Nell’anno dell’emergenza pandemica il sistema vitivinicolo cooperativo (423 cantine per 4,9 miliardi di euro di giro d’affari e una produzione pari al 58% del vino italiano), ha mostrato la sua resilienza, registrando nel complesso una sostanziale tenuta del proprio fatturato (+1%), su cui ha inciso positivamente l’incremento di vendite nel canale della Grande Distribuzione Organizzata (+6%, dato Iri, 2021) e quello sulle esportazioni (+3%). Un dato complessivo che, però, è il risultato della crescita delle realtà più grandi e dimensionate, visto che, a livello di singoli, sono più le realtà che hanno registrato un calo del fatturato, rispetto a quelle che lo hanno mantenuto stabile o a quelle che sono cresciute. D’altronde, anche nella cooperazione la frammentazione è un dato di fatto, come in tutto il panorama del vino italiano. Basti pensare che le prime 25 coop del vino fanno il 65% del fatturato cooperativo enoico italiano. Anche per questo, probabilmente, si intensificherà quel processo di aggregazione che “è già in atto ed è da sempre nel Dna della cooperazione del vino”, ha detto, rispondendo a WineNews, il Coordinatore del settore vitivinicolo di Alleanza Cooperative Agroalimentari Luca Rigotti (che è anche presidente di un player di primo piano come la trentina Mezzacorona). È il ritratto di un parte importante del vino italiano (fatto però anche da tante piccole cantine focalizzate sull’horeca, che stanno soffrendo da tempo insieme al settore della ristorazione, ndr), che emerge dal “Vivite Talk” del vino cooperativo, iniziativa organizzata da Alleanza Cooperative Agroalimentari.
“Nel 2020 il 34% delle cooperative vinicole ha mantenuto stabile il proprio fatturato e un 41% lo ha visto in calo”, ha spiegato Denis Pantini, responsabile Wine Monitor di Nomisma, presentando lo studio sulla performance delle cooperative vitivinicole durante il Covid. “L’analisi ha anche evidenziato, di contro, come una cooperativa su 4 del campione intervistato - che numericamente rappresenta oltre il 50% del fatturato complessivo della cooperazione vinicola - abbia invece registrato un fatturato in aumento. Si tratta delle cooperative più dimensionate, con fatturati superiori a 25 milioni di euro, che nel 6% dei casi hanno addirittura registrato un sensibile aumento, superiore al +15% rispetto alle performance registrate nel 2019, prima dell’avvento del Coronavirus”.
Guardando ai singoli canali distributivi, lo studio ha messo in luce come la chiusura dell’horeca abbia portato ad una riduzione delle vendite per la quasi totalità delle imprese cooperative, senza distinzione dimensionale. Al contrario, gdo e e-commerce hanno principalmente favorito le cooperative più grandi, con oltre 25 milioni di fatturato. Nel dettaglio, il “fatturato Italia” delle cooperative del vino, nel 2020, è diminuito nel complesso del -13% sul 2019. E le crescite importanti del +50% in gdo (che vale il 59% del giro d’affari cooperativo) e del +72% dell’on line (che vale però ancora meno dell’1% del totale) non hanno affatto compensato il crollo dell’horeca (-95%), a cui si è aggiunto il forte ribasso di altri canali come mercato all’ingrosso e al dettaglio tradizionale, la vendita diretta e la vendita ad altre imprese. Anche alla luce di questo, ha sottolineato ancora Rigotti, sebbene la cooperazione abbia mostrato la sua forza nella grande distribuzione (che peraltro continua a crescere anche nei primi 3 mesi del 2021 almeno in volume, del +11%, ma vede tornare a crescere anche la forte promozionalità e quindi non i valori, ha sottolineato Virgilio Romano di Iri, che alla fine dell’anno stima un saldo più o meno in linea con il 2020, ndr), “la ripartenza dell’horeca, anche per le cooperative del vino, è auspicabile da domattina”. Un altro dato significativo relativo alle performance economiche della cooperazione è quello delle vendite sui mercati esteri. Se l’export di vino italiano nel complesso ha registrato nel 2020 un calo pari a -2,4% in valore, quello della cooperazione - nonostante le maggiori difficoltà per il segmento dei vini sfusi - ha invece registrato una crescita, pari al +3%.
E, secondo le cooperative del vino, i mercati più promettenti su cui investire nei prossimi anni sono, nell’ordine, Stati Uniti, Germania, Cina, Giappone, Regno Unito e Russia. “Avere una strategia multi-canale si è rivelata fin qui una scelta vincente che ha consentito alla cooperazione di tenere in un anno particolarmente difficile come quello della pandemia”, ha commentato ancora Rigotti. “I dati dello studio di Nomisma sono la dimostrazione pratica che le imprese che operano in differenti canali hanno pagato meno la crisi, grazie ad una compensazione che certamente non ha risolto le criticità ma ha consentito di attenuare gli effetti negativi della pandemia e le contrazioni di mercato”.
Per le prospettive del futuro, per le cooperative il digitale sarà una leva importante per la ripresa. L’analisi ha messo in mostra che le cooperative puntano sulla presenza su siti di e-commerce e sui canali social, cosi come sull’enoturismo e sull’ospitalità, oltre ad un consolidamento della presenza nella grande distribuzione. Un segnale di ottimismo viene dalla convinzione espressa da oltre la metà delle cooperative che ritiene che nel 2022 le vendite nel canale horeca ritorneranno agli stessi livelli del 2019 (mentre il 21% guardano al 2023 per un recupero pieno, mentre il 18% se lo aspetta più avanti nel tempo). Rispetto, invece, al rafforzamento della loro presenza sui mercati esteri, le missioni per incontrare fisicamente i partner internazionali e la misura della promozione in ambito Ocm rappresentano gli interventi che a parere delle cooperative restano i più efficaci. Crescente l’impegno delle cooperative sul fronte della sostenibilità: oltre il 50% delle cantine intervistate ha già adottato azioni concrete per ridurre l’uso di input chimici e azioni per la valorizzazione dei sottoprodotti, la riduzione e il riciclo degli scarti di lavorazione. Il 51% ha incrementato le produzioni biologiche e il 20% dichiara di aver già avviato processi di transizione digitale e industria 4.0. Eppure si guarda al futuro con ottimismo, ma anche con realismo, perchè se è vero che i dati dei bilanci dicono che la cooperazione ha tenuto, è altrettanto vero che una parte di quei bilanci (che per le cooperative guardano quasi sempre il ciclo di esercizio e non l’anno solare, ndr), come precisato dallo stesso Rigotti, sono influenzati spesso da una buona parte del 2019 “che è stato un anno di grande crescita e senza pandemia. In prospettiva sarà necessario fare i conti con gli stock giacenti in cantina, complessivamente pari a 56 milioni di ettolitri al 31 marzo 2021 (+3,6% su base annua), situazione che, anche in vista della prossima vendemmia, deve far riflettere rispetto alle più adeguate ed efficaci misure utili per gestire l’offerta. Comunque, i dati della cooperazione dimostrano l’adeguatezza del un sistema di governance della cooperazione, ma è ovvio che il futuro richiede di fare più formazione, tra dirigenti ma anche tra la base sociale, rinsaldando quel patto di corresponsabilità che nella cooperazione è strutturale. Il progetto della cooperazione è quello di creare valore, la cooperazione è nata per aggregare piccoli che non sarebbero arrivati da nessuna parte, non all’estero, non alla qualità che oggi c’è. Ci siamo saputi adeguare ai mercati, ai cambiamenti della società, facendo un lavoro sulla sostenibilità, che da ambientale diventa anche economica e sociale. Il futuro dell’agricoltura dipenderà dalle risposte che sapremo dare alle richieste di una società civile, in cui viviamo e lavoriamo. Lavoriamo per prodotti sempre più salubri, per un’etica del lavoro che è sempre più importante. Per il futuro sono ottimista ma anche prudente. La fase è critica, le cantine hanno fatto l’impossibile per resistere. La promozione resta fondamentale. E stiamo chiedendo a gran voce, insieme a tutti i Paesi Ue, che ci sia un aiuto alle iniziative promozionali anche all’interno dell’Unione Europea. Fino ad ora abbiamo avuto sempre risposte negative dalla Commissione, ma penso che i tempi siano maturi. Un altro aspetto importante, è che vada avanti il decreto sullo standard unico nazionale di sostenibilità e certificazione. Dobbiamo arrivarci, per poi promuoverla nel mondo, e per dire al consumatore, al livello mondiale, che il vino sotto quel marchio contiene salubrità, etica del lavoro, deve diventare un modo di porsi, sarà estremamente importante. Come lo sarà la ripartenza del turismo e dell’enoturismo, che non sono solo commercio diretto, ma anche promozione che dai territori i turisti riportano nei loro Paesi. Servirà di certo un aiuto della politica nazionale. Aiuto che non è solo o per forza fatto di soldi, ma di tante altre cose, come lo stesso standard unico di sostenibilità, o un aiuto a far sentire la nostra voce in Europa dove si parla di “Farm to Fork”, “Green Deal” e di tanti altri temi che influenzeranno il futuro”.
Futuro a cui, come sempre fatto, il vino guarda con coraggio e fiducia, anche se non mancano elementi di preoccupazione, ovviamente. Secondo le cooperative, quello più importante da considerare è la concorrenza di prodotti a basso costo (soprattutto da Spagna e Cile, sottolinea Pantini), tanto sui mercati esteri che su quello interno, ma preoccupano anche le politiche di controllo Ue sul consumo di bevande alcoliche, la crescente frequenza di avversità climatiche e malattie in vigna, le barriere doganali (tariffarie ed extradoganali) nei mercati extra Ue, e le tensioni commerciali internazionali, mentre sembrano meno preoccupanti questioni come la Brexit, le inefficienze nella logistica e nei trasporti, ed il reperimento di manodopera stagionale e specializzata, tema che invece ha tenuto banco nel 2020 della pandemia.
In cui però, c’è chi è cresciuto, come hanno raccontato le testimonianze di alcune delle più importanti realtà di tutta italiana, in un “viaggio virtuale”, guidato dal giornalista de “Il Messaggero” Carlo Ottaviano. Come La Marca, una delle realtà leader del Prosecco. “Abbiamo chiuso un 2020 in leggera crescita, come pensavamo succedesse prima del Covid. Il Prosecco Docg, più orientato ai consumi interni e all’horeca - ha detto il presidente Valerio Cescon - nonostante tutto ha chiuso quali in linea con il 2019, mentre il Prosecco Doc, che per più del 75% va all’estero ed in distribuzione moderna, è cresciuto +2,7% sul 2019. Ci sono tante preoccupazioni, ma i mercati fondamentali come Usa, Uk e Germania hanno tenuto, altri si sono sviluppati, come Francia e Svizzera. Se abbiamo superato questa crisi, vuol dire che abbiamo ancora margini per lavorare ancora di più sul valore aggiunto”.
Tra le case history di chi è cresciuto soprattutto con certi prodotti classici del consumo quotidiano italiano, quella di Cantine Riunite, una delle realtà più importanti dell’Emilia Romagna e d’Italia, come raccontato dal presidente Vanni Lusetti. “Il Lambrusco, anche grazie alle minori promozioni, è cresciuto del 7,7% in valore. E anche il Pignoletto, che per noi è un prodotto emergente, è cresciuto del 20%. A noi il canale moderno e l’export hanno portato grandi soddisfazioni”.
A testimoniare due trend come quello della crescita del bio e del boom del biologico, invece, è stato Andrea di Fabio, dg della abruzzese Cantine Tollo. “Nel bio crediamo da sempre, e le nostre linee biologiche hanno fatto +20% in valore. Così come crediamo da sempre nella multicanalità, e questo ci ha consentito performance in linea con le aspettative. L’e-commerce è stato un’ancora di salvezza per l’export. Certo, quando si va fuori da confini nazionali ci sono tante complicazioni, logistiche e burocratiche, e per questo servono interlocutori bravi, che noi per esempio abbiamo da tempo in Germania, e questo ci ha permesso di avere un paracadute importante. Però si deve avere presente che l’e-commerce è complesso. Anche a livello italiano c’è già una segmentazione importante. C’è l’e-commerce aziendale, in cui si sono buttati in tanti, ci sono i player di professione come Tannico, Vino.com e altri, ma un altro elemento molto interessante è l’e-commerce della gdo, che sta iniziando ad avere un ruolo importante”.
Ma, come detto, importantissimi saranno da un lato la ripartenza del turismo dei territori, e dall’altro l’ulteriore sviluppo di tutto quello che sono la sostenibilità e l’etica, come raccontato dai vertici di altre due cooperative di primo piano, la Terre del Barolo, nelle Langhe, e Colomba Bianca, in Sicilia. “Il nostro è un territorio trinato dal grande vino - ha detto i direttore di Terre del Barolo Stefano Pesci - quella delle Langhe è una filiera che mette insieme turismo, paesaggi Unesco, grandissima ristorazione, e che negli anni ha avuto un apprezzamento da parte del mondo ha spinto investimenti grandissimi, nella qualità dei vini, nella bellezza del paesaggio, nell’accoglienza. Noi siamo l’unica cooperativa della zona del Barolo, ma ci sono altre 300 aziende piccole o medie, quasi tutte di proprietà familiare, che hanno fatto la storia, insieme, alla cooperazione di questo territorio. I fatturati hanno tenuto, si sono rotti tabù sui canali, la gdo apre all’alta gamma. Ma la cosa che ci preoccupa di più è la possibile perdita di valore. Andremo a proporre sul mercato vini che abbiamo in cantina da 5, 6, 7 anni, nati in un contesto diverso con valori diversi. Ma dobbiamo difendere il valore, o distruggeremmo tanto di quello che negli anni abbiamo costruito. Nelle Langhe anche durante la pandemia si è investito per migliorare l’accoglienza e per farci trovare pronti alla ripartenza”. “Nel settore agricolo e viticolo due parole la hanno fatta da padrone, negli ultimi anni, biologico e sostenibilità. E saranno sempre più presenti - ha aggiunto Leonardo Tassetta, presidente di Colomba Bianca - anche dopo la Pandemia, perchè ormai molti sanno che tanti dei problemi del pianeta e della salute dipendono dalla qualità di quello che mangiamo e beviamo. Ora è il momento di creare sinergie con tutto il food, con i servizi, con il turismo, con la cultura enogastronomica dei territori. Tutti i paesi vanno verso l’aumento del biologico, e la Sicilia si candida ad essere leader, sia per questioni climatiche, che ci aiutano, ma anche per le rese per ettaro, che sono basse, e quindi bisogna dare valore al prodotto, si deve fare qualità e non quantità. Però il biologico non deve essere religione: siamo sopra la terra e sotto li cielo, non in una ampolla di vetro, le condizioni non sono sempre uguali per tutti e ovunque. Il mondo cambierà, i consumatori ce lo chiederanno. La sostenibilità è ambientale, ma anche economica e sociale. Servono risultati. Serve un mondo migliore, più sano, ma anche un reddito buono per i produttori e gli agricoltori”.
Messaggi su un futuro, che sarà diverso. “Ma che tornerà di certo a vederci incontrare in presenza in tutti gli eventi della cooperazione del vino, che si chiameranno Vivite”, ha concluso il presidente dell’Alleanza delle Cooperative Giorgio Mercuri.
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