Dal Campanile di Giotto alla Torre del Mangia, da Piazza della Signoria a Piazza del Campo, il Chianti Classico, semplicemente uno dei territori del vino più belli del mondo, corre tra la Firenze del Rinascimento e la Siena del Medioevo, per i 70.000 ettari di boschi e colline, e 7.200 ettari di vigneti tra piccoli borghi, pievi e castelli che disegnano la bellezza del Gallo Nero. Territorio antico, dove le vigne e le cantine trasudano storia, tra antichi castelli e moderne cattedrali enoiche, tutte tessere di un disegno che rapisce. Un territorio, il Chianti Classico, che è storia secolare e vivente di grandi dinastie del vino, dagli Antinori ai Corsini, dai Frescobaldi ai Ricasoli, per citare le più celebri, ma anche presente fatto di tante realtà diverse, grandi e piccole, antiche e nuove, che non solo lo mantengono, ma lo rendono sempre più bello, proiettandolo nella modernità. Territorio che vive un grande presente, che nei numeri vuol dire una leggera crescita delle vendite nel 2019 sul 2018, che sembrano avere il vento in poppa anche nel 2020 (+10% a gennaio sullo stesse mese 2019), prezzi delle uve in crescita del 10%, e soprattutto le due tipologie più preziose, Gran Selezione e Riserva, che valgono il 42% in volume ed il 55% in fatturato, con un valore dell’economia del territorio del Chianti Classico stimabile in 800 milioni di euro, di cui la metà dalla produzione vinicola imbottigliata. Un territorio antico, dunque, con un presente solido, e che, dalla “Chianti Classico Collection”, oggi e domani, a Firenze, alla Stazione Leopolda, con oltre 200 produttori ed i loro vini, pensa al suo futuro. Che, secondo i produttori, è fatto di sempre maggiore qualità, di una più dettagliata territorialità dei vini, e anche di un racconto ancora più forte sui mercati del mondo (130 i Paesi raggiunti dalle bottiglie del Gallo Nero), che dica forte e chiaro che il Chianti Classico è oggi uno dei vini più importanti del mondo, che non teme confronti con nessuno.
“Il futuro passa dalla continua ricerca della qualità migliore possibile - commenta Giovanni Manetti, presidente del Consorzio del Vino Chianti Classico e patron della griffe Fontodi - e su questo c’è la massima condivisione e coesione sulle politiche del Consorzio. Qualità per noi vuol dire sempre più autenticità e territorialità, vuol dire produrre vini di grande carattere, non replicabili in nessuna altra parte del mondo. Bisogna trasferire il territorio dentro la bottiglia, esprimendo tutte le diversità, come una pietra preziosa che riflette la luce da tutte le sue sfaccettature”.
“Dobbiamo mostrare le tante eccellenze che sono nel nostro territorio, non solo con la Gran Selezione, che sta crescendo con grande successo, ma anche quei piccoli gioielli su cui puntano tanti produttori, i single vineyards, i Sangiovese in purezza prodotti su suoli diversi e così via, saranno le diverstià che faranno riconoscere il Chianti Classico nel mondo come una grande eccellenza”, dice, dal canto suo, Francesco Ricasoli, della storica Barone Ricasoli.
“I progetti che servono per fare crescere il Chianti Classico sono già in essere - sottolinea Stefano Capurso, direttore generale di Dievole, una delle più importanti cantine del territorio, di proprietà del petroliere argentino Alejandro Bulgheroni - penso per esempio alla Gran Selezione, che dopo qualche scetticismo ha portato 116 produttori ad introdurla e che vale sempre di più. Il futuro sono le Unità Geografiche Aggiuntive, che servono per aggiungere valore ai marchi, legandoli a zone più specifiche. Sarà quello che porterà il Chianti Classico ad un livello ancora più alto”.
“La qualità ormai è un punto fermo per tantissime aziende - sottolinea Marco Pallanti della celebre Castello di Ama - il Chianti classico è uno dei “best buys” a livello internazionale, si compra a prezzi ancora al di sotto della qualità del vino. Quindi io parlerei della promozione dell’immagine, dobbiamo raccontare che siamo “buoni, belli e bravi”, perchè ancora non è percepito da tutti, ancora c’è confusione tra Chianti e Chianti Classico, che è una cosa che ci danneggia. Dobbiamo separare sempre di più queste due denominazioni ed investire sull’immagine”.
“Non dobbiamo mai sentirci arrivati - aggiunge Albiera Antinori, alla guida della Marchesi Antinori, uno dei nomi più importanti del vino italiano - c’è ancora tanto da fare su tanti fronti, sul tema della qualità, dell’identità del Sangiovese, dell’enoturismo, della promozione sui mercati internazionali, non ci può fermare su niente, chi si ferma è perduto, si deve andare avanti e di corsa”.
“Siamo in uno dei territori più belli della Toscana - commenta Duccio Corsini, esponente di una delle famiglie più antiche della nobiltà fiorentina e guida di Villa Le Corti-Principe Corsini - e sicuramente la strada fatta fin qui è stata buona. Si deve continuare su questo percorso, magari facendo meno cose ma fatte ancora meglio. Serve una maggiore promozione del territorio, che vuol dire raccontare chi ci vive, come ci vive, cosa ci coltiva e come, nel nostro caso uva e vino, ma non solo, perchè c’è un tessuto agricolo completo. E poi puntare sull’ospitalità, che forse è quello che ha resto il Chianti Classico famoso prima di altri. Penso al passato e agli inglesi con il “Chianti Shire”: forse va rilanciato questo concetto con una chiave più qualitativa, e parlando ad un pubblico più vasto”.
“Io credo molto nel chianti classico, ci sono nato, Nozzole per noi è la più grande delle nostre aziende - spiega Giovanni Folonari delle storiche Tenute Folonari - e quella su cui investiamo di più. Sono contento di vedere che il lavoro fatto da noi e da altri produttori che ci credono come noi stia pagando, sono passati anni luce da quando si metteva il 20% di uve bianche nel Chianti Classico, o del fiasco. Oggi facciamo grandi vini che non hanno paura di confrontarsi con nessuno dei grandi vini di Toscana e del mondo. Dobbiamo fare ancora tanti passi avanti, un primo è stato la Gran Selezione. Il nostro problema è che la nostra immagine forse non è trasmessa in modo chiaro, in tanti fanno ancora differenza tra Chianti Classico e Chianti, dobbiamo differenziarci sempre di più”.
“Investire nel terroir, nelle persone e nella tecnologia, che può aiutare tantissimo. Poi c'è territorio e territorio, la cosa positiva è che cresce la qualità, ogni anno, anno dopo anno ci sono vini sempre migliori, e questo fa bene al territorio. Stiamo parlando di Chianti Classico, parliamo di Chianti Classico, distinguiamolo dal Chianti, altrimenti si fa grande confusione, perchè sono cose molto diverse tra loro”, sottolinea Stefano Marzotto del Gruppo Santa Margherita, che possiede la griffe Lamole di Lamole.
“Il futuro è la qualità, in tutte le sue forme - aggiunge Paolo De Marchi, alla guida della iconica Isole e Olena - a partire dall’identificazione delle forme territoriali più piccole all’interno del chianti classico. La denominazione è il Chianti Classico, noi dobbiamo puntare sulla tavolozza delle differenze. Le grandi zone del vino del mondo sono tutte così, si basano sulle differenze all’interno dei singoli territori. L’obiettivo per fare crescere il Chianti Classico è la qualità, che è anche correttezza produttiva e correttezza commerciale”.
“Il Chianti Classico sicuramente ha le luci addosso ma ancora oggi è sotto-rappresentato in termini di qualità reale dei prodotti - dice Filippo Mazzei, alla guida di Castello di Fonterutoli - quindi secondo me la prima cosa da fare è comunicare bene quello che stiamo facendo. Uscendo anche da degli schemi un po’ tecnici e tradizionali: credo che oggi il Chianti Classico debba puntare ad avere una posizione più sul mercato e avere il coraggio di posizionarsi più in alto, in modo che poi ci sia tutto un ritorno positivo per tutti. Spesso siamo noi produttori che siamo forse poco coraggiosi: ci sono dei movimenti che negli ultimi periodi molto interessanti a livello di nicchie, i prezzi stanno salendo, bisogna prenderne coscienza e andare avanti”.
“In questi anni il Chianti Classico è cresciuto molto grazie a degli investimenti molto importanti che hanno fatto praticamente tutte le aziende del Chianti Classico, soprattutto nei vigneti ma anche in cantina, insomma per riuscire a valorizzare tutto quello che le nostre vigne ci potevano regalare. Dobbiamo far conoscere sempre di più i nostri vini che sono, secondo me, eccezionali, che non hanno niente da invidiare a nessun altro vino in Italia e nel mondo. Puntando forte sulla Gran Selezione, e investendo sui mercati, tanto su quelli maturi che su quelli emergenti”, dice dal canto suo Sergio Zingarelli, alla guida della griffe Rocca delle Macìe.
“Sicuramente uno degli elementi che il nostro territorio dovrà tenere in considerazione nel breve periodo è il cambiamento climatico. Penso che una risposta delle politiche consortili e delle politiche del territorio a questa nuova sfida sia un elemento di valore aggiunto per l’intero territorio e in particolare per il nostro settore, che è quello della viticoltura di qualità”, aggiunge Tommaso Marrochesi Marzi, alla guida di Bibbiano.
“Secondo me molto importante è aumentare la consapevolezza dell’identità, anche della micro-identità delle zone, e quindi lavorare molto sull’identificazione delle zone e delle varie differenze, per dare più forza al territorio, un territorio molto ampio, molto vasto, che ha molto bisogno di essere guardato più nello specifico, quindi parlando delle zone, dei comuni più che si può, questo è molto importante”, aggiunge ancora Emanuela Stucchi Prinetti, alla guida di Badia a Coltibuono, mentre per Alessandra Casini Bindi Sergardi della cantina Bindi Sergardi, bisogna “parlare della ricchezza del nostro territorio attraverso una descrizione più accurata dell’entità e dei villaggi storici, questo è il progetto più importante su cui tutto il Chianti Classico sta lavorando, e penso che dare più informazioni e raccontare la diversità sia una carta vincente”.
Un Chianti Classico che, dunque, per crescere ancora nello scacchiere dei grandi vini del mondo, in sintesi, deve puntare sulla sua maggiore valorizzazione, raccontando le sue tante diversità. Ma anche nel Gallo Nero, come in altri territori della Regione, si inizia a ragionare sul fatto se la parola “Toscana”, di per sé uno dei marchi più forti del made in Italy e non solo, potrebbe essere un valore aggiunto in etichetta (come fatto dal Vino Nobile di Montepulciano) anche per il Gallo Nero o meno. Un tema che, ad oggi, non è un priorità nel Chianti Classico, a detta di molti produttori già un marchio molte forte di suo. Ma per la maggior parte, l’ipotesi, un domani, di aggiungere “Toscana” sulle etichette di Chianti Classico, potrebbe aiutare, soprattutto nei mercati nuovi, anche se non manca chi sottolinea che, prima ancora di pensare ad un passo simile, andrebbero definiti meglio i contorni dell’Igt Toscana (per il quale è nato un consorzio ad hoc), per evitare confusione.
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