02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

“AI MARGINI DEL CASO MONTALCINO”: L’ENOLOGO EZIO RIVELLA RACCONTA: “IN FUTURO LA SOLUZIONE NON PUÒ CHE ESSERE IL CAMBIO DI DISCIPLINARE: UN 85-90% È PIÙ CHE SUFFICIENTE A FORNIRE QUESTO CARATTERE; MA L’USO DEL 100% SANGIOVESE DEVE ESSERE PERMESSO”

WineNews ha chiesto al cavalier Ezio Rivella un suo giudizio sugli accadimenti di Montalcino. Rivella è stato presidente mondiale degli enologi, uno dei protagonisti del successo commerciale del Brunello di Montalcino nel mondo, presidente del Comitato Nazionale dei Vini Doc (dal 1993 al 1998). Recentemente ha pubblicato il racconto della sua vita professionale nel libro “Io e Brunello. Come portai Montalcino nel mondo”.
Lei sa valutare cosa sta succedendo a Montalcino …
“Io non mi permetto di dare giudizi: posso tentare qualche osservazione per chiarire l’accaduto. La prima osservazione parte da lontano: in Italia, non abbiamo una corretta cultura sulla Denominazione di Origine, ed abbiamo copiato solo malamente dalla Francia, che questa cultura già ce l’aveva.
Quando prima nel 1924 e poi nel 1932, i soloni di allora hanno voluto lavorare sulla questione si sono messi a cercare “Vini Tipici e Pregiati” di tipologia ben definita, leale e costante. Concetto che non coincide per niente con il vino di qualità che si produce in un certo luogo, per merito del suo territorio e della sua gente.
Questa confusione tra tipicità ed origine è la causa principale di molte distorsioni nella pratica applicazione della Denominazione di Origine in Italia. Così, anziché pensare unicamente alla qualità, si pensa soprattutto alle regole: i famigerati disciplinari rigidissimi, in modo che i produttori facciano tutti le stesse cose, ed i vini siano, il più possibile, tutti uguali!
La tipicità è un criterio di standardizzazione, che fa a pugni con la filosofia qualitativa della Denominazioni di Origine. La qualità non la si può ottenere in forza del decreto: è una pia illusione!
Dice Hugh Jonhson, uno dei maggiori esperti internazionali: “la qualità del vino non la si può definire con la legge, bisogna costruirla da soli, nella produzione”.
Si possono seguire i disciplinari, e produrre vini pessimi! La qualità è il risultato di un processo virtuoso che deve essere messo in pratica dal produttore, prima nella vigna e poi in cantina, attraverso una infinità di accorgimenti che hanno lo scopo di migliorare il prodotto”.
Ma, non è la qualità la base delle Doc?
“Dovrebbe: l’Europa Comunitaria ha fatto suo il concetto, lanciando i Vqprd (Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate), dedicandogli tutta una serie di regolamenti. La qualità viene prima di tutto, va cercata e perfezionata continuamente: è la premessa. Alla base c’è l’origine, il territorio che produce il vino, quel complesso di terreno+clima+esposizione, e soprattutto i fattori umani e la cura che viene messa in atto per arrivare al risultato; poi c’è l’immagine che va costruita in continuazione.
Con quali uve si fanno questi vini? Con le migliori che si coltivano nella zona. Quali tecniche di affinamento usare? Il produttore farà certamente del suo meglio per arrivare al risultato migliore. Quando nel 1855 Napoleone III ordinò che si componesse una graduatoria dei “crus” di Bordeaux, la Camera di Commercio mise al lavoro una commissione di “courtiers” (mediatori) che semplicemente rilevarono quelli che erano stati i “Chateaux” più pagati, negli ultimi 5 anni: la qualità è quella consacrata dal mercato!
Mentre la aree di produzione sono dettagliate al metro quadrato, le regole di produzione sono molto blande: nessun periodo preciso per il legno, per la bottiglia, nessuna (ridicola) descrizione del prodotto finale, che però deve essere molto buono.
Grazie a queste regole elastiche, negli ultimi 30 anni i vini a Bordeaux hanno aumentato il grado alcolico da 12 a 14 gradi, diminuito di 3 punti l’acidità, raddoppiato l’intensità del colore e raggiunto una grande morbidezza.
Tutto per adeguarsi ai mutamenti del mercato: una vera bestemmia, secondo alcuni filosofi nostrani!”.
Ma tutto questo, che c’entra con il caso Montalcino?
“C’entra, perché a Montalcino (come in altre parti d’Italia) si continua a confondere l’origine con la tipicità.
Il primo Disciplinare del Brunello di Montalcino è del 1966, imperando la Legge 930 del 1963 che ha il merito di aver istituito le Denominazione di Origine in Italia. Ebbene, secondo la Legge 930, la qualità è opzione: importanti sono l’area di produzione, le regole, la descrizione dei prodotti, le tradizioni fondamentali per assicurare il “pregio”.
Ora, le tradizioni sono importanti quando sono buone ma quando sono cattive, vanno velocemente abbandonate.
Esempio: a Montalcino, c’era il culto delle botti vecchie, che fortunatamente è stato velocemente abbandonato.
Ma una delle regole fondamentali che è rimasta è quella che il Brunello di Montalcino si fa rigorosamente con il 100% di Sangiovese. Questa tesi è stata, con il tempo, sostenuta e rafforzata da una mistica letteraria e da contributi filosofici, tanto da attribuire tutto il merito del successo del vino al Sangiovese.
Ora il Sangiovese viene coltivato in mezza Italia, e significativamente in Toscana, dove fornisce tutta una serie di Doc - Docg, che, guarda caso, hanno richiesto tutte, la possibilità di interventi miglioratori, con altre uve.
Ma, tutti questi altri vini non hanno ottenuto il successo del Brunello, ecco quindi che il territorio di Montalcino conferisce al Sangiovese un carattere particolare. Il che è vero, in gran parte, ma non del tutto!
Il Sangiovese è un vitigno molto difficile: il vino è magro, scarno e poco colorato. Solo in annate molto particolari, è da considerare eccellente. In tutto il mondo hanno provato a coltivarlo, senza risultati degni.
Il vino di Montalcino invece si è affermato, come uno dei migliori a livello mondiale. Ora si scopre che, secondo alcuni, più dell’80% della produzione è Sangiovese tagliato con altre uve coltivate nella zona (Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Petit Verdot).
Un delitto sanzionato dalle rigide regole fissate dalla Legge 164/92 sulle Denominazioni di Origine, che arriva a comminare una pena detentiva da 6 mesi a 1 anno (ma non bastavano le sanzioni amministrative?). Una tremenda ingenuità da parte di questi produttori!”.
Ma se le regole le fissano i produttori, perché non le hanno cambiate, prima di far scoppiare uno scandalo?
“E’ la domanda che si fanno tutti: se le regole andavano cambiate bisognava farlo per tempo. Ma qui bisognerebbe scrivere un trattato di psicologia ambientato a Montalcino.
Un fossato profondo divide i “puristi” sostenitori (in buona fede) del Sangiovese assoluto, da quelli “possibilisti” disposti ad abbandonare i dogmi per ottenere un vino che superi i 90/100 nelle valutazioni degli esperti. Parlare male del Sangiovese è come parlare male di Garibaldi. Il disciplinare anziché un compromesso tra gli inesperti produttori dell’epoca, discende direttamente dal Vangelo e non si cambia. Poi, perché cambiarlo, dal momento che il vino ha successo?
Si arriva allora ai compromessi all’italiana: tanto, come se ne accorgono, non controlla nessuno. Da sempre, c’era l’abitudine, in Toscana (e altrove) di aggiungere un po’ di uve minoritarie, quali Colorino, Ciliegiolo, Mammolo ... Ma che sarà mai!
Alcuni poi, dicono una cosa e ne fanno un’altra per fuorviare il competitore. In effetti, quello dei controlli (e della opportunità di questi controlli) è un grosso discorso, che ha investito produttori, Consorzi, Ministero e quant’altro.
I Magistrati, si sa, applicano la legge. Se la legge è sbagliata, bisogna cambiarla, perché applicando lo stesso metodo di indagine in altre aree di produzione, buona parte delle Doc finirebbero negli stessi guai. E’ la prima volta che vengono applicati metodi raffinatissimi alle questioni inerenti alle Doc. Anche la Legge 164/92 è da rivedere”.
Lei pensa quindi che ci sia un accanimento …?
“E’ una valutazione che compete al Magistrato inquirente. Da parte nostra, come esterni, possiamo solo guardare con preoccupazione alla dimensione dello scandalo, ed al grave danno all’immagine ed al prestigio della produzione vinicola, struttura portante dell’economia agricola del Senese. Il riverbero negativo poi si propaga a tutta la produzione vinicola italiana.
Quelli che si fregano la mani per la soddisfazione di vedere le più importanti aziende di Montalcino nella polvere dovrebbero riflettere maggiormente sull’incertezza del mercato futuro. Quelli che si sono dimenati, con lettere anonime ed esposti, sono degni di biasimo, in quanto portatori dei peggiori istinti umani (invidia soprattutto). Si distrugge la reputazione di tutta una produzione, con quale prospettiva?”.
Qualcuno pensa, invece, che si tratti di una giusta azione moralizzatrice …
“In un certo senso sì, ma le azioni moralizzatrici vere dovrebbero evitare queste catastrofi. “Est modus in rebus”. L’azione moralizzatrice non può che portare al cambio delle Regole. Bisogna infatti porsi una domanda: quale è il Brunello che ha conquistato il mercato mondiale? Contemplando lo scenario non con gli occhi dello struzzo la risposta sembra ovvia: un regresso delle caratteristiche del prodotto può portare a conseguenze disastrose sul mercato. Esiste il rischio che altre Denominazioni più recenti, che hanno disciplinari più moderni ed elastici (Montecucco, Orcia …) possano surclassare Montalcino. Sarebbe un vero disastro per questa area. Se così tanti produttori sono andati in questa direzione lo hanno fatto certamente per migliorare la qualità del prodotto. Ora non è possibile tornare indietro”.
Allora quale soluzione?
“La soluzione (per il futuro) non può che essere il disciplinare con percentuali indicative.
Se il Sangiovese, a Montalcino conferisce al vino particolare struttura e longevità, una percentuale dell’85-90% è più che sufficiente a fornire questo carattere. Se uno poi vuole distinguere il proprio prodotto usando il 100% Sangiovese, deve poterlo fare. Se poi riuscirà a venderlo anche più caro, vuol dire che avrà ragione lui. Personalizzare il proprio vino deve essere una prerogativa della marca e del produttore. Perché si preoccupano così tanto? Sua maestà il consumatore dirà quello che più gli piace: il mercato decide.
Questa è la corretta filosofia di applicazione del concetto di denominazione di Origine: valorizzare il territorio e la sua gente. I vitigni valgono solo in parte”.
Qualcuno dice che corriamo il rischio di avere sul mercato vini tutti uguali.
“Questa sarebbe la negazione del concetto di denominazione di Origine, che assegna al territorio ed ai suoi produttori un ruolo prevalente nella caratterizzazione del prodotto.
Sono diversi anche i Sangiovesi che nascono a Montalcino da quelli del Chianti a quelli del Morellino di Scansano: il consumatore sceglie (anche in base al prezzo).
Esiste a Montalcino anche la Doc Sant’Antimo: è dedicata agli altri vitigni, diversi dal Sangiovese, ed è giusto che sia così. E’ un esempio di disciplinare più elastico.
Qualche giorno fa un produttore sottoponeva al mio giudizio un “Rosso di Montalcino”, secondo lui, vera espressione del Sangiovese: un vinetto poco più che rosato, magro scarnito ed acidulo. Sarà una espressione del Sangiovese, ma con questo vino, a questo prezzo, troverai ben pochi acquirenti!”
Dicono che ora procederanno alle analisi chimiche, che sono in grado di stabilire se si tratta di solo Sangiovese o no …
“In effetti, la cosa ha un fondamento scientifico, in quanto c’è la possibilità di valutare il patrimonio di polifenoli caratteristico di ogni vitigno. Queste indagini però hanno bisogno di poggiarsi su dati di riferimento, caratteristici di ogni zona.
Ora queste banche dati non mi risulta siano state costituite in passato, e se l’indagine degli analizzatori prende in esame la realtà, cioè bottiglia in commercio, potrà solo stabilire che questo è il Brunello in circolazione.
Fatto senza adeguata preparazione, può essere un discorso che contribuisce ad aumentare la confusione, anziché fare chiarezza”.
C’è anche una proposta del Consorzio per garantire ogni partita di Brunello con l’analisi chimica
“Non mi pare una grande idea. Preoccupazione del Consorzio dovrebbe essere quella di garantire la qualità del prodotto. L’analisi chimica fornisce dati obbiettivi su alcuni parametri, che possono essere giusti, anche per un vino scadentissimo. Solo l’analisi organolettica può valutare la qualità. e questa, purtroppo è soggettiva”.
Allora, come se ne esce?
“Occorreranno valutazioni ponderate, fatte con molto buon senso. Innanzitutto bisogna attendere i risultati delle indagini in corso, augurandoci che siano molto veloci le conclusioni ed i relativi processi. Le lungaggini potrebbero portare risultati disastrosi per le aziende (soprattutto nell’eventualità che non sussistano colpe). In seguito, bisognerà far sedere attorno ad un tavolo un gruppo di veri esperti che ponga mano alla revisione della regole, in modo da evitare questi disastri per il futuro. Se i vini di Montalcino sono veramente grandi, come sembra, potranno risorgere”.
Ma, Cavalier Rivella, non è portatore delle tesi di qualcuno?
“Io non produco una sola bottiglia di Brunello, ho rifiutato ogni proposta di consulenza e, quindi, non ho interessi diretti. Per quanto concerne la mia precedente azienda, ho lasciato la carica di Amministratore Delegato da ben 8 anni, e la proprietà non ha neppure gradito il mio abbandono (come ho raccontato nel mio libro “Io e Brunello”). Le mie considerazioni sono fatte nel solo interesse di Montalcino e del suo futuro, a cui sono affettivamente legato”.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024