Sin qui, abbiamo raccontato l’invasione russa in Ucraina perlopiù dal punto di vista del mondo del vino italiano, ossia quello che conosciamo meglio, attraverso i numeri delle esportazioni enoiche che, in modi diversi, raccontano un legame storico e solido sia con Kyiv che con Mosca. Sin dal primo istante, dalla prima bomba caduta sull’Ucraina, le ragioni e i torti sono apparsi ben chiari, e allora diventa importante non solo stringersi intorno al popolo ucraino, ma anche provare a raccontarne, per quel poco che riusciamo a fare, la piccola comunità del vino. Le cui vicende, in effetti, si intrecciano profondamente con quelle del conflitto. Come racconta l’associazione “Wines of Ukraine”, che raccoglie i produttori del Paese, fino all’XI secolo la viticoltura era presente in una sola Regione, la Crimea, dove era arrivata già nel IV secolo a. C., e da dove tutto è cominciato, nel 2014, quando fu prima invasa, e poi annessa dalla Russia, dopo un discusso referendum popolare.
La perdita della Crimea ha comportato la perdita di una buona metà del potenziale produttivo dell’Ucraina, perlopiù vini semi-dolci e vini da dessert, ma la comunità dei produttori di vino ucraini, appena qualche giorno fa, come ha raccontato a “Euronews” Eugene Shneyderis, proprietario di Beykush Winery, nel sud del Paese, non ha alcuna intenzione di abbandonare le proprie vigne e la propria terra, decisa a resistere. Come, in fin dei conti, fa proprio dal 2014, quando l’Ucraina perse la sua regione enoica di riferimento, la più rinomata, vocata e storica.
Allo stesso tempo, il conflitto che da allora ha messo a ferro e fuoco il Donbass, ha spinto i produttori a puntare su vini secchi, che seguono lo stile occidentale, prodotti in Transcarpathia e nelle zone meridionali di Odessa e Kherson. Dal 2015, così, la produzione di vini secchi è cresciuta ad un ritmo del 7-9% annuo, concentrata, come detto, in tre regioni: la più grande, che rappresenta il 50% della produzione complessiva, è quella a sud/ovest, vicino ad Odessa, quindi la Transcarpathia, a sud/est, al confine con Ungheria e Romania, e infine l’area a sud del Dnipro, vicino alla città di Kherson che, da ieri, è sotto l’assedio ed il fuoco russo. In tutto, l’Ucraina enoica conta poco più di 50 cantine, per 41.500 ettari vitati e ben 180 varietà diverse (specie francesi ed italiane), da cui nel 2019 sono stati prodotti 133,4 milioni di litri di vino.
Facendo un altro passo indietro, ai tempi dell’Unione Sovietica, le aziende agricole ucraine erano collettive, ma la compravendita dei terreni agricoli è rimasta illegale in Ucraina fino a pochi anni fa, quando una legge ha liberalizzato anche il settore enoico, che dopo decenni dedicati a produzioni industriali e massive, ha iniziato ad affacciarsi nel mondo del vino di qualità. Con lo scoppio della guerra, l’industria del vino, come tutta l’Ucraina, ha di fronte un futuro incerto, ma la volontà è quella di non abbandonare i vigneti: “Cosa possiamo fare?”, si chiede Eugene Shneyderis. “Io aiuterò le nostre forze, il nostro esercito, continuando il mio lavoro e continuando ad investire nel vino, è ciò che voglio. Se il nostro esercito avrà bisogno del nostro aiuto, glielo daremo. Non so cosa potremmo fare di più”. Sulla stessa linea, la presidente di Wine & Spirits Ukraine, Victoria Agromakova: “niente e nessuno fermerà il mondo del vino ucraino”.
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