A WineNews, il vino italiano messo a nudo, con i suoi punti di forza ed i suoi nei, da Monica Larner, voce in Italia della pubblicazione più autorevole del settore, The Wine Advocate, partendo dall’attualità dei numeri, che certificano, dopo tanti anni, il sorpasso in valore delle esportazioni francesi su quelle italiane nel mercato Usa, dove in realtà, “i consumi continuano a crescere, ecco perché lo stallo dell’Italia desta qualche preoccupazione. I numeri degli altri Paesi crescono, solo l’Italia è rimasta ferma. Ci sono tante teorie sui motivi del calo, di certo quello che emerge chiaramente, sia dalla parte delle istituzioni che da quella degli importatori, è un momento di confusione per il marketing del vino italiano, anche dovuto alla gestione dei fondi Ocm. Se per le aziende grandi è più semplice l’accesso ai fondi, spesso i piccoli restano fuori, creando una percezione limitata, all’estero, di un territorio. Dopo anni di entusiasmo, adesso dobbiamo vedere come vengono effettivamente usati. Personalmente, sarei contenta se, oltre alla promozione, venissero legati ad attività di educazione, di formazione, di ricerca in vigna. Tornando alla confusione che si crea negli Usa, basta guardare agli eventi per capire di cosa sto parlando: noi di “The Wine Advocate” faremo un evento a San Francisco a marzo, e nella stessa settimana ci saranno altri appuntamenti, da Slow Wine a James Suckling, passando per il Gambero Rosso, creando una certa confusione, perché arriveranno centinaia di produttori ma divisi tra eventi diversi. È una cosa che succede ovunque, non solo nelle grandi città Usa, ma anche in Asia e negli altri mercati emergenti. Forse bisogna focalizzarci su come viene gestita la comunicazione di tutti questi eventi”.
Comunicazione che, per il vino del Belpaese, è particolarmente complessa: la caratteristica distintiva dell’Italia enoica è la sua ricchezza di varietà e denominazioni, una carta alla lunga vincente, ma che rischia di rivelarsi come un limite in un mercato che premia le semplificazioni. “All’inizio può essere un ostacolo, ma a lungo andare si rivelerà sicuramente un plus, perché l’Italia rimane competitiva grazie al fatto di avere tantissimi territori diversi, ognuno con i suoi produttori. Ci vuole molto per imparare tutte le denominazioni e capire le sottozone con le sue differenze, ma il consumatore, piano piano, diventa più sofisticato, ha voglia di crescere e di conoscere. Forse adesso è ancora un piccolo ostacolo, ma presto rivelerà tutta la sua ricchezza”. Varietà che, dalla Val d’Aosta a Pantelleria, finisce quotidianamente nel bicchiere di Monica Larner, sempre “entusiasta di ciò che assaggio, c’è sempre più coerenza stilistica nei diversi territori, non ci sono più contrasti forti, ogni vino che assaggio diventa sempre più lo specchio del territorio da cui proviene. Per quanto riguarda la qualità siamo ad uno dei punti più alti della storia”.
E se negli ultimi anni il dominatore del mercato è stato il Prosecco, con l’Etna a rivelarsi come territorio di qualità, la sorpresa potrebbe arrivare “dalla Campania, dove nutro molte speranze, è una Regione che offre tantissimo, e penso soprattutto all’Irpinia, dove c’è una grande densità di aziende che lavorano davvero bene. Una zona davvero interessante e vivace, da dove stanno venendo fuori bellissimi vini. Dall’altra parte, se dovessimo scommettere su una zona emergente, il futuro per come lo vedo io è del Chianti Classico, che sta vivendo un grande momento, con un approccio moderno ed aperto al mondo, crea entusiasmo. Certo, non è un territorio emergente, al contrario, ma viene da anni non facili, e merita di tornare ad emergere”.
Un blasone, quello del Chianti Classico, all’altezza di Barolo, Brunello di Montalcino e Amarone della Valpolicella, tre territori, questi ultimi, in cui lo scontro, anche politico, è sempre più vivace, tra ampliamento della zona di produzione, zonazione e diatribe interne al mondo produttivo. Lo specchio di una diversità di vedute, ma anche “di una certa vivacità - conclude Monica Larner - che leggerei in chiave positiva. In ogni zona produttiva del mondo, non solo in Italia, ci sono queste “faglie”che si muovono in direzioni diverse, tradizionalisti contro innovatori, botte grande contro barrique, e poi c’è il contrasto tra chi arriva da fuori e chi è sempre stato sul territorio. Ci sono tanti contrasti tra i filari, ma alla fine sono segnali di una crescita e di una forza del vigneto italiano di poter vedere dove vuole andare. Se tutti fossero sempre d’accordo e non si muovesse mai nessuno non ci sarebbe futuro. Sono contenta di vedere che i territori riescono ancora a vivere di confronto, dibattito e scambio di opinioni, abbiamo tutti diritto di dire la nostra, e la discussione non può che fare bene a tutti”.
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