Il futuro della sostenibilità ambientale è ormai alle porte. Anzi, ormai si può parlare di “presente” per i danni relativi al cambiamento climatico con relative ripercussioni sull’agricoltura. La sfida, dunque, passa da alcuni argomenti cardine del grande apparato “socio-agro-economico” relativo alla sostenibilità ambientale. Da Coop arriva una voce per il mondo delle istituzioni che contano, attese a Firenze per il G20 il prossimo 17 e 18 di settembre. Ieri, proprio in riva all’Arno, nel giardino di Villa Bardini, di scena “Coltivare il Futuro”, convegno (con comunicazioni di Marco Pedroni, presidente Coop Italia e Ancc Coop, Daniela Mori di Unicoop Firenze, Marcela Villareal, Direttrice Divisione Partnership e collaborazione delle Nazioni Unite, Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), Morgan Ody, European Coordinating Committee of Via Campesina e agricoltrice esperta di sostenibilità, Gran Bretagna e Marcello di Paola, docente e ricercatore all’Università Luiss di Roma e alla Loyola di Chicago), organizzato da Unicoop Firenze, per riflettere sui temi e sugli argomenti centrali della produzione agricola ed agroalimentare del domani.
Dal cambiamento climatico alle filiere alimentari transoceaniche, dall’antropocene al ruolo dei piccoli gesti quotidiani contro gli sprechi, il convegno ha messo in luce come ogni attività che l’essere umano svolga sulla terra sia di un qualche tipo di impatto sull’ambiente e che la direzione unica sia quella di ridurre al minimo l’incidenza in termini di erosione del suolo, di emissione di gas nocivi, impiego smodato di risorse idriche e non produca indotto a livello di economia locale. Dunque, uno degli argomenti fondamentali per la sostenibilità ambientale è il cibo e tutto ciò che ruota intorno ad esso. Specialmente il primo istinto dell’essere umano, ovvero la fame. Marcela Villareal, delegata Fao, ha messo in evidenza come ci sia una diretta correlazione tra i fenomeni attori della sostenibilità: “sappiamo che la popolazione mondiale è in continua crescita, per il 2050 ci saranno 10 miliardi di persone. Oggi si produce abbastanza cibo per tutti, ma non chiunque può permetterselo. Sta aumentando la fame, a causa di tre fattori. Dal 2005 la fame è diminuita. ma da quattro anni e specialmente dopo il Covid è aumentata. Conflitti, cambiamento climatico e crisi economiche. Il cambiamento climatico, ad esempio, è dannoso per l’agricoltura specialmente per quanto riguarda l’acqua. O troppa o troppo poca. La siccità è uno dei fenomeni più impattanti e oltre tutto ogni anno si perdono 12 milioni di ettari di terreno a causa della desertificazione. I cambiamenti climatici sono una componente importante nell’equazione dell’aumento della fame. Solo nel 2020 a causa del Covid si sono create 100 milioni di persone che soffrono la fame cronica. Per alimentare tutti nel futuro, nel 2050, dovremo aumentare la produzione del 60%, alla Fao diciamo che è possibile, come lo è stato in passato, però non sarà facile farlo in modo sostenibile grazie alla tecnologia e facendo attenzioni ai suoli e alla biodiversità”.
Dunque dalla fame e dal nutrire una popolazione sempre più in crescita passa il cammino dello sviluppo dell’agricoltura. In Italia il settore agroalimentare rappresenta un unicum sia in termini di qualità delle produzioni che di asset economico, con tanti piccoli produttori, le grandi cooperative, aziende di alto profilo e qualche realtà agroindustriale. Marco Pedroni, presidente di Coop Italia e Ancc Coop, ha, dunque, lanciato l’appello ad un’unità diffusa in tutte le parti che compongono il tutto:“l’agricoltura e l’agroalimentare sono molto importanti per l’Italia, sono la colonna portante e la vera offerta qualitativa del paese, un punto di riferimento. L’agroindustria è cresciuta. Dalla coltivazione alla trasformazione alla logistica nei supermercati. Tra queste filiere c’è bisogno di collaborazione, un’esigenza specifica e peculiare perché non siamo in grado di competere con la Spagna che ha produzioni con efficienze elevate a basso costo. Noi abbiamo una straordinaria varietà enogastronomica, dall’agricoltura all’industria fino alla distribuzione che offre la diversità delle cento e più cucine italiane. Non si può immaginare l’Italia che trasformi il proprio comparto agroalimentare in grandi imprese, esiste la forza del mettersi insieme come nel caso dell’azienda Melinda fatta da tremila piccoli produttori di mele legati da un consorzio e tante regole. L’unità di settore garantisce la stabilità dei contratti a lungo periodo e delle forniture. I cinquecento produttori che realizzano i prodotti a marchio Coop sono con noi oltre quindici anni, è fondamentale costruire una collaborazione. Specialmente ora, che si sta verificando un aumento dei prezzi delle materie prime e una conseguente inflazione, è rimanendo uniti che possiamo ammortizzare il colpo. Infrastrutture, meno intermediazioni e aggregazione ecco la via da percorrere, insieme a imporre il prezzo giusto”.
Dunque, parole che suonano di attualità in vista del G20 che vedrà svolgersi due seminari a carattere scientifiche sulla resistenza agli antimicrobici e sul rapporto fra agricoltura e cambiamento climatico. La tutela della biodiversità e degli ecosistemi, gli investimenti responsabili, il commercio nel settore agroalimentare, la valorizzazione del ruolo delle persone all’interno del sistema produttivo, le pratiche agricole rispettose dell’ambiente e che assicurino la tutela delle risorse naturali sono state poste alla base del percorso per una transizione verso modelli agricoli e alimentari sostenibili.
Al centro della vita agricola del Belpaese, dunque, ci sono i piccoli coltivatori e produttori, di cui i vignaioli rappresentano un’orgogliosa parte che occupa 610.000 ettari di terreno coltivato a vigna. Nel settore vitivinicolo esistono regioni simbolo dell’associazionismo e dell’ars consortile ma ci sono ancora tanti territori che hanno bisogno di aprire il varco delle filiere e unire, per garantire stabilità, coltivatori, imbottigliatori e distributori. “Sarebbe necessario che i piccoli si mettano insieme, con una collaborazione - invita Daniela Mori, Unicoop Firenze - la produzione italiana è caratterizzata dalla biodiversità e dobbiamo tutelarla con gli sforzi. Noi ci mettiamo l’impegno verso i nostri produttori e l’informazione verso il consumatore, che sta cambiato, ma questo non può bastare. Serve anche lo sforzo dei governi e degli stati con controlli e certificazioni. Oggi non si può far altrimenti di unirsi e bisogna prendere spunto dalle regioni che sanno associarsi.”
Ma il settore dell’agricoltura, specialmente fuori dall’Europa, è fatto anche da realtà ciclopiche che di fatto posseggono una grande percentuale di terra nel mondo e rappresentano una forza notevolmente impattante sull’ambiente, come ha sottolineato Morgan Ody, European Coordinating Committee of Via Campesina: “le grandi multinazionali si presentano come i campioni, del clima, della biodiversità per cercare di legittimare l’accaparrarsi delle risorse idriche, delle sementi, delle terre, dei vegetali e degli animali. Dicono che grazie alla digitalizzazione sono gli unici in grado utilizzare le risorse e trasformarle in ciò di cui la popolazione ha bisogno, cioè gli alimenti. La pretesa delle grandissime aziende, specialmente dell’industria digital come Google o Apple, che professano come mantra l’idea di salvare il pianeta è un’offesa nei confronti dei contadini del mondo. Questi discorsi sono contraddetti dalle ricerche della Fao e dai numeri scientifici seri, la realtà è una sola ovvero che siamo noi contadini e le comunità autoctone di tutti i continenti che sapremo produrre alimenti di qualità e in quantità sufficienti preservando la qualità, la biodiversità e tutte le specie viventi e con un impiego equo di acqua. Non siamo noi contadini a fornire il junk food che pesa anche sull’ecosistema ambientale e sulla salute dell’essere umano. Le culture agroecologiche producono più alimenti che le coltivazioni industriali piene di prodotti chimici. Le multinazionali hanno inondato la nostra natura di carburanti fossili. Non possiamo lasciare a loro il controllo dell’alimentazione mondiale”.
Fame, unità di filiera e difesa delle produzioni agricole locali e rispettose dell’ambiente circostante, i temi che riguardano la sostenibilità ambientale però non si esauriscono qui. Un altro processo che pesa molto, sull’ambiziosa meta del raggiungimento di un equilibrio ambientale entro il 2050, riguarda nello specifico l’essere umano ed è chiamato urbanizzazione. Un fenomeno che nel corso della storia è stato associato a grandi cambiamenti e rivoluzioni sociali e che, fuori dall’Europa, è in netta espansione con l’affermarsi di sempre più megalopoli, come ha evidenziato Marcello di Paola, Luiss di Roma: “un processo dinamico ed imprevedibile. All’interno dell’urbanizzazione si può evidenziare un fenomeno, ovvero che le popolazioni più diventano ricche più animali mangiano. Per sostenere tutto ciò serve terreno, acqua e approvvigionamento energetico. L’investimento in agricoltura è basso in confronto all’urgenza del problema che è su scala globale e oltretutto solo i paesi già sviluppati hanno i mezzi per analizzare i danni e lo stato in cui versa il proprio ambiente. Globalizzazione significa anche movimento, ad esempio di specie animale. Movimenti che portano elementi diversi dai pappagalli, alla xylella, al punteruolo rosso”.
Dunque, in attesa del G20, di cui l’Italia è alla guida, dedicato all’agricoltura, e che vedrà convogliare e conferire le principali economie del mondo (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione Europea), la parola d’ordine che arriva dalla voce di una delle maggiori forze distributive italiane è quella di unirsi tutti nel nome della sostenibilità. E della qualità, dell’innovazione, del rispetto dell’ambiente e delle persone, della tradizione e non solo, come raccontano tanti agricoltori e produttori fornitori di Coop Italia, in questo video.
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