Tra le tante battaglie ideologiche e spesso manichee che animano il dibattito nel mondo del vino, da qualche anno si è ricavata un suo spazio quella tra i sostenitori dell’allure del tradizionale tappo di sughero, con tutto quello che comporta sul fronte del rischio del “sentore di tappo” (che, comunque, è sempre più raro grazie agli sviluppi tecnologici della produzione del sughero, ndr), e quella tra i supporter dell’efficienza pressochè perfetta del tappo a vite. Che, ormai, tappa quasi 4 bottiglie su 10 a livello mondiale, e 1 bottiglia su 5 in Italia, se si escludono gli spumanti. E ora, tra le fila di questa seconda fazione, è nato il gruppo de “Gli Svitati”, che mette insieme cinque cantine eccellenti del vino italiano e da sempre controcorrente, come Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, “pioniere del tappo a vite in Italia, che si sono riunite per raccontare, tutti assieme, il loro modo di “fare vino” e, soprattutto, di tapparne le bottiglie, contro i pregiudizi che hanno spesso accompagnato questa tipologia di chiusura”.
Un percorso che parte da lontano, perchè le basi del gruppo sono state poste già negli anni ’80, quasi quattro decenni fa, quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure. “Il loro sguardo avanguardista si è inevitabilmente spostato verso le nuove frontiere del vino, che in quel momento già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, ognuno con la propria esperienza, da Mario Pojer che aveva pensato di “sigillare la bottiglia con la fusione del vetro come fosse una fiala per non lasciar passare l’ossigeno” a Graziano Prà che, in un viaggio in Colorado, ad Aspen, aveva avuto una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari, il primo segnale che il pregiudizio stesse iniziando a tramontare”, raccontano i produttori. Che spiegano la scelta del tappo a vite con l’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo: “il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina. Grazie alle sue caratteristiche questa tipologia di tappo permette infatti una micro ossigenazione costante, preservando il vino e permettendo un’omogeneità qualitativa anche nel caso di vecchie annate, oltre ad una corretta evoluzione”, sottolineano ancora “Gli Svitati”. “Siamo cinque aziende che cercano la precisione fin nei minimi dettagli, scegliamo i vitigni che più ci rappresentano e le uve migliori, in cantina abbiamo tutto quello che ci può aiutare a produrre un vino di un’altissima qualità. Ma soprattutto abbiamo a disposizione il tappo ideale per mantenerla. Ecco perché non possiamo non approfittarne. La precisione che abbiamo sempre ricercato oggi è anche un atto dovuto, nei confronti del pubblico e nei confronti del vino” commentano all’unisono i produttori.
Il professor Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, è intervenuto,accanto al gruppo de “Gli Svitati”, a sostegno dell’utilizzo del tappo a vite, riportando le analisi dell’Australian Wine Research Institute che già nel 1999 ha condotto le prime interessanti sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure del vino compreso il tappo a vite, che presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo. “Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero”.
L’appuntamento dei cinque produttori, andato in scena, l’altro ieri a Gambellara, è stato l’occasione per analizzare come il mercato globale, in particolare negli ultimi 8 anni, stia dimostrando un’attenzione sempre maggiore a questa chiusura. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures, oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che, in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia, escludendo il Prosecco). “Quello delle chiusure per il vino - ha spiegato, nella sua comunicazione Emanuele Sansone, sales director Italia di Guala Closures - è un mercato molto importante per noi. Sui 18 miliardi di chiusure totali prodotte, circa 3 miliardi sono destinate a questo segmento. Negli ultimi anni, il mercato dei tappi a vite, anche a discapito di quello delle chiusure in sughero, è cresciuto considerevolmente. In sostanza - ha raccontato Sansone - oggi, a livello mondiale, su 10 bottiglie 4 impiegano questa soluzione e Guala Closures occupa una posizione di leadership di mercato grazie alle sue soluzioni innovative e personalizzabili”. Non manca ovviamente un riferimento al tema della sostenibilità: i tappi a vite prodotti in alluminio sono altamente riciclabili, spiega ancora Guala Closure (ma questo, va detto, vale anche per il sughero, ndr) soprattutto se comparati con le chiusure realizzate in stagno, essendo composti da un materiale che può essere riutilizzato all’infinito. “Da questo punto di vista, l’Italia rappresenta un’eccellenza - ha concluso Sansone - poiché il 75% di tutto l’alluminio che viene prodotto è ancora in uso e viene impiegato in altre lavorazioni”. In ogni caso, la sfida del tappo a vite a quello di sughero è lanciata. “Il lavoro di squadra de “Gli Svitati”- concludono i produttori - vuole essere il punto di partenza di questo nuovo “movimento” del vino, un gruppo di produttori formatosi spontaneamente per rivolgersi ad un pubblico che si dimostra sempre più consapevole, ma anche ad amici produttori - sempre più numerosi - pronti per diventare altrettanto “Svitati””.
Focus - Gli Svitati: Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa
Da una degustazione comparativa, a Brescia, nel 2021, passando per un karaoke improvvisato sui Colli di Parma l’anno successivo, alla presentazione ufficiale del gruppo il 6 marzo 2023. Così nascono Gli Svitati: Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa. Cinque aziende, cinque amici di vecchia data, che hanno condiviso i decenni di rivoluzione del mondo del vino e ognuno con una propria, spiccata personalità che si riflette nelle sue bottiglie, ma accomunati dallo stesso spirito vignaiolo tanto sincero quanto lungimirante. Le basi del gruppo sono state poste già negli anni ’80, quasi quattro decenni fa, quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure. Il loro sguardo pionieristico si è inevitabilmente spostato verso le nuove frontiere del vino, che in quel momento già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, fino ad arrivare al tappo a vite, che Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa hanno identificato come soluzione ottimale per preservare il lavoro svolto in vigna e in cantina. Tra la fine 2022 e l’inizio 2023 il progetto Svitati ha finalmente preso vita, raggruppando cinque visionari del vino italiano convinti che questo sia il momento storico giusto per parlare del tappo a vite senza preconcetti. Dopo anni in cui questa chiusura è stata tacciata come scelta economica o riservata a vini di poca qualità, gli Svitati oggi vogliono raccontarla attraverso le loro storie e lasciando parlare i loro vini, affinchè il tappo a vite possa essere pienamente compreso e condiviso da un pubblico di professionisti e appassionati sempre più ampio.
Ma perché il vino chiuso con il tappo a vite?
Perché è più buono. Il tappo a vite è in grado di preservare al meglio il vino, mantenendo quelle qualità organolettiche tanto ricercate e protette dai cinque Svitati. Oltre ad evitare spiacevoli alterazioni nel gusto e nel profumo, permette una sigillatura perfetta, un’evoluzione corretta e una migliore conservazione.
Perché è più rispettoso.
Il tappo a vite permette di avere una omogeneità qualitativa delle bottiglie, anche quando si stappano vecchie annate. Elimina inoltre il problema delle bottiglie fallate, diventando un segno di attenzione verso coloro che se ne verseranno un calice, ma anche per tutti i professionisti coinvolti nella filiera. E poi il tappo a vite è realizzato in alluminio, un materiale completamente e facilmente riciclabile, per essere rispettoso anche verso l’ambiente.
Perché è più comodo.
Il tappo a vite è facile da aprire e facile da chiudere, permettendo al vino di mantenere una conservazione ottimale anche dopo la prima apertura ed essere perfetto fino all’ultimo calice.
Focus - I ritratti di Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa
Franz Haas
Franz Haas non è solo una cantina, è una grande famiglia formata da molte persone che hanno preso in mano la forte eredità lasciata da Franziskus alias Franz, scomparso prematuramente a febbraio dello scorso anno. Della continua e instancabile ricerca della perfezione ne ha fatto una filosofia di vita, tramandata alla squadra che oggi porta avanti i suoi insegnamenti, a partire da Luisa che ha contribuito dalla fine degli anni ’80 a fare crescere la Franz Haas assieme a lui. Il figlio Franz è al suo fianco e in cantina il suo lavoro è seguito da una giovane squadra capeggiata da Stefano Tiefenthaler, figlio d’arte in cui Franziskus aveva riposto la sua fiducia. Il suo spirito innovatore ha portato la cantina verso nuovi orizzonti del “fare vino”: dall’estirpo ad inizio Anni Ottanta del Novecento delle pergole per sostituirle con i primi impianti a guyot, fino all’allevamento di vitigni a 1150 metri di quota, tra i più alti dell’Alto Adige, intuendo l’unicità delle caratteristiche che avrebbero portato nel calice, fino al tappo a vite, frutto di trent’anni di ricerca. L’eredità che Franz il settimo ha lasciato è un Alto Adige alla costante ricerca della perfezione e che vede nel tappo a vite la chiusura ideale affinchè “tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro lavoro, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle nostre aspettative. Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite”.
Graziano Prà
Graziano Prà è un uomo di vigna, che ha scelto di percorrere la sua strada nel mondo del vino con impegno, passione e sincerità. Dai primi ettari tra le colline del Soave fino agli appezzamenti nella parte più alta e fresca della Valpolicella, Graziano ha scelto di votare la sua viticoltura a una celebrazione e valorizzazione del suo territorio, perché “un vino non può essere grande se non sa raccontare il terroir in cui nasce”. Da autentico vignaiolo ha scelto fin dal principio di produrre i suoi vini a partire da sole uve autoctone, allevate con cura e in regime biologico, lavorando con basse rese e in modo scrupoloso dal vigneto al calice. Nascono così vini pregiati e che lui ama definire gastronomici, perché celebrano la convivialità e la cultura della condivisione, del sedersi insieme attorno ad un tavolo come si fa ogni giorno nella sua cantina.
Per molti anni Graziano ha cercato la migliore soluzione a supporto della longevità delle sue eccellenti etichette ed è stato uno dei primi a intuire le grandi potenzialità del tappo a vite. Oggi imbottiglia in questo modo tutta la linea dei suoi Soave, compresi i grandi Cru, e il Valpolicella, ma punta ad estenderlo presto anche al Valpolicella Superiore perchè “credo nella vite, anche quando si tratta del tappo”.
Jermann
Quella di Jermann è un’azienda storica fondata nel XVIII secolo, ma è negli anni settanta che subisce una svolta epocale grazie al nipote Silvio Jermann. Un vignaiolo visionario, che dopo un’esperienza in Canada ha scelto di dedicarsi a vini fatti di testa sua, secondo la sua indole avanguardista. Vintage Tunina nasce negli anni ’70, quando parlare di “blend” sembra infrangere un tabù. Eppure Jermann immagina e crea un uvaggio inedito, assemblando uve di Sauvignon, Chardonnay, Malvasia Istriana, Ribolla Gialla e Picolit. Nasce così Vintage Tunina, che nel 2016 viene giudicato il più grande vino bianco italiano nel mondo. Da innovatore ma pragmatico Silvio si domanda allora “Cosa succede se rompo un altro tabù e sigillo con una capsula Stelvin una bottiglia del mio migliore vino?” Ed ecco che il tappo a vite rende Vintage Tunina, e poi gli altri vini firmati Jermann ancora più “svitati”. Oggi la tenuta Jermann (la cui maggioranza è di proprietà della Marchesi Antinori, ndr) è a Ruttars, nel cuore di Dolegna del Collio (Gorizia), dove produce vini che rappresentano al meglio la qualità e le caratteristiche di questo territorio.
Pojer e Sandri
Produrre vino di gran pregio da vigneti tra la Valle dell’Adige e la Valle di Cembra sembrava un progetto di difficile realizzazione. Eppure proprio qui, sulla collina di Faedo, Fiorentino Sandri aveva ereditato due ettari dal padre e decide di investirvi insieme all’amico di una vita, Mario Pojer. Nel 1975 nasce qui l’azienda agricola Pojer e Sandri: due giovani con idee chiare, molto coraggio e il sogno di produrre un vino dove la chimica non è ammessa, dove tutto deve seguire un filo logico verso la purezza assoluta. Oggi questo sogno è realtà e, tra Cembra e Grumes, Pojer e Sandri coltivano vigneti di montagna nel pieno rispetto della natura trentina, in un luogo unico caratterizzato da lunga irradiazione solare, terreni calcarei e dalla brezza dell’Ora del Garda. L’innovazione da sempre perseguita in cantina si ritrova anche nell’uso del tappo a vite. “A livello tecnologico abbiamo sempre guardato avanti, tanto da brevettare una pompa peristaltica e una pressa per pressare in assenza di ossigeno. Un’attenzione maniacale fino all’imbottigliamento con relativa chiusura della bottiglia. Continue sperimentazioni, degustazioni di confronto, molti scambi di informazioni e bottiglie con i colleghi, non tutti svitati, ci hanno portato alla chiusura più performante, neutrale, sostenibile, pratica”.
Walter Massa
Genio e sregolatezza, Walter Massa è il pioniere della viticoltura sui Colli Tortonesi e un visionario nel mondo del vino italiano. Negli Anni Settanta del Novecento prende le redini dell’azienda familiare e, in un momento in cui tutti i produttori locali si rivolgevano all’uva Cortese, ridà vita al Timorasso e al suo territorio, recuperando questo vitigno dimenticato e facendone un portabandiera dell’area di Derthona. A questo bianco ha affiancato negli anni non solo svariati Cru provenienti da più parcelle e vigneti, ma anche grandi etichette di rossi provenienti da Barbera, Croatina e Nebbiolo. Oggi Walter Massa chiude la maggior parte dei suoi vini con tappo a vite perché “In vigneto così come in cantina usiamo la massima attenzione per produrre vini puliti, nella vita di tutti giorni usiamo tutta la tecnologia che abbiamo a disposizione. Perché per tappare una bottiglia dovrebbe essere diverso? Abbiamo a disposizione una chiusura moderna, che rispetta il vino e i consumatori e che ne mantiene perfetta la conservazione. Usiamola!”. E agli scettici del tappo a vite risponde “Lasciamo parlare il vino”.
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