Nell’era dell’Intelligenza Artificiale (Ia) la connessione umana è ancora importante? La risposta, soprattutto se si parla di vino, è scontata e positiva. Eppure è lecito chiederselo perché in tempi in cui il settore registra segnali preoccupanti, tra diminuzione dei consumi e salutismo, interviene anche il cambiamento epocale dell’Intelligenza Artificiale che rischia di far perdere ulteriore terreno alla socializzazione, quindi al vino. Il vino è stato la bevanda sociale preferita per millenni, e ora questo primato è messo in crisi e bisogna correre ai ripari come suggerisce, intervenendo da remoto, al business forum “Wine2Wine” by Veronafiere e Vinitaly, a Verona, la giornalista Karen MacNeil - premiata, tra le altre cose, con il Louis Roederer Award come “Best Consumer Wine Writing”, con l’International Wine and Spirits Award come “Global Wine Communicator of the Year” e autrice del pluripremiato libro “The Wine Bible” - “rifocalizzando l’attenzione dei produttori sull’importanza della connessione umana nel wine marketing e concentrandosi su uno degli attributi più notevoli del vino: la sua capacità di riunire le persone”.
Karen MacNeil, riconosciuta tra le 100 persone più influenti nel mondo del vino negli Stati Uniti e definita da “Time Magazine” come la “missionaria della vite in America”, è stata promotrice, con i consulenti di pubbliche relazioni e comunicazione Kimberly Noell Charles, DipWset, e Gino Colangelo, del “Come Over October”, una campagna di comunicazione focalizzata principalmente, ma non esclusivamente, sul mercato Usa per “rispondere”, anche nel nome, a “Sober October”, sfida - giunta al decimo anno - in cui in tutto il mondo le persone rinunciano all’alcol per contribuire a una causa benefica. L’obiettivo di “Come Over October”, è stato spiegato, è quello di riportare la socialità al centro delle relazioni umane, nel mese di ottobre, invitando tutti gli amanti del vino, produttori, ristoratori, operatori del trade e opinion leades, a farsi parte attiva organizzando situazioni in cui le persone si possono ritrovare condividendo un bicchiere.
E su i pro e contro di questa campagna hanno discusso Gino Colangelo, alla “difesa”, e il giornalista Robert Joseph, che anche in questo caso ha indossato i panni del “Devil’s Advocate” come fa abitualmente sulla rivista “Meininger’s International”. “Sono ovviamente un fan del vino - ha detto Joseph - ma non mi piace l’idea di confinare questo tipo di attività a un solo mese: molte persone vincono la solitudine con il vino e durante tutto l’anno. Non solo, il vino non è la sola bevanda della convivialità. Dal thè alla birra, fino al gin e perfino le sigarette, per quelli che si trovano fuori dai locali a fumare, sono aggregatori di socialità. Quindi mi sembra una iniziativa superficiale. Solo il 34% degli statunitensi bevono vino, compresi quelli che lo fanno una o due volte all’anno, e a non berlo è il 37% dei francesi”. “Respingo l’idea che il vino non sia la bevanda di elezione della convivialità - ha ribattuto Gino Colangelo - e il punto è il recupero della socialità. Negli Usa il Covid ha inciso molto negativamente e ora, anche a causa delle elezioni, c’è molta acrimonia tra le persone. E quanto al confinamento della campagna nel tempo, riprenderemo in primavera per andare avanti tutto l’anno”. Aldilà di questa o quella campagna, urgono strategie di contrasto alla diminuzione dei consumi. “Dobbiamo smettere di considerare il vino esclusivamente nel suo stesso ambito - ha suggerito Joseph - e inserirlo in tutte le altre occasioni della vita delle persone, dai viaggi agli eventi culturali, e così via. Per esempio, voglio portare il vino nelle librerie, dove ci sono senza dubbio persone interessate. E poi dobbiamo smettere di farci male tra noi discutendo sul vino che debba essere fatto in un modo o in un altro, oppure se sia vino oppure no, tenendo conto delle raccomandazioni dell’Oms. Non ha senso trascurare le persone che non bevono alcol e che ora sono costrette a bere altro, ma si rivolgerebbero volentieri al vino. Non a caso il consumo di birra analcolica è cresciuto del 10%, e molto spazio c’è nell’ambito del mosto fermentato”.
Concordando sulla necessità di sfruttare tutte le occasioni di incontro con i consumatori e facendo riferimento al mondo dello sport, Colangelo ha citato un esempio già in atto, come l’iniziativa della Jackson Family Wines, colosso statunitense del vino, che - quale sponsor dell’Nba Usa, il principale e più seguito campionato di basket al mondo - offre un bicchiere di vino a tutti gli spettatori delle partite. Non solo - e non è una novità - cruciale è essere sui mercati in presenza perché gli incontri sono più memorabili dei vini stessi. Bisogna raccontare e saper raccontare le storie, anche utilizzando meglio i social media. Raccontare storie e non fermentazioni, “gradi Babo” e barrique perché di questo, sì, si può occupare l’Intelligenza Artificiale. “Celebriamo il vino - ha concluso Robert Joseph - e inseriamolo dove c’è la possibilità: è una delle cose buone della vita. E comporta comunque dei rischi”.
Clementina Palese
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