02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

Accordi con la gdo, lotta all’italian sounding, cultura commerciale e b2b, grazie agli investimenti Ice: ecco i capisaldi per l’internazionalizzazione del vino nelle parole, a WineNews, del dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico Amedeo Teti

“Per conquistare i mercati esteri il sistema Paese deve muoversi su quattro filiere ben precise: accordi con la grande distribuzione, a cominciare da quei Paesi in cui si cresce di più, in particolare Usa e Canada; lotta all’italian sounding, che comunque non ha nel vino il suo bersaglio preferito, ma i formaggi; cultura commerciale classica, che vuol dire lavorare molto e bene sulle fiere e sulla promozione; b2b, ossia portare in Italia i buyers giusti, e metterli in contatto con le imprese”. Ecco, in sintesi, gli step che tutto l’agroalimentare italiano deve seguire per avere successo all’estero, compreso il comparto del vino, raccontati a WineNews, dal convegno Business Strategies sul Codice unico del vino nei paesi eurasiatici di scena a Vinitaly, da Amedeo Teti, a capo della Direzione generale per la politica commerciale internazionale del Ministero dello Sviluppo Economico.

“All’interno di ogni singola filiera, ovviamente, dovremo programmare le attività di ogni singolo settore, dal vino al formaggio, bilanciando gli sforzi in base al Paese in cui vogliamo andare. Questo è il panorama macropolitico. Al Ministero dello Sviluppo Economico - spiega Teti - non esiste un comparto dedicato al vino, il nostro braccio operativo è l’Ice - Agenzia per la promozione all’estero - che ha un intero settore dedicato all’agroalimentare che si occupa di questo a livello di politica nazionale. Dopodiché, tutti gli uffici Ice del mondo sono ben organizzati: in Usa, ad esempio, abbiamo degli analisti che si occupano solo di vino. Lo sforzo, ovviamente, è sempre commisurato al Paese a cui ci riferiamo ed al tipo di risorse che si decide di investire. È chiaro che la nostra politica - continua il dirigente del Ministero dello Sviluppo Economico - si sposerà adesso con le politiche dei grandi hub della distribuzione che vogliono uscire, come Coop, Auchan, Sidis, che si sono già fatte conoscere e vogliono dare un nuovo assetto alle produzioni dell’agroalimentare italiano per portarlo fuori dal Belpaese, in un tentativo di aggregazione tra piccole e medie imprese, facendosi carico di servizi e certificazioni: questo è il 2.0, il salto di qualità che l’Italia da tempo aspetta e che farà nell’agroalimentare”.

Il sostegno del Ministero dello Sviluppo all’internazionalizzazione è quantificabile, anche “grazie allo sforzo del vice Ministro Calenda, capace di convincere il Presidente del Consiglio, in oltre 100 milioni di euro, di cui 60 destinati all’agroalimentare, la maggior parte dei quali in mercati come Canada e Usa, che hanno dimostrato una crescita media superiore agli altri. Il prodotto italiano - dice ancora Teti - si trova a New York, Miami, California, ma nel Midwest, ad esempio, i negozi sono vuoti di vero made in Italy, prestando il fianco all’italian sounding, perché la domande del consumatore americano, che vuole mangiare italiano, non viene soddisfatta. Aumentando il nostro export in Usa, di default uccideremo l’italian sounding, ma ci serve la massa, ci serve crescere, ed il piano Ice 2015-2016 nasce proprio per colmare questo gap”.

Attualmente, quindi, si parla di 60 milioni di euro investiti in un settore che, nel 2015, ha toccato il proprio massimo storico, con le spedizioni a quota 36,9 miliardi di euro: l’obiettivo dei famosi 50 miliardi di euro entro il 2020, così, diventa più vicino. “Con il moltiplicatore della grande distribuzione che si mette a fare anche grandi programmi all’estero - sottolinea il dirigente Mise - ci si arriverà: parlo della gdo, che si sta muovendo per diventare centrale consortile di aiuto alle imprese. Poi c’è il 3.0 del rapporto tra gdo e agroalimentare, quando arriveremo a mettere i nostri magazzini all’estero, ma già se andiamo a mettere delle basi logistiche, e facciamo accordi sulla grande distribuzione, finalizzate dai player della nostra grande distribuzione, sicuramente possiamo riuscirci. Una piccola impresa, anche soltanto all’idea di doversi certificare, o cercarsi i clienti, si spaventa. Chiaramente, ci sarà da lavorare sul prezzo, destinato inevitabilmente a comprimersi, però la massa critica del prodotto potrebbe aumentare a dismisura. Tutto - conclude Teti - sta a vedere se la gdo sarà in grado di fare, come io penso, ciò che fa in Italia anche fuori”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli