Il futuro di un territorio del vino si vede anche da quanto i giovani e le nuove generazioni ci investono. E in quello dell’Etna Doc, diamante del vino siciliano e territorio di 1.500 ettari (il 60% in regime biologico, e con impianti di fatto bloccati per i prossimi anni, che potranno aumentare solo di 50 ettari ogni anno, e raccontato, da WineNews, in passato, in un vero e proprio reportage) racchiusi in 20 Comuni, 4 versanti, 133 Contrade e circa 445 imprese produttrici, aumentano le imprese condotte dagli “under 41”, una quota arrivata ormai al 20% (8% le giovani conduttrici), il doppio rispetto a quella nazionale (10%) riscontrata da Ismea su base Istat. Un’accelerazione, quella dei giovani imprenditori, che nei 4 versanti etnei si è fatta ancor più evidente negli ultimi 3 anni (2020-2023), con un incremento nel periodo del 55% per un totale di 89 realtà produttrici. Trend questo molto più significativo, come lo è la crescita complessiva di nuove aziende (+16%). All’ombra del vulcano, inoltre, negli ultimi 10 anni la superficie vitata è cresciuta del 70%, le bottiglie di vino prodotte sono quadruplicate, e l’enoturismo è un nuovo asset di alta fascia, praticato per i 2/3 da stranieri, a partire dagli americani. Dati del Consorzio Etna Doc - che rappresenta il 90% del potenziale produttivo complessivo, e riunisce 220 aziende per una produzione media annua di 6 milioni di bottiglie, di cui il 60% viene esportata, in particolare negli Stati Uniti, in Canada, Svizzera e Regno Unito - guidato da Francesco Cambria, che da oggi al 14 settembre, a Castiglione di Sicilia, al Picciolo Etna Resort, manda in scena gli “Etna Days”, per accendere i riflettori sui vini che nascono sui suoli del vulcano attivo più alto d’Europa (protagoniste 100 cantine in tre giorni di degustazioni, visite in cantina, incontri con i produttori, approfondimenti e walk around tasting, con in primo le nuove produzioni a base di Nerello Mascalese e Caricante, le varietà principali per Etna Bianco, Etna Bianco Superiore, Etna Rosato, Etna Rosso, Etna Rosso Riserva, Etna Spumante bianco ed Etna spumante). “Grazie al vino dell’Etna, oggi, i ragazzi del territorio non sentono più l’esigenza di andare via, perché si crea un’economia nuova ed importante”, commenta, a WineNews, Francesco Cambria.
“Il vino qui è un calmieratore sociale sempre più decisivo - ha detto il direttore del Consorzio Etna Doc, Maurizio Lunetta in apertura dell’appuntamento clou della denominazione - i giovani hanno ripreso a coltivare gli appezzamenti di vigna dei propri nonni, in una sorta di salto generazionale che permette di garantire lavoro a se stessi e ad una manodopera molto numerosa. Complici i vigneti montani coltivati ad alberello, il totale del vigneto richiede infatti un monte annuale di oltre 200.000 giornate di lavoro, con circa 2.500 persone coinvolte direttamente nella produzione. Siamo orgogliosi - ha concluso Lunetta - di contribuire nel nostro piccolo a frenare l’abbandono dall’isola da parte delle nuove generazioni”.
L’ascesa, nell’ultimo decennio, della Doc Etna nella critica enologica internazionale sta garantendo la sostenibilità economica delle imprese (50 milioni di euro il fatturato franco cantina, 150.000 euro il valore del vigneto per ettaro, 5 volte più della media regionale), ma anche del territorio. Secondo uno studio dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, la domanda enoturistica (200.000 presenze) restituisce un valore aggiunto sull’area di 123 milioni di euro l’anno, e per ogni bottiglia consumata sulle pendici dell’Etna si genera un impatto (diretto, indiretto e indotto) in favore del territorio di 82 euro, 10 volte più del valore del vino alla produzione. Un ticket virtuoso, quello vino-vulcano in chiave turistica, che secondo il Consorzio è praticato dal 60% delle imprese con tour e degustazioni guidate, mentre il 15-20% ha investito direttamente su strutture dedite all’accoglienza e alla ristorazione.
Ma gli “Etna Days” sono un momento anche per riflettere sul futuro dell’intero settore, tutt’altro che semplice, come ricordato nel suo intervento dal presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (Oiv), Luigi Moio. “Il settore vive un momento difficile perché si è interrotta la trasmissione generazionale di cosa significhi consumare vino. Le nuove generazioni - ha detto Moio - non sono state educate a farlo e oggi i giovani, attratti dalla mixology, si allontanano dal vino, ma assumono più alcol rispetto alla mia generazione. Paradossalmente, nella delicatissima questione alcol e salute ci va di mezzo il vino e non le altre bevande. A mio avviso anche sul tema vino e salute - ha detto Moio - c’è una grande responsabilità nella comunicazione, troppo spesso confusionaria e contraddittoria. Non possiamo dire che il vino fa bene perché c’è l’alcol, ma ci sono altri argomenti che distinguono il nostro mondo e che accomuna il prodotto con i territori e la loro storia. Serve affermare questi valori identitari per non confondere il vino con le altre bevande alcoliche. Il vino non è un liquido, è un vettore culturale. Bere un calice di Etna è un atto culturale ed è indubbio che la forza della sua denominazione è data dall’identità costruita attorno al vulcano”.
Focus - Il successo dei vini Etna Doc negli Usa
Si mantengono su standard elevati e guadagnano quote di mercato i vini Etna Doc negli Stati Uniti. È l’istantanea degli “Etna Days”, dall’analisi dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini (Uiv) su base SipSource nel primo semestre 2024. Secondo le elaborazioni sulla piattaforma americana, che misura le vendite - e gli effettivi consumi nel breve termine - dei prodotti presenti nei 3/4 degli esercizi commerciali statunitensi, i vini etnei chiudono il periodo con un sostanziale pareggio (-0,2%), a fronte di un contestuale calo tendenziale complessivo di vendite del settore pari all’8,8%, con i vini made in Italy a -6,4%.
Secondo Francesco Cambria, presidente del Consorzio Etna Doc, “le premesse per un 2024 difficile c’erano tutte: una vendemmia a -42,5% con conseguente calo nel semestre del prodotto imbottigliato (-5%); un rallentamento globale dei consumi e in particolare negli Stati Uniti, nostro principale mercato di sbocco. Invece nel primo semestre la denominazione ha tenuto e si è consolidata. Merito della qualità raggiunta dai nostri produttori, ma anche di un corretto posizionamento di mercato negli Usa, in particolare nei canali del fuori casa che continuano a crescere”.
Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv, a fronte di un numero di bottiglie pari ad appena il 6% del totale delle Doc e Docg siciliane, la presenza dei vini dell’Etna sul mercato a stelle e strisce (60% di bianchi e 40 di rossi) vale il 28% in termini di volumi consumati. Una quota che a valore sale fino al 45%, per effetto di un prezzo della distribuzione che negli Usa si attesta sui 26 dollari al litro, quasi il triplo rispetto alla media delle Do dell’isola. Ed è proprio il prezzo, quindi l’alto posizionamento percepito, il tratto distintivo dei vini del vulcano negli Usa.
“Non è un caso - ha detto il responsabile dell’Osservatorio Uiv, Carlo Flamini - che mentre i vini italiani vedono un forte sbilanciamento dei consumi sulla parte retail (grande distribuzione, liquor store), con il 77% di quota sul totale, i vini etnei trovano come primo canale di consumo il cosiddetto “fuori casa” (on-premise, ovvero ristoranti, bar, alberghi), con una quota sul totale del 62%, di 10 punti superiore alla Doc Sicilia, anch’essa consumata prevalentemente nell’on-premise, e quasi tripla rispetto all’offerta tricolore”. Il canale più ambito, quello dell’hôtellerie e della ristorazione, ha trainato i consumi in questo primo semestre cumulando aumenti del 2,6%, a fronte di riduzioni sia per i vini italiani (-4,5%), sia per la generalità del mercato (-9%). Migliore, pur nella negatività, anche il dato dell’off-premise, con l’Etna Doc che vede riduzioni del 4,5% contro il -7% dei vini italiani e il -9% del totale mercato. Il totale commercializzato (off + on-premise) ribadisce infine il posizionamento premium e ultrapremium del prodotto. Il 63% delle vendite si inserisce nella fascia 15-25 dollari/bottiglia, contro un’offerta nazionale - compresa per l’85% nel segmento precedente, sotto i 15 dollari - che si ferma al 13%. Una quota sostanziosa (34%, e in crescita dell’8% nelle vendite) è poi quella che va dai 25 ai 50 dollari a fronte di una media italiana che nel segmento non supera l’1% dei volumi venduti. Al 4% la fascia luxury (oltre i 50 dollari), in forte contrazione anche nell’on-premise al pari del trend nazionale.
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