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NORMATIVA EUROPEA

Ue vieta “meat sounding”: Lav denuncia norma ideologica che “ignora gli agricoltori plant-based”

“Difendere la zootecnica come modello sostenibile è paradossale: l’allevamento causa il 70% delle emissioni agri-food”, secondo la Fao
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Ue vieta “meat sounding”: per Lav, norma che “ignora gli agricoltori plant-based”

Con 532 voti favorevoli e 78 contrari, il Parlamento Europeo ha approvato in questi giorni una misura che vieta l’uso di termini come “bistecca”, “scaloppina”, “salsiccia”, e soprattutto “hamburger” o “burger” per prodotti di origine vegetale, in conformità con l’articolo 17 del regolamento (Ue) n. 1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il divieto nasce da un emendamento proposto dalla relatrice Céline Imart, eurodeputata francese del gruppo Ppe (Partito Popolare Europeo), approvato in Commissione Agricoltura e successivamente incluso nel testo votato dall’Aula. Una decisione che, sotto la bandiera della tutela dell’agricoltura e della trasparenza per i consumatori, si inserisce in un contesto europeo di crescente attenzione alla provenienza dei prodotti e alla chiarezza delle etichette, come evidenziato recentemente da WineNews. Tuttavia, secondo la Lega Antivivisezione (Lav), una delle principali associazioni animaliste italiane, il provvedimento risponde in realtà alle pressioni della lobby zootecnica, ignorando le scelte alimentari di milioni di cittadini europei e gli interessi degli agricoltori che investono nella transizione verso il plant-based. “È una decisione infondata e anacronistica, e che ricorda da vicino la legge ideologica voluta in Italia dal Ministro Lollobrigida, che vieta le denominazioni “meat-sounding” ma che, sebbene in vigore, è rimasta inapplicata proprio per l’assenza di un corrispettivo quadro normativo europeo: lacuna che, purtroppo, questo voto contribuisce ora a colmare nel senso più restrittivo possibile”. Così Domiziana Illengo, responsabile area vegan di Lav, afferma che il voto si inserisce nel più ampio discorso sul rafforzamento della posizione degli agricoltori in Europa, ma sembra ignorare che la categoria dei “farmers” non è composta unicamente da allevatori, ma anche da chi produce vegetali e investe nella transizione alimentare: soggetti che passano in secondo piano in questo genere di scelte politiche, come se esistessero agricoltori di prima e di seconda classe, denuncia Lav.
La politica continua a fare gli interessi di pochi sulla pelle degli animali - denuncia la Lega Antivivisezione - ignorando una realtà in evoluzione. “La misura, che dovrà ora essere esaminata dal Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura dell’Ue, è un provvedimento ideologico, che ricalca il fallito “Veggie Burger Ban” del 2020 e il divieto francese, entrambi già smentiti dalla Corte di Giustizia Europea e dai dati dell’Ufficio europeo dei consumatori (Beuc), che mostrano come non esista alcuna confusione da parte del consumatore medio rispetto ai prodotti vegetali”, aggiunge Illengo di Lav. L’esperienza del divieto sull’uso di termini come “latte”, “yogurt” o “formaggio” per i prodotti vegetali ha già dimostrato che simili restrizioni non fermano la crescita del mercato plant-based, ma ne confermano la solidità e la domanda crescente tanto che, nel 2024, il mercato europeo delle alternative vegetali ha raggiunto i 3,3 miliardi di dollari per le “carni” plant-based e quasi 10 miliardi se si includono i sostituti dei latticini, secondo il Good Food Institute (Gfi), un’organizzazione no-profit internazionale che promuove lo sviluppo e la diffusione di alternative sostenibili ai prodotti di origine animale, come le carni vegetali, i sostituti dei latticini e le proteine coltivate. È evidente, quindi, che non si tratta di tutelare i cittadini, ma di una presa in giro orchestrata da un sistema zootecnico in crisi, che si aggrappa a una farsa normativa per difendere posizioni di privilegio, denuncia Lav. La spasmodica difesa della zootecnica come baluardo di un sistema alimentare proiettato allo sviluppo sostenibile è paradossale, considerando che il 70% delle emissioni clima-alteranti del settore agri-food deriva proprio dall’allevamento, secondo la Fao - Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, senza contare i milioni di animali seviziati e uccisi ogni anno da questa industria.
I dati sui consumi in Europa confermano quanto sia infondato il presunto rischio di confusione agitato dal fronte zootecnico: oggi, il 30% dei consumatori si definisce flexitariano, mentre circa l’8% segue una dieta vegetariana o vegana. I prodotti vengono scelti consapevolmente, senza alcuna confusione sulla nomenclatura. Le motivazioni? Crescente attenzione alla salute, sensibilità ambientale, etica e benessere animale. L’unica cosa che si intende combattere con questo provvedimento è la crescente sensibilità delle persone e l’espansione del settore plant-based: la transizione verso un sistema alimentare sempre più incentrato sui prodotti vegetali è inevitabile, ed è proprio questo che spaventa la lobby della carne, non la millantata confusione dei cittadini europei quando fanno la spesa, conclude la Lega Antivivisezione.

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