Si può essere “di moda” o uno “status symbol”, e se questo oggi si può dire anche per il vino è grazie alle bollicine. Da vera e propria mania, gli spumanti italiani sono diventati non solo un fenomeno di consumo, ma anche di costume, arrivando a rappresentare quasi un modo di vivere la vita. “All’ italiana”, ovviamente: sì, perché se investimenti in qualità, in comunicazione e in promozione delle bollicine italiane e dei loro territori, hanno giocato, senza dubbio, un ruolo importante nella loro crescita frizzante, nella destagionalizzazione e nello sdoganamento a tutto pasto del loro consumo, dietro a questo successo ci sono anche motivazioni che non è sbagliato definire “sociologiche” e il fatto di rappresentare un simbolo di quella convivialità e dello stare insieme che tutto il mondo invidia all’Italia. E perché sono davvero perfette nel declinarla in ogni situazione, enogastronomica, in quelle di festa o per brindare a qualcosa di storico e speciale, ma anche nei momenti più istituzionali. Insomma, le bollicine sono uno dei medium della nostra società, perché sono convivialità e festa, con o senza abbinamenti, perfette, leggere, wellness sia con la cucina tradizionale che con quella contemporanea, per incontri a due o in compagnia, occasioni importanti o serate tranquille. Un vino contemporaneo, per freschezza, gradazione, versatilità. O forse, azzardiamo a dire, quasi un “non vino”, per WineNews, tanto da arrivare a sostituirlo in occasioni di consumo che sono ormai solo ed esclusivamente appannaggio delle sole bollicine. Ma perché piacciono così tanto, se lo è chiesto anche la neuroscienza, con “La Revue du vin de France” che ha interpellato in merito il ricercatore in neuroscienze sensoriali, Gabriel Lepousez.
Innanzitutto, come vengono prodotte le bollicine? La molecola del biossido di carbonio (Co2), spiega Lepousez, viene intrappolata dal vino stesso durante la fermentazione alcolica. Il prodotto si “riformatta” e diventa in grado agire su più sensi e stimolare più percezioni sensoriali. Per prima cosa attiva il tatto: le bollicine gradualmente generano una vibrazione in bocca che dà l’ impressione che il vino sia vivo e dinamico. Poi subentra la parte che il professore definisce “detergente”, il fenomeno di pulizia del palato molto interessante e appagante soprattutto in caso di vini abbinati a piatti grassi. Successivamente la molecola di Co2 si trasforma a sua volta in acido carbonico (HCo3): è in questa fase che le papille gustative avvertono l’ impressione di acidità. L’ altro senso particolarmente attivato dalla bollicina è l’ olfatto. Quando si annusa uno spumante appena versato nel calice si può avvertire immediatamente l’ impressione di una leggera puntura al naso, quello che in gergo viene sintetizzato nella frase “dà alla testa”. Senza tralasciare poi la parte aromatica del vino: ogni bollicina di Co2 man mano risale verso la superficie del bicchiere e libera nell’ aria microgocce, che altro non sono che “microaeresol” che vanno a introdursi nelle nostre narici. La frizzantezza cattura anche l’ attenzione dell’ occhio e delle nostre orecchie. L’ effetto visivo, dice Lepousez, attrae la nostra vista: le bolle si muovono nel bicchiere, scoppiano. L’ orecchio invece viene sollecitato dal rumore dell’effervescenza. Tutti elementi visivi e uditivi che ci portano in una dimensione inedita, diversa da quella che possono darci i vini fermi.
La bollicina, secondo il professore, agisce quindi effettivamente su tutti i nostri sensi. Le sensazioni rilasciate dalla molecola di biossido di carbonio si aggiungono a quelle date normalmente dal vino, ma in questo caso amplificano l’ intensità generale delle nostre percezioni.
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