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VINO E CLIMATE CHANGE

ProWein Media Summit 2019: la crisi climatica è un’equazione complessa, domande ed esperienze

A Geisenheim ricerca, produttori, distributori e commercianti riuniti per dare risposte pratiche ad un cambiamento che non si stabilizzerà facilmente
CLIMATE CHANGE, PROWEIN WINE SUMMIT, vino, Mondo
Vigneti in lotta contro li cambiamento climatico (Ph James Sturcke)

Aumento della temperatura, incertezza vendemmiale, carenza d’acqua, eventi atmosferici intensi e repentini, sviluppo della vite sotto stress, dilavamento dei terreni, aumento dell’emissione della Co2, sviluppo vitigni e portainnesti resistenti, energia rinnovabile, variazioni sostanziali nelle fasi fenologiche e nello sviluppo del grappolo, certificazioni ambientali, impatto della logistica ... la crisi climatica è un’equazione vasta che contiene decine e decine di variabili e ricerca una quantità significativa di risposte, non solo limitate al mondo del vino. Servono soluzioni globali, rapide e coraggiose: la collaborazione fra le diverse parti in causa (produttori, consumatori, distributori, media, istituzioni, commercianti e ricercatori) non è quindi solo auspicabile ma necessaria ed è ciò che si è proposto di fare il ProWein Media Summit 2019 nel riunire dal 20 al 22 novembre nella sede dell’Università di Geisenheim i diversi attori coinvolti: fare il punto (per quanto parziale) dello stato della ricerca nel mondo, esporre le soluzioni pratiche ad oggi trovate non solo in vigna e in cantina, ma anche dal lato logistico, senza dimenticare le aspettative, le intenzioni e le richieste che provengono lungo tutta la filiera, consumatori compresi.
Su quest’ultimo punto si è concentrato il Prowein Business Report 2019 dedicato appunto al “Climate Change” e come questo stia cambiando il settore del vino. Un barometro di tendenza, presentato dalla professoressa Simone Loose - presidente dell’Institute for Wine and Beverage Business Research dell’Università di Geisenheim, che da diversi anni coinvolge innumerevoli esperti della produzione, distribuzione e commercializzazione (quest’anno 1.700 da 46 Paesi), redatto ormai da tre anni in collaborazione con la stessa Università di Geisenheim. La crisi climatica coinvolge pesantemente l’agricoltura e specialmente la viticoltura perché legata alla terra e quindi difficilmente trasferibile altrove: fra le preoccupazioni maggiori di chi lavora in questo ambito, infatti, la crisi climatica preoccupa il 50% degli attori (subito dopo le politiche contro l’alcool e la stagnazione economica).
Già da anni i produttori hanno messo in atto pratiche agricole ed enologiche quotidiane per mitigare l’effetto del cambiamento, ma molti - soprattutto le aziende più grandi e le cooperative, che possono reagire in modo più flessibile - stanno prendendo in considerazione progetti a lungo termine, come la possibilità di trasferire o acquistare impianti in zone più fredde (sia in latitudine che altitudine).
Secondo il report, sono già 5 anni che il cambiamento climatico si fa concretamente percepire: dai piccoli produttori in primis al 98%, a seguire le cooperative all’89% e infine i grandi al 75%; come anche dagli esportatori (70%), dagli importatori (59%) e dal commercio all’ingrosso (63%), ma per motivi diversi. Se i produttori fanno i conti con le conseguenze agricole ed enologiche (vendemmie scarse e variabili e ridotte nel tempo, stress idrico, maggior pressione patogena, investimenti su nuove varietà), gli altri attori devono affrontare la volatilità del prezzo, della quantità e della qualità del vino (e le soluzioni adottate sono: una maggiore cooperazione con i produttori, l’indirizzarsi verso altri produttori o altre zone di produzione). Aumenta nel contempo la richiesta di sostenibilità: non basta consumare mano acqua; gli sforzi devono riguardare anche il consumo di energia lungo tutta la filiera, compresa la distribuzione; infine il consumatore finale, che va - ancora - educato a scegliere vini sostenibili. Le certificazioni in questo caso sono un utile strumento che ormai diverse agenzie propongono in tutti i paesi del mondo: in questo caso il limite da superare è la frammentazione dentro e fra i diversi paesi del mondo.
Se cambia il clima, cambia la reazione della pianta e di conseguenza anche il vino. Per quanto riguarda la qualità, oltre il 50% dei partecipanti al report ha confermato un cambiamento sensoriale del prodotto finale e questo ha indotto molte aziende a usare tecnologie e prodotti enologici per mitigarne gli effetti: questo vale per il 49% delle grandi aziende e degli imbottigliatori, solo per il 17% delle cooperative e dei piccoli produttori. Il motivo può essere duplice: le piccole aziende hanno meno possibilità di investimenti, ma si riferiscono anche a mercati e consumatori diversi; da qui una minor possibilità o necessità di intervenire. Per quanto riguarda la quantità, la variabilità di vino disponibile impatta soprattutto sulle grandi aziende (48%) e sugli esportatori (32%), come anche la volatilità del prezzo (53% delle grandi aziende e il 50% degli esportatori, compresi i commercianti per il 45%). Questo, in un contesto di erosione del prezzo dovuto ad anni di sovrapproduzione rispetto ad una richiesta di consumo costante se non in diminuzione, che ha ridotto il profitto del 53% delle cooperative e del 44% di grandi aziende e imbottigliatori. Una nota dolente per le imprese: meno profitto significa meno disponibilità finanziaria a investimenti atti a mitigare l’impatto della crisi climatica.
Le previsioni per i prossimi 10 anni non sono migliori e accentuano le preoccupazioni maturate negli ultimi 5 anni. Più richiesta di fitosanitari e di vitigni resistenti ai cambiamenti climatici sono i due focus su cui i produttori puntano maggiormente in prospettiva decennale (insieme ad una gestione più efficiente di acqua ed energia). In cantina, la maggior parte delle aziende (soprattutto di grandi dimensioni) punterà su nuove pratiche enologiche per affrontare i cambiamenti sensoriali del vino che si aspettano il 62% dei commercianti, il 55% degli imbottigliatori e il 42% dei produttori. La carenza di vino disponibile e l’aumento di prezzo (fino ad ora calmierati dai produttori maggiori) è attesa da tutti gli attori della filiera indistintamente: il maggior coordinamento con le cantine non sarà più sufficiente e si mette in conto una diminuzione del profitto, soprattutto per le piccole cantine, meno flessibili a venire incontro alla richiesta di mercato.
Anche il consumatore finale influenza il trend: la richiesta di vini sempre più leggeri ed eleganti va in totale controtendenza rispetto ai risultati in vigna. L’aumento delle temperature e la scarsità di acqua produce, infatti, uve sempre più concentrate e perciò vini dal grado alcolico sempre più elevato. Questo porterà ad un’ulteriore pressione sui produttori che stanno raggiungendo il limite delle capacità di adattamento in vigna e che quindi dovranno intervenire con investimenti maggiori e a lungo termine. Anche le regolamentazioni e le denominazioni saranno chiamate in causa e dovranno adattare i disciplinari ai cambiamenti in atto. Il tema è insomma globale e tutta la filiera concorda che la sostenibilità è il tema su cui nessuno può tirarsi indietro per permettere al settore di sopravvivere.
A partire dalla ricerca scientifica: molti sono ormai i centri di ricerca d’eccellenza che collaborano per portare avanti un pezzetto della complessa equazione. L’università di Geisenheim si è posta ad esempio la domanda di quali sarebbero gli effetti pratici di un aumento di Co2 nell’atmosfera riguardo alle piante, verdure e viti in particolare. L’aumento di temperatura ha infatti conseguenze sui roghi e sulla composizione del terreno, che stanno entrambi contribuendo ad aumentare la quantità di anidride carbonica nell’aria. Face è un impianto di 6 cerchi che soffia 2 diversi livelli di Co2 sulle colture dal 2013, cercando di stabilire come reagiscono le piante il Cabernet Sauvignon e il Riesling. I risultati fino ad ora raccolti: maggiore fotosintesi e maggiore conduttività stomatica, un aumento dell’area fogliare laterale, e un aumento della produzione dovuta ad un aumento della grandezza dei grappoli, che però non ha portato ad una maggiore concentrazione zuccherina. La ricerca di Face ha come motore la consapevolezza che questa crisi climatica non è temporanea ma duratura e che se non si interverrà non si fermerà, accelerando.
Già oggi negli Stati Uniti a Los Angeles si stanno registrando i +3 gradi centigradi che si prevedevano entro il 2030. Il Rheingau - zona viticola considerata fresca - ha registrato una temperatura media vendemmiale di 17 gradi centigradi (rispetto alla media di 14° del secolo scorso). L’estate 2018 è stato il punto di non ritorno per la viticoltura tedesca (come lo è stato il 2017 per quella italiana): mai prima di allora le vigne della Mosella avevano subito uno shock termico di tale portata; le bombe d’acqua hanno dilavano i terreni, soprattutto quelli più ripidi i cui impianti qualche decennio fa erano stati convertiti a ritocchino, per agevolare la meccanizzazione dei vigneti; il Riesling si sta dimostrando poco adatto a questi rapidi cambiamenti e l’irrigazione è attualmente la soluzione a cui i produttori si rivolgono. Ma c’è anche chi sta iniziando a piantare Cabernet Sauvignon. E chi ha abbastanza solidità economica per tornare a terrazzare le colline. Nessuno sta con le mani in mano.
Ne sa qualcosa l’Australia, che ha ormai un’esperienza pluri-decennale alle spalle in tema di irrigazione, perché della crisi climatica si sono accorti prima di tutti (il primo report in tema risale al 1988) e subiscono roghi ormai anche in primavera per il drastico innalzamento delle temperature. Qui il 60% delle cantine partecipa tramite l’Awri (The Australian Wine Research Institute) su base volontaria ai diversi programmi di sostenibilità ambientale. Lo sa anche il Portogallo, che nel Douro con Advid (Associação para o Desenvolvimento da Viticultura Duriense) affronta gravi carenze di acqua sperimentandone la vaporizzazione, che fa ricerca sul caolino per proteggere le piante dalle scottature, e verifica una sorta di parcellizzazione delle vigne basata sulle esposizioni e i vitigni autoctoni a loro più adatti. Ma lo sa anche l’Italia, dove l’Eurac (centro di ricerca privato a Bolzano) incrocia dati sulle temperature, la maturazione delle uve, l’irradiamento solare e l’altitudine per trovare nuove frontiere impiantabili per il Pinot Nero, ben consci di dover affrontare condizioni climatiche più fredde, terreni meno adatti e conflitti con altre colture.
In Francia, in Germania e in Svezia, invece, si è fatto rete. Il progetto Laccave (dell’Institute National De La Recherche Agronomique), ha creato un pensatoio di 23 laboratori per trovare insieme ai diversi attori delle azioni fattibili e multidisciplinari nel breve e lungo periodo: 500 partecipanti per 2.222 proposte strategiche che hanno coinvolto anche la parte governativa a livello nazionale e regionale. In Germania la certificazione Fair N’Green mette in rete ormai più di 40 aziende vitivinicole europee per attuare buone pratiche sostenibili: dall’uso di energia elettrica da risorse rinnovabili, alla sostituzione di bottiglie leggere, diminuendo l’impatto anche del 45% di emissioni di Co2 per litro prodotto. In Svezia, invece, è il governo ad essersi mosso, tramite il monopolio della vendita di bevande alcoliche: Systembolaget ha definito un codice di comportamento che richiede alla filiera intera di sottoscrivere. Dai produttori, alla logistica, tutti devono aderire a delle norme di sostenibilità e tracciabilità non solo ambientale, ma anche sociale, adeguata ai diversi paesi di provenienza.
Se c’è tanto movimento, è un buon segno: d’altronde il settore del vino da è da sempre pioniere nell’affrontare i drastici cambiamenti e le sfide che l’agricoltura ha dovuto subire nei secoli. Basti pensare alla fillossera, fra i più recenti. La professoressa Claudia Kammann, presidente del Climate Impact Research for Special Crops di Geisenheim, ritiene però che “il wine business sia troppo ottimista nel credere che il cambiamento climatico abbia effetti solamente moderati nel prossimo decennio e oltre. Finché non diminuiranno drasticamente le emissioni fossili e di gas effetto serra, non c’è un limite massimo al riscaldamento globale, nessun nuovo, stabile clima cui i coltivatori possono adattarsi”. Non è insomma solo questione di vino, che è in fin dei conti, un bene superfluo. “La questione è molto più drammatica - avverte il professor Hans Schulz, direttore di Environ Group OIV e presidente dell’Università di Geisenheim - e la stiamo evitando: si tratta di affrontare uno stile di vita e alimentare che non è più (e non è mai stato) sostenibile. Il vero punto non è il vino: è che potremmo non avere più nulla da mangiare”.

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