La congiuntura internazionale non è certo delle più semplici, e gli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina si riflettono su ogni settore economico, compreso il vino. Che, in Europa, è impegnato su più fronti, preso in mezzo dal fuoco “amico” del Piano Europeo di Lotta al Cancro da un lato e dall’etichettatura dall’altro. Due minacce da non prendere sottogamba, perché capaci di mettere in crisi un intero modello culturale, quello della Dieta Mediterranea, di cui il vino è una componente fondamentale. Finita, ben al di là delle evidenze scientifiche, nel tritacarne di un dibattito pubblico che, pur mirando al benessere pubblico, finisce per minarne goffamente le poche certezze, difese, con la forza della ragione e delle evidenze, da alcuni degli studiosi più importanti del mondo accademico e scientifico italiano, riuniti, a “Vinitaly 2022”U, da Uiv (Unione Italiana Vini) e Federvini, nella tavola rotonda “La cultura del vino: un modello Mediterraneo”: il professore Andrea Poli di Nutrition Foundation of Italy, la professoressa Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa specializzata in scienza dell’alimentazione, e collaboratrice di “Superquark”, la professoressa Silvana Hrelia, Ordinario di Biochimica al Dipartimento di Scienze per la Qualità della vita dell’Università di Bologna, il professore Francesco Visioli, nutrizionista dell’Università di Padova, il professore Ernesto Di Renzo, Docente di Discipline antropologiche alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata, e Ignacio Sànchez Recarte, segretario generale Comitée Vin.
“Il dato cruciale da cui partire è che conosciamo benissimo la correlazione tra alcol e salute”, spiega il professore Andrea Poli. “Già nel 1997 la American Cancer Society ci spiegava che tra gli astemi il tasso di mortalità è identico a quello registrato tra i bevitori, prendendo in considerazione ovviamente tutte le cause di morte, non solo il cancro. La mortalità, tra gli uomini come tra le donne, è più bassa tra chi beve una quantità minima di alcol (un drink al giorno), arrivando a scendere anche oltre il 21%. Lo studio di “ Lancet” sui cui si basano le conclusioni della Commissione Beca, non prende in considerazione la prima parte della curva, quella che mostra appunto come la mortalità sia uguale tra tutti, dando un quadro parziale ed erroneo della realtà. I consumatori moderati non corrono un rischio maggiore di ammalarsi di cancro, ed entro certi limiti possiamo avere persino un effetto protettivo, mentre sopra certi limiti il rischio effettivamente aumenta. In definitiva, il vino non fa male, specie in piccole quantità, perché oltre all’alcol ci sono tanti altri composti minori che aiutano il nostro organismo”.
“Il vino rappresenta al meglio il bere mediterraneo: è un protagonista della Dieta Mediterranea, che a sua volta è uno dei modelli di dieta più conosciuti, i cui effetti benefici sono confermati da decine di studi: riduzione di eventi cardiovascolari, lotta all’obesità e all’ipertensione, minor declino cognitivo, minore incidenza di diabete”, dice Elisabetta Bernardi, nutrizionista, biologa specializzata in scienza dell’alimentazione. “Mangiare mediterraneo vuol dire privilegiare gli elementi vegetali - come ortaggi, legumi, semi, - utilizzare l’olio di oliva come condimento, consumare molto pesce, pollame e latticini in maniera moderata e meno carne rossa, oltre ovviamente al vino. Sia la Fondazione Dieta Mediterranea che la piramide di “Oldways” concordano sulle dosi giornaliere: un bicchiere di vino al giorno per le donne e due per gli uomini. Possiamo dire che il vino rosso fa buon sangue? In un certo senso sì, gli effetti benefici della Dieta Mediterranea sono nascosti negli alimenti che dovremmo utilizzare di più. Come i polifenoli del vino, a partire dal resveratrolo, che inizialmente era stato legato ad un aumento della longevità (in effetti ha un effetto su una parte del Dna, i telomeri, che riguarda l’invecchiamento dei cromosomi e che tengono compatto il Dna, e quindi rallentano gli effetti dell’invecchiamento). Si è scoperto poi che ha effetti benefici sulla salute cardiovascolare nel suo complesso, in sinergia però con i polifenoli contenuti negli altri cibi, non bastano quelli del vino da soli. C’è inoltre uno studio interessante, sulla longevità in 5 mosse, secondo cui bisogna tenere delle abitudini di vita e sottoporle ad un voto (ottimo, medio e scarso), e che riguardano il peso, il fumo, l’attività fisica, aderenza alle linee guida per una sala alimentazione e consumo di bevande alcoliche. Il modo italiano di bere, in definitiva, ha effetti positivi sulla longevità, e non influenza il rischio complessivo di cancro, oltre a combattere il rischio di malattie cardiovascolari”, conclude la nutrizionista e biologa.
“Il vino deve essere considerato un alimento liquido”, esordisce la professoressa Silvana Hrelia, Ordinario di Biochimica al Dipartimento di Scienze per la Qualità della vita dell’Università di Bologna. “Ha una matrice complessa, non è solo una soluzione idroalcolica, ha acidi organici, alcoli, fitocomponenti ad azione nutraceutica (ossia nutrizionale e farmaceutico). Ci sono elementi che hanno un’azione protettiva, ma in quantità minima. Tanti dati epidemiologici dimostrano una correlazione tra consumo di vino e protezione cardiovascolare, ma si è esagerato il ruolo di queste molecole. Che agiscono come degli interruttori sul nostro Dna, stimolandolo a sviluppare delle protezioni. Lo stato di buona salute, comunque, è un equilibrio perfetto, a cui concorrono eventi esterni, in senso negativo (stress, inquinamento), da cui difenderci con il nostro stile di vita (dal greco “dìaita”, ossia regime, stile, tenore di vita) per porci in maniera positiva di fronte agli eventi. È l’acetaldeide le molecola pericolosa dell’alcol, ma può essere detossificata da sistemi enzimatici indotti anche da componenti del vino, oltre che di altri elementi della Dieta Mediterranea, o ancora meglio italiana”.
“Tutto quello che compreremo al supermercato avrà un’etichetta, che ci dirà cosa è buono e cosa no”, commenta il professore Francesco Visioli, nutrizionista dell’Università di Padova. “È evidentemente un errore, non esistono prodotti cattivi, ma diete cattive: citando Paracelso, “è la dose che fa il veleno”. Il Nutri-Score, se passa, non può che creare storture: nella fascia A (ottimo prodotto) troviamo la pizza, nella fascia E (pessimo prodotto) prosciutto e cioccolata. E questo perché è parametrata sui 100 grammi di prodotto, per cui troviamo che l’olio d’oliva è messo peggio della Coca-Cola. I suoi ideatori ne difendono la concezione sostenendo che paragonare prodotti diversi tra loro non ha senso, mentre è una guida utile tra prodotti simili. Eppure, storture ce ne sono anche in questo caso: prendendo come esempio un dolce tipico, lo stesso prodotto con dolcificanti artificiali ne esce meglio di quello tradizionale con lo zucchero. Non servono etichette del genere, ci vogliono politiche sanitarie per migliorare la dieta, a partire dall’educazione alimentare nelle scuole e tra i consumatori. Non esiste un’etichetta scientificamente valida, dobbiamo sederci intorno ad un tavolo e scegliere quella migliore, smettendo di pensare ognuno al proprio orticello e pensare al bene condiviso a livello europeo”, conclude il nutrizionista dell’Università di Padova.
“La cultura ha una voce in capitolo importante per spiegare il rapporto che abbiamo con il vino, una sostanza di per sé eccezionale. Da antropologo sappiamo che potremmo farne a meno, eppure non è così da almeno 8.000 anni, da Dioniso a Bacco alla Bibbia”, dice il professore Ernesto Di Renzo. “È adatto a perseguire qualcosa che ci caratterizza, perché come specie cerchiamo edonisticamente il piacere, una caratteristica che ci ha avvantaggiato dal punto di vista dell’evoluzione verso la complessità. Questo crea paradossi ideologici, perché il piacere nella storia dell’uomo è stato spesso mortificato. Il vino rappresenta una singolarità della cultura, in senso matematico, qualcosa per cui le normali leggi non valgono. Ha vissuto una serie di coincidenze che lo hanno reso particolare: non lo beviamo per la coercitina o per il resveratrolo, ma per narrarci, dirci chi siamo, volerci bene, riconoscersi simili tra chi beve insieme a noi: Epicuro sosteneva che prima di stabilire cosa bere dovessimo decidere con chi bere. Per il semiologo Roland Barthes il vino è una sostanza pletorica, non basta la chimica per spiegarla, sarebbe come giudicare il David di Michelangelo non dal punto di vista estetico ma da quanta albite lo compone. Il vino è fatto per essere gustato, ma anche nell’Antica Roma si davano delle regole: “tre crateri, uno per Venere, uno per Dioniso e uno per Morfeo”, aggiunge il docente di Discipline Antropologiche alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Tor Vergata.
“Il settore del vino deve essere leader nella comunicazione al consumatore”, ricorda Ignacio Sànchez, segretario generale Comitée Vin. “Dobbiamo non avere paura di dire che il rischio esiste, ma dobbiamo essere al fronte, deve diventare un’attività normale. Wine in Moderation promuove, a livello mondiale, la cultura del vino, adeguando il consumo al rischio e al bere consapevole. Ci sono tantissimi progetti su come parlare con l’Horeca e con i sommelier, ma non possiamo pretendere che ci possa essere una riduzione del rischio solo applicando uno sticker in bottiglia. Se non siamo capaci di prendere in mano questa situazione, essendo pro attivi, il rischio è che come settore verremo esclusi dal dibattito sui rischi legati all’abuso. Tasse ed etichettatura hanno un obiettivo unico, ossia la riduzione dei consumi, perciò dobbiamo appoggiare le politiche contro l’abuso, chiedendo una distinzione netta tra consumo e abuso, che pregiudica la salute del consumatore. È così che faremo giustizia alla maggioranza della gente, quella che beve con moderazione. In Italia ci sono meno rischi legati all’abuso di alcol di qualsiasi altro Paese, abbiamo una cultura forte, da condividere”.
Per il presidente dell’Associazione Europea Wine in moderation, Sandro Sartor “è assolutamente condivisa dal settore la necessità, da parte delle istituzioni pubbliche, di implementare politiche efficaci per contrastare l’abuso di alcol. La filiera del vino lo sta già facendo e moltiplicherà gli sforzi per affermare sempre più il binomio vino-moderazione attraverso iniziative di formazione verso i wine lover, il mondo dell’enoturismo, degli enologi, dei sommelier e della cultura. il vino in Italia non è solo una bevanda alcolica, il suo percepito è parte integrante di un modello mediterraneo che è l’antitesi dell’approccio compulsivo. Un assunto, questo, confermato anche da una recente indagine Eurostat, che indica il nostro Paese come l’ultimo in Europa, dopo Cipro, per episodi legati al consumo eccessivo di alcol”.
Sul fronte politico, aspettando i piani dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) - al voto a maggio -, e le iniziative europee su promozione, fiscalità ed etichettatura Nutriscore, in discussione nei prossimi mesi, per il Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli, “bisogna avere il coraggio di dire la verità, e dire che l’alcol è un problema per certe persone, con certi comportamenti e in certi Paesi. In questo caso però non ci si può riferire all’uso, ma all’abuso di alcune sostanze, e sono 2 cose ben diverse. Perciò mi sento di ringraziare tutti i parlamentari europei che hanno in qualche modo sventato una dinamica che era pericolosa, e non lo dico per difendere a spada tratta i produttori”. Per il Sottosegretario alle Politiche Agricole (con delega al vino) Gian Marco Centinaio, “ bisogna portare all’attenzione della gente ciò che riguarda il vino. Davanti ad un bicchiere di vino nascono le trattative, con il vino si promuovono i territori. Il vino è sostenibilità ed identità, guarda alle nuove generazioni, nonostante i tentativi Ue di penalizzarlo, dal Cancer Plan al Nutriscore. E non si parla solo del vino italiano, ma di quello europeo, che i parlamentari di ogni partito hanno comunque difeso. Il sistema Italia, in questo senso, ha tenuto, facendo lobby sana: sostenibilità vuol dire futuro, nuove generazioni, futuro, il vino serve lavorativamente ma non solo, i giovani si avvicinano con il vino all’agricoltura. Dietro ad un bicchiere di vino c’è un territorio, una storia, una famiglia, degli eventi storici, ma anche altri prodotti agroalimentari, che vanno a traino. Dietro ad un bicchiere di vino c’è l’attenzione per il nostro interlocutore. Il nostro Paese produce vini importanti, ci sono territori conosciuti nel mondo grazie ad i loro vini. Il lavoro che dobbiamo fare è quello di capire che il vino è il nostro territorio. E poi, la Dieta Mediterranea è Patrimonio Unesco, e il vino ne fa parte. Valorizzazione, tutela e promozione sono le parole d’ordine, parlare del vino italiano vuol dire parlare di un prodotto di cui possiamo vantarci”, conclude Centinaio.
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