La preoccupazione per l’ulteriore impatto economico, ovviamente, c’è, ma in alcuni casi pesa ancora di più lo sconforto per misure già stringenti che vengono cambiate in maniera repentina, e che colpiscono tanto chi si era già messo in regola, i più, che chi non lo aveva fatto. Misure che, peraltro, sembrano colpire nel mucchio, là dove di situazioni contingenti di criticità sanitaria non ce ne sono palesi, dove si sono osservati i protocolli. Misure che, peraltro, dividono anche le forze di Governo, con diversi esponenti che hanno già pronunciato diversi distinguo. Fatto sta che da oggi, alle ore 18, le serrande si chiuderanno per tutti: bar, pub, ristoranti (ad eccezioni di quelli degli alberghi e di quelli lungo strade e autostrade), pasticcerie e così via. Per pochi, là dove a pranzo si lavora un po’ (con numeri già molto ridotti per mancanza di turismo straniero e smartworking), un lock down a metà. Per altri, i più, soprattutto fuori dalle città, dove si lavora solo a cena, di fatto è una chiusura tout court, quella stabilita dal Dpcm del 24 ottobre, in vigore da oggi. E che ha compattato la protesta di tutta la filiera, dai ristoratori ai produttori di vino e materie prime, tutti consapevoli che la salute è il bene più prezioso da salvaguardare ma che, anche alla luce degli sforzi già fatti dal settore della ristorazione per adeguarsi ai protocolli di sicurezza, colpire tutti e ovunque avrà ripercussioni fortissime, e senza alcuna certezza sui promessi “ristori” annunciati dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ma tutti da trovare. E a creare caos su caos, come detto, anche le divisioni nel Governo, che ha varato la misura. Emblematiche, in questo senso, le parole del Vice Ministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, intervenuto, proprio in queste ore, ad “Agorà” su “Rai 3”: “non sono pienamente d’accordo anche se poi la decisione viene presa sui dati, guidata da un Comitato Tecnico Scientifico (Cts). Sono perfettamente d’accordo con la professoressa Viola, l’immunologa dell’Università di Padova convinta che non abbia senso chiudere a caso, e che invece le chiusure andrebbero definite in base ai dati relativi all’andamento dei contagi nei vari luoghi di aggregazione. I dati dovrebbero essere in possesso chiaramente del Cts - ha confermato Sileri - andrebbero analizzati per ogni tipo di categoria, dal trasporto alle palestre ai ristoranti, e in base ai dati, laddove vi è un rischio di contagio documentato, lì è chiaro che serve una chiusura. Con la professoressa Viola mi sento molto spesso e anche nei giorni scorsi ho detto che speravo non si chiudessero bar e ristoranti, perché lì, come nella scuola, il rischio di contagio è basso se le regole vengono rispettate. Sono molto più preoccupato dei contagi che avvengono in ambito familiare, è quello il vero problema”, ha detto Sileri.
Ma tant’è, e le reazioni di ristoratori e non solo, vanno tutto in un solo senso. “Ci sono tante cose contraddittorie in queste norme - commenta, a WineNews, Cristina Bowerman, presidente degli Ambasciatori del Gusto, ristoratrice ed imprenditrice con la Glass Hostaria di Roma, una stella Michelin - non si capisce perchè se un ristorante è sicuro a pranzo non lo sia a cena, o perchè lo siano quelli lungo le autostrade e gli altri no. Che l’impatto economico sarà forte è evidente, che alcuni falliranno altrettanto, ma tra alcuni colleghi viene la voglia di mollare non tanto per la questione economica, ma perchè in questo quadro dove si cambiano le norme da un momento all’altro, dopo che ci è stato chiesto di adeguarci ai protocolli, cosa che abbiamo fatto, è sconfortante. E poi i ristori, che in questo caso non sono una concessione, ma sono un diritto, quando e come arrivano? Su alcune misure ci sono ritardi enormi, su altre ci sono le norme ma mancano decreti e codici per accedervi, e intanto le tasse si pagano. Così è dura”.
“Siamo sconfortati e delusi da queste decisioni del Governo, che non sa gestirsi - dice, a WineNews, Chicco Cerea, chef del tristellato Da Vittorio della famiglia Cerea, a Brusaporto, nome leader anche dell’hotellerie di alto livello e delle banchettistica - e mette in difficoltà tutto un comparto importante dell’economia italiana. É una scelta sbagliata, non capisco perchè in un ristoranti dove tu mangi in sicurezza in 30 persone a pranzo 30 persone la sera non vanno bene. Dal 18 maggio, quando abbiamo riaperto, ci siamo adeguati alle regole, al protocollo, abbiamo messo in sicurezza tutto, e tutto per nulla, perchè non c’è un Governo che ha la forza di farsi rispettare, e di controllare chi rispetta le regole e chi non lo fa. Intervenga chi vuole, anche l’esercito se serve, e chi non rispetta le regole sia colpito anche duramente, ma chi fa lavorare il proprio staff in sicurezza, aiuta le famiglie dei dipendenti, ospita i clienti in sicurezza, va fatto lavorare. In Cina, dove abbiamo appena ricevuto la seconda stella, ormai siamo alla normalità, si lavora più di prima, si convive con il Covid applicando le regole, e guai a chi sbaglia. Da noi non siamo capaci di far osservare le norme, si fa di tutta l’erba un fascio e si chiude tutto. Sono scelte che tutti noi pagheremo cari, spero che si capisca, ma ne dubito, sono veramente amareggiato, tutta la categoria è arrabbiatissima, stiamo pensando a cosa fare, in modo etico, per far riflettere tutto. Quello che conta di più ovviamente è la salute, ci mancherebbe, ma se chi fa le scelte operative lavora così, temo che sia a rischio anche quella. Ci saranno ripercussioni economiche e sociali importanti, penso a tanti bravi colleghi che da anni fanno bene il loro lavoro che saranno in grande difficoltà. Si sapeva che sarebbe arrivata questa seconda ondata, ma abbiamo fatto niente su scuola e trasporti? No, e mettiamo in ginocchio chi ha fatto il suo lavoro fino a ieri. Di 300.000 pubblici esercizi facciamo di tutta l’erba un fascio, non va bene. Si colpisce chi lavora bene e vuole far andare avanti questo bellissimo Paese che non è mai governato da gente all’altezza”.
“Rispettiamo le regole, ovviamente, ma abbiamo diritto di commentarle, e non mi piace che venga fatta di tutta la categoria un unicum, perchè a tutti i livelli ci sono ristoranti in grado di rispettare protocolli e lavorare in sicurezza, a pranzo come a cena”, dice, a WineNews, Enrico Bartolini, lo chef più stellato d’Italia, a partire dalle tre stelle Michelin del Mudec di Milano - incontrato ad “Identità Golose”, a Milano, Congresso Internazionale di Cucina, che ha chiuso oggi - che aggiunge: “come si è già detto in passato, non è l’orario di contagio che cambia la pericolosità, ma il modo in cui si lavora e come si rispettano le regole. Avrei preferito che ci fosse stato detto “sarete puniti nel caso non rispettiate le regole”, ma il distanziamento, le mascherine, l’igiene dei luoghi, come è stato raccomandato, è sempre rispettato, e quindi non sono convinto molto da questo provvedimento. Mi prenderò le prossime ore con il mio team per capire cosa fare, l’apertura solo a pranzo potrebbe essere un ulteriore grosso danno economico che riceveremo, e quindi è difficile capire ora come affrontarla”.
C’è anche chi ha affidato ai social il proprio pensiero, come Niko Romito del tristellato Ristorante Reale, a Castel di Sangro, che, in un post Facebook, ieri, ha spiegato: “finito il turno di pranzo credo che tanti miei colleghi oggi si siano fermati e abbiamo posato il loro sguardo, come me, un attimo in più sui volti dei propri dipendenti, dei propri collaboratori. Un misto di rabbia, frustrazione e paura mi ha colto pensando al loro e al mio futuro mentre li vedevo intenti a pulire e far splendere la cucina, per renderla pronta come sempre per il turno della cena. Quella che sarà l’ultima cena. Sì perché quella di questa sera, domenica 25 ottobre 2020, sarà per molti ristoranti in Italia probabilmente davvero l‘ultima. Tanti di noi non avranno la forza di reggere alla scelta del governo di far chiudere bar e ristoranti alle 18 e di costringere un intero settore a rinunciare per un periodo di tempo probabilmente indeterminato a ben più del 50% del proprio fatturato. Non sarà sufficiente per molti di noi il “cospicuo sostegno” promesso dal governo per poter affrontare questa seconda traversata nel deserto nel giro di neanche otto mesi. La ristorazione italiana con questa decisione subirà un colpo letale. Tanti amici, ma anche ristoratori che non conosco in queste ore stanno valutando il da farsi: restare aperti per un solo turno e decidere come gestire il carico di lavoro fra i dipendenti o chiudere? Dopo la fine del lockdown la gran parte degli imprenditori del nostro settore ha riaperto investendo in termini di procedure, protocolli e strumentazioni per garantire ai propri clienti un’esperienza in piena sicurezza. Allo stesso modo abbiamo fatto per i nostri dipendenti: test settimanali di controllo, precauzioni, massima attenzione nella vita quotidiana fuori dal luogo di lavoro. Tutto questo non è stato sufficiente per instillare nei decisori pubblici l’idea che il nostro settore potesse garantire standard di sicurezza adeguati. I bar e i ristoranti scontano il pregiudizio di essere luoghi ad alto rischio di contagio. Non lo sono le fabbriche o altri luoghi che potranno continuare ad operare per sostenere l’economia del Paese. Noi no. Non voglio criticare la decisione G del overno, comprendo che il momento non sia facile e che le scelte da prendere possano produrre scontento e incomprensione. Non voglio sostenere che forse era meglio chiudere tutto un’altra volta, perché così appare una scelta parziale a punitiva solo per alcune categorie. Sento solo il dovere di condividere l’amarezza di questo momento perché tanti colleghi vedono in noi chef stellati un punto di riferimento, un modello, a volte una fonte di ispirazione. C’è rammarico, certo. Ma, allo stesso tempo, cresce il desiderio di fare la nostra parte di cittadini e imprenditori, la nostra parte di membri della comunità. Io lo farò al meglio delle mie possibilità, come sempre fatto in questi vent’anni di attività insieme a mia sorella Cristiana. Non sarà semplice, ma non è il momento di cedere allo sconforto. I nostri ristoranti resteranno aperti rispettando le indicazioni del decreto del Governo. Continueremo ad accogliere in sicurezza i nostri clienti e tutti coloro che, per necessità o piacere, ci verranno a trovare”.
Su Facebook anche le parole di una delle voci più importanti della “sala”, quella di Vincenzo Donatiello, maitre e sommelier del Piazza Duomo di Alba di Enrico Crippa e della famiglia Ceretto: “mai come in questo momento mi sento di dire che il nostro settore è sempre stato uno dei motori della nostra economia. Una classe politica cieca e sorda, da decenni e non solo ora, ritiene superfluo questo spicchio di economia e non solo. La cultura e la formazione dell’ospitalità, dell’accoglienza e delle ristorazione sono parte essenziale del patrimonio di una nazione. A quanto pare non della nostra, vista la fretta con la quale si è arrivati a questo nuovo colpo di mannaia. Mi auguro davvero che un giorno ci guarderemo tutti in faccia e ci racconteremo di quanto buio è stato questo periodo ma di quanta energia abbia avuto la ripartenza”.
Voci da parte di chef, imprenditori e di chi sta in prima linea, che esprimono posizioni comuni a tutte le organizzazioni di categoria, della ristorazione, ma anche del mondo della produzione agricola, alimentare e vinicola, che chiedono chiarezza, celerità nei ristori promessi, fino alla revisione stella della norma. “La Presidenza Fipe/Confcommercio ha nuovamente espresso perplessità e contrarietà alla chiusura dei pubblici esercizi alle ore 18. Per la ristorazione è impedita l’attività del servizio principale della giornata - sottolinea l’organizzazione - mentre per i bar si tratta di un’ulteriore forte contrazione dell’operatività. È una misura che costerà altri 2,7 miliardi di euro alle imprese della ristorazione. Se non accompagnate da contemporanee e proporzionate compensazioni di natura economica, sarebbe il colpo di grazia per i pubblici esercizi italiani, che già sono in una situazione di profonda crisi, con conseguenze economiche e sociali gravissime. La contrarietà si aggiunge alla consapevolezza che non esiste connessione tra la frequentazione dei Pubblici Esercizi e la diffusione dei contagi, come dimostrato da fonti scientifiche, che attribuiscono piuttosto ad altri fattori -mobilità, sistema scolastico e mondo del lavoro- le principali fonti di contagio. La Federazione ha preso atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte relativi ad interventi urgenti e specifici a favore del settore. Pur apprezzando l’impegno dal Governo, la Federazione si è immediatamente attivata affinché gli stessi siano economicamente significativi, certi e immediatamente esigibili per tutte le imprese del settore. La Federazione il prossimo 28 ottobre sarà comunque presente in 21 piazze d’Italia per ribadire i veri valori del settore - economici, sociali, culturali ed antropologici - messi in seria discussione dagli effetti della pandemia da Covid-19, che sta mettendo a repentaglio la tenuta economica del settore, l’occupazione (a rischio oltre 350.000 posti di lavoro) e il futuro di oltre 50.000 imprese”.
E se la situazione è preoccupante per i locali, lo è anche per tutta la filiera che li rifornisce, dai produttori di materie prime e di vino, soprattutto per chi è orientato alla qualità più elevata che vede nella ristorazione e nel consumo fuoricasa un canale fondamentale. “La situazione è decisamente preoccupante perché una parte importante dei prodotti che la nostra associazione rappresenta, ovvero 70 Consorzi dei prodotti Dop che sono di fatto la punta di diamante dell’agroalimentare nazionale, hanno nel mondo della ristorazione il loro sbocco principale più importante. Abbiamo sostenuto con forza il decreto ristorazione promosso dal Ministero dell’Agricoltura per dare un ristoro immediato ai ristoranti ma evidentemente, se questi sono chiusi, anche questa manovra rischia di non essere sufficiente. Capiamo le esigenze di carattere sanitario però quello che diventa oggi veramente importante è un ristoro economico velocissimo nei confronti di una categoria assolutamente determinante per le nostre produzioni”, ha dichiarato Cesare Baldrighi, presidente di Origin Italia, l’associazione che raggruppa tutti i principali consorzi agroalimentari Dop ed Igp italiani. “Aggiungerei un’attenzione particolare anche al mondo della grande distribuzione: gli alimentari continuano a essere aperti e diventeranno l’oggetto dei consumi degli Italiani nelle prossime settimane. Molte delle nostre produzioni, soprattutto quelle meno significative dal punto di vista quantitativo, trovano o possono trovare difficoltà in quel settore. Quindi un’attenzione particolare mi sento di rivolgerla anche a questo tipo di operatori”, ha detto Baldrighi.
“Dietro la ristorazione c’è una filiera di quasi 4.000 aziende e 58.000 dipendenti che con il Decreto in vigore da oggi accuserà ulteriori perdite per circa 1 miliardo di euro. Complessivamente, in questo annus horribilis il sistema distributivo nel canale horeca accuserà mancati introiti per oltre 8 miliardi di euro, pari a circa il 50% del proprio fatturato. Dietro alle saracinesche chiuse di bar e ristoranti ci siamo anche noi, e il Governo non potrà non tenerne conto nei piani di ristoro che sta redigendo. Chiediamo aiuti concreti e immediati”, ha detto Maurizio Danese, presidente di Gh - Grossisti Horeca, l’associazione che rappresenta le principali aziende italiane del food nel canale del “fuori casa”, oltre alle mense collettive e catering.
Focus diversi, invece, sul tema, quelli delle organizzazioni agricole. “La priorità assoluta è la salute pubblica ma, a seguire, è necessario tener conto delle conseguenze economiche delle nuove e necessarie misure assunte dal governo per frenare la diffusione dei contagi”, ha dichiarato il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. “Il settore della ristorazione è tra quelli presi in considerazione dai provvedimenti del Governo, con ulteriori limitazioni dell’attività - ha aggiunto - che avranno impatto anche sui settori collegati al canale horeca, in primo luogo quello agroalimentare. I ristori adeguati e tempestivi annunciati dal governo devono essere estesi alla filiera agroalimentare. Qualsiasi esclusione sarebbe incomprensibile ed ingiustificata”, ha detto il presidente Confagricoltura, ricordando come i consumi alimentari extradomestici, nel 2019, siano ammontati a 85 miliardi di euro, e come, secondo le stime di Ismea, a causa dell’emergenza sanitaria, si profila quest’anno una contrazione di 34 miliardi di euro. A subire, ovviamente, saranno anche gli agriturismi, sottolinea la Cia-Agricoltori Italiani: “lo stop alle 18 previsto dal nuovo Dpcm per le 24.000 strutture agrituristiche nazionali equivale alla chiusura delle attività, che non potranno sostenere i costi di apertura con i soli proventi del pranzo, i cui introiti nei giorni feriali hanno incidenza molto ridotta rispetto a quelli determinati dalla fascia oraria 18-21. La misura del Governo non tiene, inoltre, in nessun conto delle garanzie di distanziamento sociale offerte dagli spazi in piena campagna - sottolinea la Cia - e metterà definitivamente in crisi un settore che era faticosamente in ripresa dopo mesi di lockdown, con un danno fin qui stimato in 600 milioni di euro. Se a queste ingenti perdite di quote di mercato si aggiungeranno i prevedibili effetti delle nuove misure restrittive, assisteremo, dunque, a un’ecatombe di fallimenti con ricadute disastrose per i 100.000 addetti del settore. Il nuovo Dpcm avrà anche un impatto fortemente negativo per tutte le aziende agricole che hanno come unico sbocco commerciale il canale dell’Horeca -ristoranti, bar, mense, hotel- e che pagheranno un conto salato per la contrazione delle forniture di cibo fresco a tutto il comparto dell’agroalimentare “fuori casa”, in un Paese in cui circa un terzo dei consumi viene realizzato lontano dalle mura domestiche”. Eppure, come già successo nella fase più acuta del lockdown, tra febbraio e maggio, la filiera continuerà a fare la sua parte, sottolinea Coldiretti, “con oltre 3 milioni di italiani che continuano a lavorare nella filiera alimentare, dalle campagne alle industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati, per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione. L’approvvigionamento alimentare è assicurato in Italia grazie al lavoro di 740.000 aziende agricole e stalle, 70.000 imprese di lavorazione alimentare e una capillare rete di distribuzione con 230.000 punti vendita tra negozi, supermercati, discount e mercati contadini di Campagna Amica. Un impegno quotidiano senza sosta che - continua la Coldiretti - deve fare i conti con la chiusura di bar e ristoranti ma che ha dimostrato la sua efficienza durante la prima ondata del virus durante la quale non è mai mancato il cibo sugli scaffali e nelle dispense delle famiglie. Occorre dunque evitare inutili file che favoriscono gli assembramenti ed aumentano il rischio della diffusione del contagio ma anche mettono inutilmente sotto stress il sistema dei rifornimenti e i lavoratori coinvolti. Con l’attuale emergenza l’invito alla distribuzione commerciale è quello di privilegiare sugli scaffali prodotti made in Italy duramente colpiti dalla chiusura anticipata alle ore 18 della ristorazione che ha un effetto negativo a cascata sull’agroalimentare nazionale, con una perdita di fatturato di oltre un miliardo per le mancate vendite di cibo e bevande nel solo mese di applicazione delle misure di contenimento. Un drastico crollo dell’attività che pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura ma anche su salumi e formaggi di alta qualità che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori, come quello ittico e vitivinicolo, la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato. Le limitazioni alle attività di impresa devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di stato” ha affermato il presidente Coldiretti Ettore Prandini nel chiedere a cittadini ed operatori economici di “aderire con atti concreti alla campagna di mobilitazione #MangiaItaliano privilegiando negli approvvigionamenti sugli scaffali le mozzarelle con il latte italiano al posto di quelle ottenute da cagliate straniere, salumi ottenuti con la carne dei nostri allevamenti, frutta e verdura nazionale ed olio extravergine made in Italy al 100%”.
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