Tra i tanti ed ambiziosi obiettivi delle politiche Ue che puntano a ripristinare la salute dei suoli e degli habitat e a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, c’è anche quello di abbattere del 50% l’uso dei pesticidi. La Sustainable Use of pesticides Regulation (SUR), uno dei punti salienti del Green Deal Ue, in linea con gli impegni assunti nella strategia Farm to Fork e Biodiversity Strategy, è una sfida per tutto il mondo dell’agricoltura, a partire da quello del vino, ed ha già incassato più di una bocciatura. Per quanto ideologicamente giusta e condivisibile, la lotta all’uso dei pesticidi, senza che ci siano ancora alternative altrettanto efficaci, rischia di precipitare i campi coltivati del Vecchio Continente nell’incertezza di raccolti in balia degli eventi, con il pericolo, evidente, di dipendere sempre di più dalla casualità e dalle produzioni degli altri Paesi.
A gennaio, le cooperative del vino di Francia, Italia (con l’Alleanza delle Cooperative Alimentari) e Spagna, erano tornate alla carica, forti della decisione del Consiglio Ue di chiedere alla Commissione un’ulteriore valutazione d’impatto sul Sustainable Use of Pesticides Regulation, che tenga conto dell’impatto della proposta sulla sicurezza alimentare. E, magari, ripensi i propri obiettivi secondo una logica di buonsenso e fattibilità, basandosi su dati più completi e chiari, a partire da quelli relativi all’effettivo uso dei pesticidi, che non corrispondono ai dati di vendita delle aziende produttrici. Il tema è tornato al centro dell’attenzione mediatica qualche giorno fa, quando il Partito Popolare Europeo, il gruppo più numeroso presente nel Parlamento Europeo (con 176 membri sui 705 complessivi), si è opposto al disegno normativo per dimezzare l’uso di pesticidi chimici entro il 2030, sostenendo che “in troppe regioni o Stati membri l’attuazione della legislazione sulla natura esistente ha portato a un incubo burocratico e a un blocco della pianificazione, mettendo in pericolo la sicurezza alimentare, la produzione di energia rinnovabile, di infrastrutture cruciali e molto altro”, come si legge nella risoluzione presentata dal PPE e divulgata dalla Reuters.
Particolarmente sensibile al tema è la Francia, che, secondo “L’Atlante dei Pesticidi”, pubblicato da cinque associazioni ambientaliste per alimentare il dibattito e contribuire allo sviluppo di soluzioni alternative, nel 2020 era il Paese che acquistava la maggior quantità di pesticidi, e anche quello che ne permetteva il maggior numero (291 sui 453 approvati dall’Unione Europea). Ovviamente, ci sono territorio e regioni più problematici, essenzialmente quelli che ospitano le colture più intensive, tra cui la vite, che è al quarto posto tra le colture che ricevono più trattamenti, in media, durante l’anno: 12,3 tra erbicidi, fungicidi ed insetticidi. Ciò nonostante, la viticoltura, finita spesso al centro delle polemiche per l’uso massiccio di pesticidi, anche nei pressi di zone densamente abitate, vanta una superficie bio molto alta, pari al 20% del totale, quasi il doppio della media di tutte le superfici agricole del Paese (10,5%).
L’Atlante, inoltre, sottolinea come le iniziative portate avanti negli anni per tagliare l’uso dei pesticidi si siano rivelate un sostanziale flop: nel 2008 fu posto l’obiettivo di un taglio del 50% entro il 2018, ma tra il 2016 ed il 2018 si è addirittura registrato un aumento, del 25%. Di certo, non è facile far convivere l’esigenza di tutelare la biodiversità e la sanità dei suoli con la necessità degli agricoltori di poter contare su un reddito garantito, nei limiti del possibile. Esigenza particolarmente sentita in viticoltura, dove i costi di gestione sono alti e la minaccia delle malattie della vite è sempre dietro l’angolo. Forse sottovalutata dalla Commissione Ue, visto che, come ha ricordato in un’intervista al magazine francese “Vitisphere” Aly Leonardy, presidente del collegio professionale Cepv e vicepresidente dell’Assemblea delle Regioni Europee del Vino (Arev), “il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura ha dovuto chiedere formalmente di presentare uno studio d’impatto della Sustainable Use of pesticides Regulation. Ci sono voluti mesi di dibattito e riflessione per rendersi conto che ridurre l’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030, cioè in pochi anni, è praticamente impossibile. La modernizzazione delle apparecchiature non può essere fatta in 6 anni, e lo sviluppo e la produzione di nuove tecniche richiedono almeno 12-15 anni”.
Il rischio, almeno potenziale, è che “se applicato in questo modo questo nuovo regolamento porterebbe alla scomparsa fino al 60% di alcuni vigneti in molte regioni europee”, dice ancora Leonardy. “I viticoltori devono avere i mezzi per difendersi dai parassiti della vite e questo rischio varia a seconda delle condizioni climatiche di anno in anno. Tutti gli agricoltori hanno interesse a ridurre l’uso di pesticidi chimici, anche per il loro costo, ma devono essere in grado di difendere il frutto del proprio lavoro”. La Commissione Agricoltura, con i suoi emendamenti, “non vuole mettere in discussione l’essenza della proposta della Commissione Europea, ovvero la fissazione di un obiettivo vincolante per gli Stati membri in termini di riduzione dell’uso e dei rischi dei pesticidi, ma c’è bisogno di spostare in avanti l’orizzonte temporale, al 2035, per permettere agli Stati membri e agli agricoltori di avere più tempo per raggiungere l’obiettivo”, aggiunge il presidente Cepv. “Comagri, inoltre, punta ad aumentare “la disponibilità e l’accessibilità economica di alternative a basso rischio, come l’uso del controllo biologico e di altre alternative non chimiche, comprese le le tecnologie digitali e di precisione e le nuove tecniche genomiche, che però attualmente sono soggette nell’Unione Europea alla normativa sugli Ogm, e quindi di fatto non utilizzabili, in attesa di un quadro normativo che ne faciliti l’autorizzazione. Dobbiamo essere seri e responsabili, perché bisogna ancora rimuovere gli ostacoli alle nuove tecniche genomiche, all’uso dei droni, alla viticoltura di precisione”.
Inoltre, è essenziale, come già accennato, “un vero e proprio studio d’impatto esaustivo sulle proposte della Commissione Europea, che ad oggi non è previsto, ma anche inserire una clausola di revisione al 2027 per misurare con studi puntuali la possibilità di confermare gli obiettivi per il 2035, o doverli ricalibrare. Gli equilibri politici - mette in guardia Leonardy - tra Commissione Ambiente e Commissione Agricoltura sono complessi, c’è molta pressione da parte delle Ong e di parte della Commissione, ma dobbiamo renderci conto che questa proposta mette in pericolo il 70% dei vigneti europei. Gli Istituti di ricerca greci, italiani, spagnoli, tedeschi e francesi lavorano da anni per ridurre e controllare l’utilizzo dei prodotti fitosanitari, per questo se vogliamo mantenere un vigneto economicamente sostenibile dobbiamo ascoltare la filiera del vino, e non pensare di utilizzare la bacchetta magica o, peggio, di esporre i vigneti alla minaccia di nuovi agenti patogeni senza una risposta adeguata”, conclude Aly Leonardy.
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