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Anche il vino ha una valenza politica: dopo la crisi con l’Ucraina del 2014, Mosca ha chiuso le porte all’agroalimentare occidentale (ma non al vino), ed i russi hanno riscoperto il piacere delle produzioni autoctone, cresciute, nel 2015, del 25%

Nella Russia di oggi, anche il vino ha una valenza politica, simbolo di un patriottismo sempre più esasperato, nato dallo scontro tra Mosca e l’Occidente del 2014, quando la situazione dell’Ucraina sembrava potesse sfociare nella guerra civile. Da allora, la situazione è lentamente precipitata: Est e Ovest, in un ricordo di Guerra Fredda, hanno deciso di combattersi con le armi delle sanzioni economiche e dei reciproci embarghi, tanto che, alla fine, il vino è uno dei pochissimi prodotti dell’agroalimentare ancora importati senza limitazioni. Eppure, un contraccolpo c’è stato: i russi, in questi due anni di guerra commerciale, hanno riscoperto il piacere dell’autarchia enogastronomica, che, anche a causa della crisi economica che sta attraversando il Paese, di cui il Governo di Vladimir Putin evita accuratamente di parlare, ha riportato in auge persino la produzione enoica del Paese, cresciuta, nel 2015, del 25% sul 2014, come rivela uno dei più autorevoli quotidiani Usa, il “The Wall Street Journal” (www.wsj.com). E le cose non stanno andando diversamente nel 2016, anche grazie alla riconquista, attraverso un discusso referendum, della Crimea, vero gioiello enoico della Russia.

Un gioiello su cui spicca Massandra, una volta la più grande cantina dell’Impero, che in effetti, sotto il controllo ucraino, era caduta, come tutta le Regione, “in disgrazia”, mentre il Governo russo ha deciso di investire forte sul suo rilancio. Anche attraverso una politica di espansione, che vorrebbe far diventare la penisola il punto di riferimento, sia qualitativo che quantitativo, dell’intera produzione vinicola di Russia.
Questo, però, non vuol dire che l’intera quota di import possa venire sostituita, a breve, dalla produzione autoctona, ma di certo anche il vino fa sentire un po’ più patriottici, specie grazie alla riscoperta di quelle varietà autoctone che esistono solo in Russia. E questo, ovviamente, vuol dire che gli oligarchi di Mosca, che negli ultimi anni avevano iniziato ad investire in Francia, California ed Italia, stanno facendo una rapida marcia indietro, riportando i capitali a casa, per puntare sulla crescita del vino russo: investimenti grazie ai quali, ad esempio, un big come Abrau Dyurso, nata nel 2006, e cresciuta nelle vendite del 17% nel 2015, sta puntando forte sulle bollicine, per offrire agli amanti dello Champagne un’alternativa autoctona. Di strada da fare ce n’è ancora tanta, ma al di là degli Urali hanno la certezza che, nel giro di qualche anno, saranno gli europei e gli americani a comprare il vino russo, esattamente come fanno i russi, da decenni, con i vini del Vecchio Continente.

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