Crescita dei costi (85%), interruzioni lungo la catena di approvvigionamento (66%), recessione economica globale (55%), climate change (40%), guerra commerciale internazionale (39%), bassa redditività dell’industria del vino (38%), politiche salutistiche anti alcol (32%), nuove normative volte alla tutela dell’ambiente (32%), decrescita dei consumi di vino (30%), volatilità delle valute (27%), Covid-19 (23%) e domanda di vino no e low alcol (16%). Sono le sfide e le minacce principali che la filiera del vino si troverà ad affrontare nel 2023, secondo 2.500 professionisti del settore - piccole e grandi aziende, cooperative, esportatori, importatori, rivenditori, retail e ristoratori - da ogni parte del mondo, coinvolti dalla Geisenheim University, che ha curato il “ProWein Business Report 2022”: “Out of the crisis - The current situation of the international wine sector”, da cui emerge chiaro come la preoccupazione sia essenzialmente per i grandi temi economici.
Le aspettative per il 2023, così, si rivelano generalmente negative: tra le piccole aziende il saldo, tra ottimisti e pessimisti, è decisamente in favore di questi ultimi (-20), in perfetto equilibrio tra le grandi aziende, e di nuovo fortemente negativo tra le cooperative (-19). La buona notizia, almeno sul fronte interno, è che la fiducia è maggiore tra le aziende italiane (con un saldo di +5), rispetto a tutti gli altri competitor europei: Francia (-11), Spagna (0) e Germania (-36). In generale, comunque, le aspettative sono in calo, rispetto al 2022, su ogni fronte, e negli ultimi anni solo nel 2021, nel bel mezzo della pandemia di Covid-19, serpeggiava un pessimismo simile. Calo della fiducia anche sul fronte commerciale, dove però i saldi tra ottimisti e pessimisti sono leggermente migliori, sia tra gli esportatori (+10) che tra gli importatori (+18). Va ancora peggio dal punto di vista del trade: grossisti (+9), rivenditori specializzati (+1) e on-trade (-6).
A pesare, nel bilancio dei produttori di vino, come è facile immaginare, sono innanzitutto i costi energetici, con effetti “molto forti” per il 20% delle aziende, “forti” per il 42%, “medi” per il 34% e “minori” per appena il 4%. Un conto, quello energetico, che paga anche il trade, con un impatto “molto forte” o “forte” per il 43% delle imprese. L’effetto diretto è che se per il 66% delle aziende della filiera del vino i bilanci, seppure in calo, saranno ancora in territorio positivo nel 2023, per il 14% segneranno delle perdite, comunque ammortizzabili grazie alle riserve accantonate, mentre per il 7% la situazione rischia di rivelarsi critica. La risposta immediata delle aziende a questo aumento dei costi di produzione è il ritocco dei prezzi (68%), ma non è l’unica: si punta infatti anche al risparmio energetico lungo la filiera (59%), agli investimenti in energie rinnovabili (41%), lo stop ad alcune produzioni (11%), il passaggio a forme di energia diverse (8%) e la riduzione degli orari di lavoro (7%). In questo contesto, solo il 24% delle imprese della filiera del vino credono che la crisi energetica possa essere risolta nel 2023, mentre il 37% pensa che la soluzione arriverà solo nel 2024.
Altra criticità, come abbiamo visto, è quella che riguarda i trasporti e la catena di approvvigionamento: il 79% ha incontrato problemi, nel 2022, con trasporti e logistica, e l’88% ha avuto difficoltà legate alla disponibilità di materiali. Tra le noti dolenti, il forte aumento dei prezzi di merci e container (81%), ritardi nelle consegne (70%), margini ridotti a causa dei costi di trasporto (59%), rinuncia all’acquisto da parte dei clienti a causa dell’aumento dei costi (29%) o delle incertezze sui tempi di consegna (21%). Quasi tutti i produttori hanno dovuto affrontare la mancanza delle bottiglie di vetro, ma anche la disponibilità di chiusure e cartone è stata problematica.
Le aziende, quindi, hanno pensato ad aumentare gli stock delle proprie forniture, stimolando così ulteriormente la domanda, finendo per doversi adattare al mutare delle condizioni. Il risultato è che le aziende hanno dovuto investire più tempo per il coordinamento delle catene di approvvigionamento, ma sono cresciuti anche i costi del capitale investito per gli stock di materie prime, mentre qualche contratto, a causa proprio della mancanza di bottiglie ed altri materiali, è andato perso. Sul fronte trade, il 50% dei commercianti ha registrato un ridimensionamento dell’offerta, sul 5-25% del loro assortimento, tanto da virare su altri prodotti ed aumentare le scorte, tagliando fuori alcuni produttori dalla catena di approvvigionamento. Solo il 27% delle imprese della filiera del vino crede che i problemi legati a trasporti e catena di approvvigionamento verranno risolti nel 2023, mentre per il 54% si dovrà aspettare il 2024.
Ma come reagiscono le aziende alla crisi economica? Il primo obiettivo è la riduzione dei costi (60%), quindi ricerca di nuovi mercati (57%),adattamento dell’offerta alle tendenze del mercato (46%), riduzione degli investimenti (36%), puntare sui mercati locali (31%), concentrarsi sui marchi più forti (29%), puntare sui prodotti locali (28%), investire in prodotti innovativi (27%), concentrarsi sulla fascia entry level (17%) e licenziamento del personale (4%). Dai consumatori, invece, ci si aspetta che reagiscano alla crisi continuando sì a bere vino, ma in misura minore, e spendendo meno, come accade sempre in una fase di recessione economica, con i fine wines che subiranno un impatto inferiore rispetto alla fascia media di prezzo.
Molto interessante, inoltre, l’attrattività dei diversi Paesi d’origine del vino sui mercati nel 2023. In Usa, l’Italia è davanti a tutti, seguita da Francia, Spagna, gli stessi Usa, Argentina e Portogallo. In Canada Francia, Italia e Spagna sono esattamente sullo stesso livello, in Brasile in vetta c’è il Portogallo, davanti ad Argentina, Cile, Spagna, Francia e Italia. La Germania si scopre autarchica, e preferisce i vini tedeschi a quelli di Italia, Francia e Spagna, in rigoroso ordine di preferenza, che è lo stesso dell’Austria, ma con i vini austriaci, anche qui, al primo posto. In Svizzera, con una certa sorpresa, sono i vini spagnoli i più attraenti, seguiti da quelli di Italia e Francia. In Gran Bretagna si fanno largo i vini del Sud Africa, seguiti da quelli di Francia, Argentina e Italia. In Irlanda - finita al centro del fuoco incrociato dei Paesi del Mediterraneo per la scelta di apporre in etichetta i warning sulla salute - è il vino italiano il preferito, seguito da quelli di Spagna e Germania. In Italia stravincono le produzioni nazionali, davanti a quelle di Francia e Germania.
Ed ancora, in Olanda i produttori che attirano l’interesse di importatori e commercianti sono quelli di Italia, Spagna e Francia, esattamente come in Belgio, mentre in Repubblica Ceca le preferenze vanno ai vini di Francia, Germania e Italia. In Nord Europa, la Svezia vota per le produzioni di Francia, Spagna e Italia, la Danimarca per i vini di Italia, Francia e Germania, la Finlandia per quelli di Italia, Spagna e Germania e sul podio della Norvegia troviamo le produzioni di Francia, Italia e Germania.
Ribaltando il punto di vista, i produttori di vino italiani indicano nella loro top ten dei mercati su cui puntare nel 2023 Usa, Canada, Svizzera, Cina, Giappone, Corea del Sud, Germania, Gran Bretagna, Singapore e Svezia, ridimensionando il ruolo dei due sbocchi principali europei - Uk e Germania -, dove la crescita è in forte frenata, tanto da lasciare sempre più spazio ai timori per una recessione che appare inevitabile. I nostri primi competitor, i francesi, punteranno su Usa, Giappone, Canada, Singapore, Uk, Germania, Corea del Sud, Svizzera, Belgio e Danimarca, mentre i produttori spagnoli guardano a Usa, Germania, Giappone, Canada, Olanda, Uk, Svizzera, Danimarca, Belgio e Polonia.
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