nel caso si rendesse necessario”.
Una maggior coordinazione nel mondo del vino è ciò che si augura anche Abbona, sebbene puntando più su un lavoro di tutela che di promozione. “Le frodi e i falsi oggi avvengono più all’estero che in Italia. Deve intervenire l’Unione Europea che però dedica maggiore attenzione a tutelare altri prodotti (come quelli informatici), rispetto a quelli alimentari. Nel caso del vino si danneggiano marchi collettivi - ha commentato il presidente Uiv - quindi sono i Consorzi o lo Stato, o appunto l’Ue, che devono intervenire per tutelare il settore. Questo serve nel 2018: più tutela, perché la promozione deve avvenire a livello aziendale. Ed è il motivo per cui è così sfaccettata: ci sono aziende che puntano sul marchio, chi sul vitigno, chi sul territorio o sulla denominazione. Ma non è necessariamente un aspetto negativo: è una complessità che riesce a soddisfare bisogni e richieste diverse che vengono dal mercato. La tutela invece deve avvenire tramite un fronte comune. La buona notizia è che il Giappone ha accettato gli accordi proposti dall’Unione Europea di riconoscimento delle denominazioni di origine, come quella del Prosecco. Seguirà probabilmente anche la Cina (a differenza di Australia e Brasile). A conferma che chiari quadri di riferimento normativi sono di aiuto a spazzare via quella penombra, quell’incertezza che permette ai frodatori di agire indisturbati. Gli accordi bilaterali sono il futuro. Serve finalmente un mandato politico preciso e costante che crei presupposti definiti e positivi capaci di creare valore. Questo è il mio auspicio per i prossimi anni per tutto il Paese, che si rifletterebbe anche sul settore vitivinicolo”.
Riorganizzazione interna e Politica Agricola Comune i temi in agenda per Federvini: “stiamo lavorando ad una forte riorganizzazione per mettere in pratica gli obiettivi di interesse per il settore che gli Associati si attendono: sempre più vocata verso servizi utili e voce ragionevole delle imprese associate, con una particolare attenzione verso i marchi e i territori, come espressione di una qualità giusta e corretta. In queste pagine bianche del 2018 vogliamo iniziare a scrivere diversamente, fissando le buone pratiche da seguire negli anni a venire. Fra i grandi e pesanti mattoni da posare abbiamo sicuramente la Nuova Politica Agricola Comune dell’Unione Europea che partirà dal 2020. L’Italia in generale, e nel particolare anche il settore vitivinicolo, è cresciuta molto grazie all’Europa: non dobbiamo dimenticarlo, oggi, che si stanno mettendo in discussione le fondamenta della Comunità. L’impostazione della politica agricola è passata nel tempo da misure punitive agli eccessi di produzioni, a interventi di sostegno al mercato, con anche il sostegno alla promozione nei mercati dei Paesi terzi. Questo cambio di rotta nel guardare al mercato, sostenendolo e sviluppandolo, lo apprezzo ma va affinata la sua applicazione, razionalizzandola meglio e creando regole da ritagliare sulle capacità e sulle potenzialità degli attori del settore. Senza mai dimenticare il vigneto, che deve essere solido, valido e produttivo, capace di generare un prodotto di valore e apprezzato dai mercati stessi”.
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