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ALIMENTARE, IN ITALIA GIÙ IN CONSUMI IN CASA: -9,6 DAL 2007 AL 2012, CON UNA PERDITA DI 12,4 MILIARDI DI EURO. MA CRESCE IL FUORI CASA (+0,6%). A DIRLO UNA RICERCA FIPE A TUTTOFOOD. E, PER ISMEA-GFK EURISKO, PARTE MALE IL 2013 TRA LE MURA DOMESTICHE

Più della crisi, poterono stili di vita e “convivialità”: si potrebbe riassumere così la ricerca presentata da Fipe-Confcommercio a TuttoFood. Da cui emergono dati contrastanti sui consumi alimentari nel Belpaese: dal 2007 al 2012 gli italiani hanno ridotto la spesa alimentare domestica del 9,6%, per una perdita di 12,4 miliardi di euro. Ma nello stesso tempo sono cresciuti, seppur di poco (+0,6%) i consumi nel fuori casa. Un trend di calo per la spesa alimentare di casa, che sembra continuare anche nel 2013, visto che nei primi tre mesi, secondo dati Ismea-Gfk Eurisco, si è assistito ad un ulteriore calo della spesa, -2,3%, e delle quantità acquistate, -1,4% (dato contrastato per il vino, che mostra una crescita del 4,6% in valore ma un calo del 6,9% in volume). Ma secondo la ricerca Fipe, non è solo la crisi ad aver cambiato la spesa degli italiani.
La minore disponibilità economica, ovviamente, ha inciso pesantemente, ma sono cambiati anche gli stili alimentari, con pane e cereali, prodotti dolciari e bevande cresciuti sul peso nel paniere, a scapito delle proteine: carne, pesce (fresco e surgelato), latte, formaggi e uova. Un cambiamento determinato, secondo la ricerca, dall’aumentare del numero degli spuntini a cui ha corrisposto una graduale riduzione della portata dei pasti principali, tanto che alla loro preparazione (in casa) non viene dedicata più di un’ora. Una tendenza che si riflette nel lieve aumento dei pasti fuori casa. Sia per questioni di lavoro, visto che 12 milioni di italiani, 2 su 10, pranzano abitualmente fuori casa, distribuendosi fra bar, mense, ristoranti o anche sul posto di lavoro con pranzo portato da casa (percentuale più alta, dopo le mense) o acquistato nei negozi di vicinato.
Ma anche per la voglia di non rinunciare al rito della convivialità a tavola, crisi o non crisi. E soprattutto a cena, ormai considerato il pasto principale della giornata dal 23,4% degli italiani. Un dato, quello della crescita dei consumi alimentari fuori casa, che nell’Unione Europea, che coinvolge, insieme all’Italia, la sola Germania (+3,2%). Gli italiani, infine, pur in mezzo alle incertezze economiche, si definiscono buongustai (77,8%), prediligono le specialità gastronomiche della loro regione (69,1%) e ritengono di spendere molto per il cibo (53,3%).

Focus - La ricerca di Fipe-Confcommercio
Oltre 12,4 miliardi di euro bruciati in cinque anni: a tanto ammonta in termini monetari il taglio del 9,6% al carrello della spesa da parte delle famiglie italiane. E non si tratta di sola crisi economica. Se a questa è dovuta la maggiore attenzione degli acquisti alimentari in chiave anti spreco, una buona parte della contrazione degli acquisti è dovuta alla perdita di valore del cibo che viene via, via considerato sempre più alla stregua di una materia prima da acquistare al prezzo più basso. È quanto risulta dalla ricerca Fipe-Confcommercio “Consumi e stili alimentari in tempo di crisi”. Infatti, guardando più indietro nel tempo, la ricerca mostra come gli stili alimentari abbiano fatto variare i consumi anche nel periodo antecedente la crisi. Pane e cereali, prodotti dolciari e bevande andavano assumendo più peso nel paniere a scapito delle proteine, ovverosia: carne, pesce (fresco e surgelato), latte, formaggi e uova. Un cambiamento determinato, secondo la ricerca, dall’aumentare del numero degli spuntini a cui ha corrisposto una graduale riduzione della portata dei pasti principali, tanto che alla loro preparazione (in casa) non viene dedicata più di un’ora. Se questo comportamento ha contribuito a produrre un aumento del consumo alimentare fuori casa fino agli anni 2000, con la crisi c’è stato un rallentamento brusco del trend di crescita fino ad invertirne il segno nel 2012. Tenere il livello registrato nel 2013 sarebbe già da considerare un ottimo risultato. In un confronto europeo nel periodo 2007-2011, si può invece rilevare che l’Italia si caratterizza per una contrazione (6,3%) dei consumi domestici e per un lieve aumento (0,5%) di quelli extra-domestici. Fatto è che due italiani su dieci, per un totale di 12 milioni, pranzano abitualmente fuori casa, distribuendosi fra bar, mense, ristoranti o anche sul posto di lavoro con pranzo portato da casa (percentuale più alta, dopo le mense) o acquistato nei negozi di vicinato. Non sorprenderà dunque che nel corso degli anni il pranzo sia considerato un po’ meno il pasto principale a beneficio della cena salita dal 21,4 al 23,4%. Uomini e soprattutto donne (non così per gli adolescenti) danno sempre più importanza alla colazione del mattino.
Gli italiani si definiscono buongustai (77,8%), prediligono le specialità gastronomiche della loro regione (69,1%) e ritengono di spendere molto per il cibo (53,3%). Continuano a nutrirsi fondamentalmente di pane, pasta, riso, carni bianche e frutta (anche se in lieve calo rispetto al 2006), mentre il formaggio resta l’alimento meno scelto. Eppure il tasso di obesità risulta in crescita di oltre il 26% negli ultimi dieci anni; in sovrappeso sono ben sei milioni di italiani fra adulti e bambini. Gli stili alimentari meno salutari sono statisticamente quelli degli uomini; degli occupati; degli abitanti dei grandi centri e di quelli che vivono nel Centro Nord. Le lavoratrici donne, invece, sono più attente agli stili alimentari salutistici per un maggiore carico familiare; per le caratteristiche diverse dei lavori e per una maggiore attenzione e sensibilità ad aspetti relativi alla salute. Il rapporto con la bilancia diventa sempre più difficile. Il 31,5% delle persone dai 18 anni in su dichiara di non pesarsi mai e solo il 27,1% lo fa almeno una volta all’anno. A controllare poco il peso sono più gli uomini che le donne, i lavoratori autonomi e più i meridionali rispetto ai settentrionali.

Focus - I dati Ismea-Gfk Eurisco sul trimestre 2013
Lasciato alle spalle un 2012 che ha visto crollare il potere d’acquisto delle famiglie italiane (-5,4% la riduzione negli ultimi tre mesi dell’anno, in linea con quella registrata nei precedenti due trimestri), con effetti perfino sulla spesa di beni ritenuti un tempo incomprimibili, il 2013 si annuncia come un altro anno di austerity anche nel food & beverage.
A testimoniarlo sono i dati Ismea Gfk-Eurisko sugli acquisti domestici dei prodotti alimentari relativi al primo trimestre di quest’anno, che indicano una contrazione della spesa del 2,3% su base annua, accompagnata da una flessione delle quantità acquistate dell’1,4%. Si compra meno, ma soprattutto sottolinea Ismea, si spende in misura ancora inferiore soprattutto per la tendenza delle famiglie a rincorrere le offerte e a spostarsi su prodotti più economici, nel tentativo di non alleggerire ulteriormente il carrello.
Su alcune referenze questo fenomeno risulta molto evidente. Si pensi per esempio alla pasta di semola, prodotto irrinunciabile sulla tavola degli italiani, che registra una flessione in valore del 10% a fronte di una riduzione molto più contenuta nelle quantità (-1,6%), o al riso la cui spesa flette dell’8% mentre i volumi del 3,1%. Discorso analogo merita lo yogurt che mantiene un buon tasso di crescita degli acquisti (+5,7% in quantità) in presenza di un’agguerrita competizione sul prezzo che ha fatto risparmiare al consumatore il 4,6% sulla spesa.
Focalizzando ora l’attenzione sui diversi comparti, le rilevazioni dell’Istituto indicano un calo degli esborsi per prodotti ittici (-10,2%), bevande alcoliche e analcoliche (-4,4%, esclusi vini), ortofrutta (-3,6%), derivati dei cereali (- 3,1%), prodotti lattiero-caseari (-2%), oli e i grassi vegetali (-1,7%), mentre risulta pressoché stabile la spesa dei prodotti appartenenti al segmento della carne e dei derivati (-0,2%) ed in crescita quella unicamente per il vino (+4,6%).
In volume, quasi tutti i comparti mostrano una flessione degli acquisti: -0,7% per bevande alcoliche ed analcoliche (escluso il vino), -2,5% per i prodotti ittici, -2,8% per carne e derivati, -2,9% per i prodotti ortofrutticoli, -3,3% nel segmento degli oli e grassi vegetali e -6,9% per i vini. Stabili gli acquisti domestici di derivati dei cereali, in lieve crescita quelli dei prodotti lattiero-caseari (+1,2%). Tra le singole referenze, oltre ai già citati pasta e riso, per la prima volta accusano una flessione anche gli acquisti di ortaggi e insalate di IV gamma (-4,8% in volume), che fino allo scorso anno avevano sempre mantenuto incrementi anche elevati. Le famiglie italiane hanno tagliato poi i consumi di carne bovina fresca naturale (-6,5%), in favore dell’avicola naturale (+0,8%) ma soprattutto elaborata (+3,1%), della carne suina naturale (+1,8%) e delle uova (+0,8%). Il latte fresco (-3,6%) pare cedere consensi a vantaggio del latte Uht (+3,6%), mentre il pesce fresco accusa una flessione del 5%, frutta e agrumi del 4,5%, ortaggi del 2,2% e olio di oliva extravergine del 7,3%.
Tra i prodotti che hanno registrato nel trimestre in esame delle variazioni positive ci sono poi i formaggi e latticini (+2,1%, soprattutto freschi e semiduri), gli ortaggi in conserve (+7,4%) e surgelati (+7,1%), il salmone affumicato (+3,2%) e il pesce surgelato (+1,1%). Tengono, infine, gli acquisti di salumi, dopo la crescita mostrata nel 2012.
L’export, rimane quindi, almeno per il momento, l’unico traino per il settore, anche se sottolinea l’Istituto, la produzione agroalimentare della Penisola si rivolge prevalentemente al mercato interno e presenta una ridotta incidenza dell’export (circa il 20% per l’industria alimentare e di appena l’11% per l’agricoltura). I dati provvisori divulgati dall’Istat sui primi tre mesi dell’anno indicano comunque una crescita dell’export in valore del 6,6% su base annua, frutto del +6,9% dei prodotti alimentari e del +5,4% dei prodotti agricoli. Un incremento sostenuto soprattutto dalla domanda extra-Ue e che, secondo le stime Ismea, potrebbe essere confermato anche per il primo semestre dell’anno.

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