02-Planeta_manchette_175x100
Allegrini 2024

APPELLO AL SISTEMA ITALIA: IL VINO PUO’ USCIRE DALLE INCERTEZZE E GUADAGNARSI UN NUOVO RINASCIMENTO. TUTTE LE COMUNICAZIONI DEL FORUM DI CONFAGRICOLTURA

Italia
Il vigneto Italia alla ricerca di un nuovo Rinascimento

Il vino italiano nel mondo può superare l’attuale fase di stasi e, anzi, aprirsi ad un altro “Rinascimento”: “se il boom del dopo metanolo fu dovuto alla capacità dei singoli, ora è la filiera che deve trovare le opportune sinergie. E’ tutto il “sistema Italia” che deve funzionare. Il segreto è semplice: organizzarsi per rendere stabile e rafforzare la crescita”. Così il presidente di Confagricoltura, Augusto Bocchini, a WineNews, a chiusura del seminario “Dove va il vino italiano? Mercati, prezzi, consumi, immagine”, che ha coinvolto il mondo delle imprese e quello della finanza, l’universo della ristorazione e quello della comunicazione, istituti ed enti chiamati a promuovere il vino italiano all’estero.

“Facciamo un lavoro di squadra - ha detto Bocchini - e proviamo a fare un progetto condiviso”. E lo sforzo corale c’è stato. Da approfondire - anche con riflessioni tematiche specifiche, come è stato da più intervenuti richiesto - ma nella consapevolezza già emersa con chiarezza che “la riflessione deve comprendere politiche di settore, a livello nazionale ed europeo; strategie di promozione e di marketing; strumenti finanziari, assicurativi e fiscali”. “Strumenti innovativi - ha continuato - come assicurazioni all’export con premi accessibili e un sistema misto pubblico-privato per selezionare i finanziamenti a chi va sui mercati esteri e non ha una “massa critica”, con le sole sue forze, per fronteggiare i competitors d’oltreoceano: a partire da quelli australiani, arrivati per ultimi ma già primi su molti mercati”.

Una riflessione globale, svolta in maniera approfondita e via via aggiornata nei dati e nelle tendenze a corredo, organica e nel rispetto della specificità di ogni componente della filiera. E’ questa - secondo la Confagricoltura - la risposta responsabile che devono dare le componenti della filiera, non solo rispetto a situazioni contingenti - però “bisogna operare affinché le difficoltà non si strutturalizzino” - ma anche ad assurde esternazioni mediatiche che ledono l’immagine del nostro vino.

Al riguardo, non si invocano né censure né reprimende; bensì - quasi per “par condicio” - si sollecitano una o più trasmissioni tv che mettano in luce quale è la realtà, per la quasi generalità meravigliosa, del nostro mondo vitivinicolo, il suo valore economico, sociale, paesaggistico, emozionale. Senza mai dimenticare il traino che il vino, con pochi altri prodotti di prestigio, assicura al “made in Italy” sui mercati di tutto il mondo. I nostri imprenditori del vino - se saranno assicurate le premesse - sono pronti perfino ad avventurarsi sui mercati della Cina, per cominciare a cogliere, nella “sfida” con il colosso asiatico, anche le opportunità, non solo a lamentare i loro vantaggi (in tanti settori, compreso l’agro-alimentare). L’esperienza, sia pure su scala ridotta, della Corea del Sud, mostra che c’è capacità di affrontare mercati nuovi, che presentano notevoli capacità di sviluppo.

Approfondimenti

Lo stato della comunicazione per il vino
di Dennis Redmont - Direttore Associated Press Italia
Sullo sfondo di una cultura enogastronomica internazionale che si evolve, i difetti e le mancanze del settore vinicolo italiano si fanno più evidenti. Molti dei tratti caratteristici delle culture del cibo americana ed italiana si sono confusi e scambiati.

Non si tratta più del clichè in cui il classico atteggiamento enogastronomico italiano, fatto di spontanea e raffinata predisposizione per il buon mangiare e bere si contrappone alla pochezza gustativa e all’ignoranza gastronomica degli americani. Gli italiani non detengono più il monopolio del buon vivere a tavola e gli americani non sono tutti consumatori fanatici del fast food.

La comunicazione, in questa situazione, viene ad assumere un ruolo via via più importante e i difetti in questo ramo si ripercuotono su tutto il settore. La comunicazione è packaging, cura dell’evento, relazioni con la stampa, pubblicità e promozione. Il caos impera ovunque.

Il campanilismo offusca la promozione dei prodotti regionali, le fiere si accavallano e concorrono tra loro in modo poco costruttivo, il sistema di classificazione basato sull’origine tiene in nessun conto la qualità, mancano leggi sull’etichettatura e, insomma, il consumatore, specie se straniero, è più confuso che mai.

Questo è un momento cruciale per il settore vinicolo e si stanno giocando ora le carte decisive che delineeranno l’andamento del mercato del vino nei prossimi 10 anni.

Per la prima volta, negli Usa, le importazioni di vino australiano hanno superato quelle di vino italiano. La distribuzione si sta consolidando e fusioni e vendite sono all’ordine del giorno. L’euro ha aumentato il prezzo del vino italiano del 30%, ponendo vini italiani importanti (si pensi al Chianti Classico) in mercati più competitivi. L’esperto delle vendite diventa una figura sempre più insostituibile. Insomma, il cambiamento e’ impellente - tanto che i grandi proprietari volano in tanti Paesi a versare personalmente i loro vini in occasione delle degustazioni.

Economia del vino italiano: declino o svolta?
di Fabio Taiti - presidente Censis Servizi Spa

Il consolidamento di quattro tendenze

Una lettura dei dati di lungo periodo (1990-2003) del settore, indica il consolidamento di almeno quattro tendenze:

- la stabilità delle superfici agrarie destinate a vigneto nel mondo (7.4 milioni di ettari) a fronte della progressiva erosione del vigneto europeo (e italiano), del lento incremento di quello statunitense, della rapida evoluzione delle vigne australiane;

- la parallela stabilità della produzione di vino nel mondo (27-28 milioni di tonnellate), che sottende però tra l’altro una cessione del 6% della quota da parte di Francia, Italia e Spagna e l’incremento del 4% ciascuno di Stati Uniti e Australia;

- il deciso progresso dei vini di qualità, saliti dal 15% al 30% del totale, e il più rapido aumento della proporzione di questi ultimi nel commercio internazionale;

- la crescita dei consumi complessivi di vino, anche in questo caso frutto di una progressiva contrazione in Europa, e di uno sviluppo negli Stati Uniti, e nei paesi di recente acquisizione a questo consumo (Europa Nord, Australia, Giappone, Cina).

L’emergere di alcune discontinuità

Negli ultimi tre anni - negativa congiuntura dell’economia occidentale aiutando - sono parallelamente emerse alcune rilevanti discontinuità:

a) dal lato della domanda:

- crisi di mercato diversamente distribuita sui territori e fra le aziende, soprattutto in Francia, Italia, Stati Uniti;

- rottura del continuato ciclo crescente dei prezzi, sia tra i prodotti di fascia bassa che tra quelli di livello medio e alto;

- ricerca del rapporto qualità/prezzo da parte di un consumatore meglio informato e meno incline alle suggestioni della comunicazione;

- apprezzamento dei vini con qualità di tendenza a prezzi moderati soprattutto nel consumo fuori casa;

b) dal lato dell’offerta:

- prosecuzione del ciclo di elevati investimenti innovativi in vigna e in cantina (+20-30% sull’anno precedente), finanziati soprattutto con cash flow e risorse proprie dai maggiori produttori, e con indebitamento creditizio da parte delle aziende medie e piccole;

- arroccamento dei vini di gamma alta in una nicchia elitaria, non sempre sorretto da riscontri qualitativi oggettivamente garantiti, con relative crisi delle procedure a ciò preposte;

- valorizzazione dei maggiori brand aziendali in assenza di una analoga promozione da parte dei più affermati brand territoriali;

- contrazione del valore aggiunto generato e, quindi dei margini operativi, in rapporto ai fatturati prodotti.

L’apertura di quattro faglie

Tendenze consolidate ed emergenti discontinuità, stanno producendo l’effetto di aprire nel sistema del vino italiano almeno quattro nuove faglie:

- tra i consumatori, che riacquistano, dopo anni di subalternità alle mode e ai media, una nuova centralità, ma che propongono un accentuato distacco dei comportamenti tra segmentazione e politeismo;

- tra i produttori che appaiono nettamente divisi in ordine alle strategie di competitività tra grande dimensione e piccola massa critica, tra fedeltà al prodotto e orientamento al mercato;

- tra i segmenti di una filiera di settore, sempre più lunga e divisa tra vigna-cantina-distribuzione da una parte e spazi, luoghi e riti del consumo dall’altro;

- tra il livello dei prezzi all’origine e al consumo finale, in corrispondenza delle politiche distributive, dei luoghi dell’acquisto, del posizionamento dei prodotti, dei luoghi di consumo (casa - fuori casa) e delle relative occasioni (necessità, business, leisure).

Due possibili scenari di nuovo sviluppo

Gli esiti più o meno felici di queste molteplici problematiche non discenderanno per il settore italiano dei vini solo da singole pur necessarie e utili misure di intervento o decisioni congiunturali (moderazione dei prezzi, trattamenti fiscali, difesa delle denominazioni, servizi di certificazione, trasferimenti dei diritti di reimpianto ...).

Più probabilmente la riaffermazione del vino italiano nel mondo sembra legata, nel medio periodo, alla capacità del settore di:

- spostare il fuoco della strategia e degli investimenti dalla catena del valore a monte alla ragnatela del mercato a valle (anche questo ormai tendenzialmente globale);

- consolidare (anche finanziariamente) non tanto le 30-40 aziende leader - che hanno capacità e risorse bastevoli a competere - quanto piuttosto le 1.500-2.000 aziende inseguitrici, spesso di ottimo o buon livello produttivo ma ancora fragili in termini di dimensione critica necessaria a fare marketing di prodotto;

- selezionare un ristretto gruppo di aziende dotate assieme di massa critica di prodotto (gamma, qualità e marchio) e flessibilità di risposta in tempi rapidi alle mutevoli tendenze di mercato, per tenere le posizioni rispetto ai competitor globali;

- valorizzare, accanto ai pochissimi casi esistenti (Langhe, Collio, Chianti, Montalcino ...) alcune decine di brand - territorio, come ombrelli protettivi e promozionali dei vini italiani di forte qualità e identità ma di debole massa critica di sfondamento.

La fiscalità nel settore vitivinicolo
di Vito Bianco - Direttore di Confagricoltura
Il settore vitivinicolo ha conosciuto, negli anni ’90 ed anche in quelli più recenti, una fase di espansione esemplare; dico esemplare perché essa è stata ottenuta con una miscela di “ingredienti” davvero indovinata. In primo luogo, una ricerca impegnativa della qualità, sia in campo, che nella tecnica enologica.

In secondo luogo, il criterio di fornire al consumatore un’immagine chiara, immediatamente riconoscibile, di tali contenuti qualitativi. L’espressione “doc” è diventata di per se sinonimo di qualità, ben al di là del settore vitivinicolo.

Ed infine, la politica fiscale, ha fornito ossigeno al settore, attraverso provvedimenti non punitivi grazie ai quali, a differenza di altri Paesi comunitari, il prodotto vino non si trova ad essere penalizzato da gravami eccessivi.

Tutto ciò, però, non è bastato ad evitare un certo rallentamento della crescita. Non voglio usare la parola crisi, ma lo scenario, senza gli adeguati correttivi, potrebbe diventare davvero preoccupante.

E proprio queste nubi che si addensano, hanno recentemente portato alcuni autorevoli addetti ai lavori a sollevare la questione di un intervento agevolativo per la produzione vitivinicola.

Viviamo una fase congiunturalmente critica del mercato e, pertanto, l’iniziativa mi sembra opportuna, non foss’altro che per aprire un dibattito, come in effetti è avvenuto; e noi non intendiamo sottrarci a questo confronto.

In tale ambito è riemerso il problema dell’applicazione dell’aliquota IVA per le cessioni di vino, oggetto negli anni scorsi di attento esame in relazione ai principi contenuti nella VI Direttiva del consiglio delle comunità europee n. 77/388.

A tale riguardo si rammenta che l’articolo 12 della citata direttiva prevede che gli Stati membri possano applicare una o due aliquote ridotte in relazione a particolari esigenze del mercato interno nazionale.

Tuttavia, la stessa disposizione comunitaria vincola gli stati membri nell’esercizio di tale opzione, imponendo tassativamente un elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi cui, eventualmente, applicare le aliquote ridotte. Tale elencazione è stata formalizzata nell’allegato h) della direttiva stessa, intitolato: “Elenco delle forniture di beni e delle prestazioni di servizi suscettibili di essere soggette ad aliquote ridotte dell’Iva”.

Nell’elenco, la categoria n. 1 adotta la seguente descrizione “Prodotti alimentari (incluse le bevande, ad esclusione tuttavia delle bevande alcoliche) destinati al consumo umano….”.

Pertanto, si fa presente che, ai fini dell’adozione di un provvedimento normativo volto a ridurre le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto, i governi nazionali devono necessariamente attenersi agli obblighi imposti dalla stessa direttiva CEE e tale comportamento è stato, ovviamente, seguito dal Governo italiano negli anni scorsi per fissare l’aliquota delle bevande vinose al 20%.

Con l’occasione, si rammenta che, al momento del passaggio dell’aliquota al 20%, la percentuale di compensazione Iva delle cessioni di vino effettuate da imprenditori agricoli rientranti nel regime speciale, previsto dall’art. 34 del Dpr 633/72, è stata elevata al 12,5%.

Pertanto, fermo restando i suddetti limiti, una mera riduzione dell’aliquota sulle cessioni non è ipotizzabile, senza una contestuale revisione della percentuale di compensazione Iva che i produttori agricoli in regime speciale applicano sugli acquisti degli input necessari alla produzione.

Come è noto, l’Iva forfettizzata riconosciuta dall’erario comporta, per la gran parte dei produttori di vino, una “rendita fiscale”, pari alla differenza fra l’importo accreditato mediante la percentuale di compensazione e l’IVA detraibile.

Tale situazione è ancor più vantaggiosa per i produttori in regime speciale che effettuano esportazioni, ai quali lo Stato riconosce un credito di imposta meglio noto con il termine di “Iva teorica”, corrispondente all’applicazione della percentuale di compensazione.

Oggi, questo complesso di misure consente al sistema agricolo nel suo complesso - ed in particolare ai viticoltori - di trattenere risorse che sono indispensabili per garantire la necessaria redditività. Da questo dato occorre partire per impostare iniziative congrue che, secondo il nostro punto di vista, siano alternative nel metodo di applicazione, ma non nella sostanza.

Queste considerazioni non escludono la necessità di un approfondimento politico-legislativo che - a nostro parere - deve assumere connotati ancora più ampi, pure nella consapevolezza dello stato di permanente criticità della finanza pubblica, che rende oggi improbabili misure dirette di supporto.

Non a caso la Confagricoltura ha salutato con molto favore il ddl Finanziaria per il 2005. Qui, il Governo, sia pure nell’ambito di una manovra di contenimento del deficit per circa 24 miliardi di euro, ha comunque scelto di non intervenire sui tre aspetti “critici” della fiscalità applicata all’agricoltura: l’aliquota ridotta dell’Irap all’1,9%, le agevolazioni sugli acquisti di terreni e, per l’appunto, il regime speciale dell’Iva.

Si prevedono delle proroghe annuali, e noi avremmo certamente preferito portare “a regime” queste norme, che nel caso dell’Iva sono operative ormai da oltre trent’anni, ma per il momento registriamo con soddisfazione la conferma dell’esistente.

Tornando alle prospettive di un ipotetico intervento fiscale, deve essere intrapresa e sostenuta una forte via negoziale affinché, all’interno del mercato dell’Unione europea, siano ridimensionate le misure di protezione (accise) che impediscono, in alcuni Paesi (come Svezia, e Gran Bretagna), la penetrazione commerciale del vino, sia pure in presenza di una crescente domanda, evidentemente concorrenziale con la birra ed altre bevande.

In altri termini, occorre, ragionare su politiche fondate sulla cosiddetta “fiscalità di vantaggio” che, ad esempio, attraverso la riduzione delle imposte sulle società, ha consentito alla Irlanda di accreditarsi con il più rapido tasso di crescita europea degli ultimi decenni.

Così come sono da proporre interventi quali la deduzione integrale delle spese sostenute per attività promozionali all’estero. Si tratta, ricordo, di due misure indicate nel documento comune fra organizzazioni imprenditoriali e sindacali sul Mezzogiorno, che la Confagricoltura ha sottoscritto nei giorni scorsi.

Noi siamo consapevoli di dover esercitare ogni legittima pressione per promuovere modelli legislativi aderenti alle esigenze delle imprese. Questa pressione ha già prodotto ottimi risultati, con l’approvazione della cosiddetta “legge d’orientamento bis” (decreto legislativo n. 99/04), dove, tra le altre norme, si raggiunge, dopo anni di ottuso ostracismo, l’obiettivo di equiparare, ai fini delle politiche agevolative, le società di capitali e di persone agli imprenditori professionali singoli.

E non meno importante è il miglioramento ottenuto per la figura dell’imprenditore agricolo professionale per gli acquisti di terreni. Da un lato, esso viene equiparato al coltivatore diretto, nell’applicazione dell’imposta di registro; dall’altro, entrambe le figure, se acquistano terreni secondo i criteri del “compendio unico”, hanno ulteriori vantaggi (il complesso dell’imposta - di registro, ipotecarie e catastali - sugli acquisti di terreni e fondi rustici per coltivatori diretti e Iap è fissato all’1% - più altre in cifra fissa - mentre precedentemente l’Iatp versava l’11%; con il compendio unico c’è l’esenzione totale, ma con il vincolo di conduzione diretta e di indivisibilità decennale).

Molto si potrà ancora fare, utilizzando nell’immediato futuro le occasioni offerte dalle misure di carattere strutturale, una volta verificate le prospettive di bilancio della Unione Europea. Noi ci auguriamo che l’Unione Europea, dopo il 2007, abbia risorse sufficienti per garantire anche in futuro un’incisiva politica strutturale ed efficaci azioni di sviluppo rurale, e che non passino le tesi restrittive dei sei Stati membri contribuenti netti, che vorrebbero introdurre un tetto dell’1% alle risorse proprie.

Sarà nostro compito, a quel punto, premere affinché ci sia una reale capacità delle Regioni di applicarsi a disegnare piani di sviluppo rurale orientati alle reali prospettive di crescita delle imprese.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024