L’agricoltura e l’agroalimentare sono i due soli settori che, in un periodo tanto critico per la produttività e l’occupazione dell’economia italiana, riescono a tenere, riuscendo anche a crescere sensibilmente, in termini di fatturato e di occupati. Ma se l’agroalimentare vale il 15% del Pil del Belpaese, pensare di ricostruire il tessuto economico del Paese ripartendo dal settore primario non è, probabilmente, la migliore delle idee. A “tarpare” in qualche modo le ali all’ultima ricerca di Coldiretti e Swg, secondo la quale l’85% dei genitori italiani consiglierebbe ai propri figli un futuro lavorativo professionale - lavorativo in agricoltura, è uno dei massimi esperti al mondo di lavoro e dinamiche lavorative, Domenico De Masi che, a WineNews, offre il suo tagliente punto di vista. “Partiamo da un dato: attualmente gli addetti dell’agricoltura, in Italia, sono il 4% della forza lavoro totale. Si parla - spiega De Masi - di numeri irrisori, anche raddoppiando il numero dei lavoratori saremmo ben lontani da settori molto più strategici, come il turismo, che rappresenta il 16% dei lavoratori del Belpaese”.
Cifre che, comunque, non vogliono sminuire l’importanza del comparto, e che anzi lasciano ampio spazio a chi volesse buttarsi sul lavoro agricolo, ricordando sempre, però “che si tratta del settore meno solido a cui si possa pensare, quello che dipende maggiormente da fattori imprevedibili, primo fra tutti l’aspetto meteorologico. È stata proprio l’incertezza, nel corso degli ultimi due secoli, ad allontanare dai campi intere generazioni, per questo quando si parla di recuperare tradizioni e capacità, come dice Carlin Petrini, io sono d’accordo, ma pensare di puntare sull’agricoltura come scelta strategica non mi pare proprio il caso, specie perché l’Italia non è poi così adatta, ricca di asperità com’è”. Una stroncatura a chi, come le associazioni agricole, parla di agricoltura alla portata dei giovani? No, solo un ritorno alla realtà, e quindi alle difficoltà “di un lavoro che ha bisogno di innumerevoli competenze, investimenti ingenti e che fa i conti con un incremento della produttività sempre più legata alla meccanizzazione”.
Da parte sua, Coldiretti ricorda come la propria fiducia sul settore sia fondata sui numeri: le aziende guidate da giovani, secondo i dati dell’associazione “registrano un livello di fatturato del 79% maggiore rispetto alla media e il 55% di occupati in più”. All’assemblea dei giovani Coldiretti sono confluiti più di 1.000 giovani in rappresentanza delle imprese agricole del Centro Italia, e secondo i numeri elaborati dalla Coldiretti su dati Istat, gli under 40 che lavorano nelle oltre 450.000 aziende delle sette regioni sono 117.000, un terzo (33%) dei quali sono titolari di azienda. In Emilia Romagna i giovani under 40 occupati in azienda sono 17.901, il 31% dei quali titolari delle proprie aziende.
Il risultato della ricerca, osserva il delegato nazionale Codiretti Giovani Impresa, Vittorio Sangiorgio, “é una grande provocazione se pensiamo che siamo nel 2013: sarebbe la risposta più scontata se ci trovassimo nell’Italia del Dopoguerra quando era addirittura banale pensare che un figlio rimanesse nei campi”. Invece, “vedere nel 2013, in quella società che si proietta esclusivamente sul Web, che un genitore consiglia al proprio figlio di investire in agricoltura o entrare in agricoltura e nell’agroalimentare ci dice due cose: la prima che l’agroalimentare è l’unica strada, l’unica traiettoria di futuro che, in questo istante, l’Italia può costruire; la seconda è che l’agroalimentare, è l’unico settore, e ce lo dicono i dati, che sta creando occupazione, fiducia”. D’altronde, puntualizza Sangiorgio, “l’agroalimentare è il 15% del Pil di questo Paese, se lo leghiamo al turismo, alla cultura e all’ambiente in una chiave moderna è qui che troviamo la strada per dare ai nostri figli quell’Italia da cui oggi, spesso, un giovane va via”.
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