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ARRIVA “IDENTITA’ NEW YORK”: LA LOCATION SARA’ “EATALY”, IL NUOVO STORE DI OSCAR FARINETTI NELLA GRANDE MELA, DOVE DAL 12 AL 14 OTTOBRE E’ DI SCENA LA CUCINA CONTEMPORANEA ITALIANA CON 10 GRANDI CHEF E UN CUOCO PASTICCERE. FOCUS: CHEF & RICETTE

Da Ugo Alciati a Luca Montersino, da Davide Scabin ad Emanuele Scarello, insieme a Massimo Bottura e Moreno Cedroni, Cristina Bowerman e Gennaro Esposito, Niko Romito, Pietro Zito e Pino Cuttaia, ecco gli alfieri del nuovo gusto italiano, personaggi che hanno smontato e rimontato anni e anni di storia per disporre saperi e sapori secondo nuovi equilibri che oggi sono alla base dell’alta cucina contemporanea italiana. Dopo Londra e Shanghai, Arriva “Identità New York”: la location sarà Eataly, il nuovo store di Oscar Farinetti nella Grande Mela, dove, dal 12 al 14 ottobre, i dieci grandi chef e un cuoco pasticcere celebreranno la nuova cucina italiana, con showcooking, lezioni di cucina e una cena d’eccezione che li vedrà tutti insieme dietro ai fornelli (info: www.identitagolose.it).
In trasferta a New York, dieci di loro cucineranno salato nei ristoranti tematici di Eataly: paste ripiene e pastasciutte fumanti, risotti al dente, zuppe di cipolla e zafferanno così come la “pasta e fagioli” tra tradizione e innovazione, per poi apprezzare la garbata creatività del crudo di carne e dei crudi di mare piuttosto che affumicature fuori dal comune. Ma non solo, perché a “Identità NY” ci sarà anche uno speciale showcooking nella Scuola di Cucina di Lidia Bastianich ed una cena-spettacolo di 11 portate che vedrà tutti gli chef lavorare contemporaneamente nel ristorante “Manzo” di Mario Batali.

Focus - Chef & ricette
Ugo Alciati, chef patron del ristorante “Guido” a Bra (Cuneo) in Piemonte (info: www.guidoristorante.it) - 1 Michelin star
“Legendary Agnolotti”

La famiglia Alciati è ancora unita come un tempo, quando i tre figli in calzoni corti incominciavano a dare una mano in cucina (Ugo, classe 1967), in sala (Andrea, classe 1971) o in cantina (Piero, classe 1962) ai due capisaldi della famiglia: Guido, l’originale “Guido da Costigliole” scomparso nel 1997, e la moglie Lidia, colonna portante mancata nell’agosto 2010, capo-brigata di una squadra che ormai spazia da Santo Stefano Belbo a Pollenzo a Torino. Ugo, nel ristorante “Guido” a Pollenzo (a pochi chilometri da Bra, dove ha sede l’Università di Scienze Gastronomiche fondata da Carlo Petrini), continua a innovare quei dessert che incominciò a fare con i calzoni corti: ricorda sempre di aver fatto “la prima meringa a nove anni”. Piero Alciati, primogenito enologo, si divide tra Pollenzo, dove sta in sala, e il ristorante “GuidoperEataly, nel quale è in società con la famiglia Vicina. 
Infine, Andrea è al Relais San Maurizio che ospita “Guido da Costigliole” a Santo Stefano Belbo (Cuneo), in uno splendido convento seicentesco sulle colline langarole trasformato in albergo e ristorante.
Massimo Bottura, chef patron dell’“Osteria Francescana” a Modena in Emilia Romagna (info: www.osteriafrancescana.it) - 2 Michelin stars
“Pasta then and now : Pasta & fagioli”

Inizialmente grossista di prodotti petroliferi nell’azienda di famiglia, Massimo Bottura nel 1986 coglie l’opportunità di dare sfogo alla passione per la cucina rilevando una vecchia trattoria. Allievo di un sacerdote della cucina francese classica come Georges Cogny e poi di Alain Ducasse che, intuendone il talento, lo porta con sé al “Louis XV”, Massimo cresce a lezioni di pulizia gustativa, concentrazione e organizzazione, tre principi che non dimenticherà mai. Segue l’incontro con Ferran Adrià, a tre anni dall’apertura dell’“Osteria Francescana”. È il 1999, anno che chiude un secolo e un millennio per aprire la prospettiva su un decennio, quello appena trascorso, che ha contato profondamente nella ristorazione italiana grazie a figure come quella di Bottura. Massimo ha saputo rompere con il passato senza rinunciare a essere italianissimo: ogni piatto è il frutto di un’idea, di un gioco di parole che sintetizza il rispetto per la tradizione italiana abbinato ad una sana dose di irriverenza. Per scoprirlo basta gustare a Modena piatti come la “Compressione di pasta e fagioli” e il “Bollito non bollito” e capire che sono il risultato di secoli di cucina italiana che è andata per il mondo e oggi torna nel Belpaese per attingere nuova linfa. Sull’“Osteria Francescana” brillano oggi due stelle Michelin e il ristorante è al posto n. 6 della classifica “S.Pellegrino 50 World’s Best Restaurants”.
Cristina Bowerman, chef e patron del “Glass Hostaria” a Roma nel Lazio (info: www.glasshostaria.it) - 1 Michelin star
“Scallops in the spotlight”
Radici pugliesi e napoletane, Cristina Bowerman ha scelto l’America per finire gli studi legali (è laureata in Giurisprudenza con 110 e lode), salvo ritrovarsi a fare crêpes a San Francisco fino a laurearsi nel 2003 in Arti Culinarie al Cordon Bleu di Austin. Da poco più di 3 anni è a Roma, al “Glass Hostaria” in pieno Trastevere, un locale aperto nel maggio 2004 da due amici d’infanzia, Fabio Spada e Silvia Sacerdoti, che subentrarono a una libreria che a sua volta aveva preso il posto di un meccanico per motorini.
Moreno Cedroni, chef patron del ristorante “Madonnina del Pescatore” a Senigallia (Ancona) nelle Marche (info: www.morenocedroni.it) - 2 Michelin stars
“Italian Sushi”

Moreno Cedroni e il suo ristorante stellato, la “Madonnina del Pescatore” a Senigallia (Ancona), sono stretti tra l’Adriatico e la ferrovia che corre lungo l’intera costa. Questo promontorio è un netto punto di riferimento per chi con lo sguardo va oltre il proprio naso e Cedroni, rispetto a tanti altri, ha anche un motivo professionale per volgere lo sguardo sempre a sud. Là infatti, sulla spiaggia di Portonovo (Ancona), conduce i riti golosi del “Clandestino”, “susci” bar tricolore, seconda di cinque realtà. In centro a Senigallia ecco infatti “Anikò”, salumeria ittica strettamente legata al laboratorio “Officina” (ad Ancona) dove i pesci vengono “salumati” così come sono preparati salse e prodotti in scatola.

 Tutto questo per far capire che Moreno, memore degli insegnamenti ricevuti da Ferran Adrià, non è uno chef che rimane inchiodato ai suoi fornelli. Come tanti all’estero e pochissimi in Italia, pensa che il suo lavoro abbia più declinazioni e che tutto può essere alta cucina, anche il prodotto all’apparenza più umile. Sua l’italianizzazione dei sushi (per lui i “susci”), sue le scatolette di pesce bianco e gelatina che nobilitano le generiche scatolette di carne mista, suoi i cucchiaini di assaggini. E infine l’enoteca “Acrilico” ad Ancona.
Pino Cuttaia, chef patron del ristorante “La Madia” a Licata (Agrigento) in Sicilia (info: www.ristorantelamadia.it) - 2 Michelin star
“Cod : Sicilian Style”

Nato a Licata (Agrigento), trasferitosi a Torino con la famiglia per compiere gli studi e per lavorare inizialmente in fabbrica, Pino Cuttaia riesce a tenere accesa la sua passione per i fornelli solo nei fine settimana, gli unici momenti liberi a disposizione. “Ma presto la distrazione si trasforma in lavoro”, racconta Pino. Al “Sorriso” di Soriso (Novara) prima e al “Patio” a Pollone (Belluno) poi impara la precisione nel lavoro, un imprinting che, accostato agli ingredienti isolani e a un talento invidiabile, è destinato a far saltare il banco di critica e pubblico di lì a poco. Il millennio si apre col ritorno di Pino a Licata, e quale miglior luogo per esplorare e ridisegnare i sapori dell’infanzia? Non è un segreto, infatti, che per questo cuoco cucinare significa dare un senso (commestibile) ad episodi (effluvi) dispersi nel tempo ma non nella memoria. Col merluzzo affumicato alla pigna e condito alla pizzaiola, ad esempio, sono rievocati i passi felpati con cui, da bimbo andava a raccogliere le pigne per accendere il fuoco. Ricordare per rivivere allora, con fragranze lontane ormai avvertite indistintamente dai palati di tutta Italia.
Gennaro Esposito, chef patron del ristorante “Torre del Saracino” a Vico Equense (Napoli) in Campania (info: www.torredelsaracino.it) - 2 Michelin star
“Seafood by way of Neaples”

“Campania felix” recitavano gli antichi. Come dargli torto se la terra che sta intorno a Napoli è la regione della pasta secca di Gragnano, dei pomodori San Marzano, della mozzarella di bufala Dop, dei limoni di Sorrento ... ma è anche quella che ospita oggi tanti giovani e grandi chef, veri talenti naturali, che ne fanno un epicentro della nuova cucina italiana. Classe 1970, cresciuto con il naso nelle casseruole di mammà, Gennaro Esposito si è diplomato all’istituto alberghiero nel 1988. In un localino per turisti, Gennaro trascorre stagioni proponendo onesti spaghetti alle vongole e dignitose fritture. Un incontro con un grande maestro della cucina italiana a cui seguono esperienze chiave a Monte Carlo e a Parigi, con Franck Cerutti e Alain Ducasse, contagiano Gennaro con la mania del prodotto, l’organizzazione e il rigore tecnico. La metamorfosi si compie con la trasformazione del ristorante in uno dei locali più eleganti della regione. Gennaro pratica una cucina di territorio in senso stretto, grazie alla sua abilità di talent scout di prodotti d’eccellenza: il primo sulla lista ovviamente è il pesce, tutto rigorosamente locale, ma ci sono anche le paste artigianali, gli ortaggi coltivati in parte nell’orto di famiglia, insostituibili elementi di una cucina very slow.
Luca Montersino, pasticciere patron di “Golosi di Salute” ad Alba (Cuneo) in Piemonte (info: www.golosidisalute.it)
“Wholesome Dolci”

Si possono creare dessert senza uova, senza zucchero, senza glutine, senza latticini? Le intolleranze alimentari crescono e anche le fobie di chi vuole essere “dietetically correct” a tutti i costi. Così anche in Italia è nata la “pasticceria salutistica”, che però non vuole rinunciare al gusto e al piacere: ne è autore Luca Montersino, un giovane torinese (è del 1973) che dopo un’esperienza come formatore all’Istituto Etoile ha aperto nel 2005 ad Alba (Cuneo) un suo laboratorio, che ha battezzato “Golosi di Salute”. Ha scritto anche alcuni libri di ricette e da fine 2007 si è ritagliato un angolo dolce all’interno dei magazzini del gusto Eataly, a Torino, con lo spazio “Luca Montersino per Eataly” dove lo chef pasticciere tiene anche corsi serali di pasticceria. Banditi i grassi idrogenati, dimenticato lo zucchero saccarosio raffinato, scegliendo ingredienti non convenzionali Luca Montersino rende tutti golosi in salute, come afferma: una buona scusa per chi voglia lasciarsi andare alla passione dei dolci.
Niko Romito, chef patron del ristorante “Reale” a Rivisondoli (L’Aquila) in Abruzzo (info: www.ristorantereale.it) - 2 Michelin stars
“Saffron : the spice of Italy
Niko Romito, giovane chef abruzzese, si è fatto conoscere lavorando a Rivisondoli tra i monti d’Abruzzo nella provincia aquilana scossi l’anno scorso dal terremoto. Qui i genitori di Niko nel ’96 decisero di riconvertire la loro piccola pasticceria in una trattoria, con papà Antonio ai fornelli. Niko, era a Roma intento a studiare economia. Due anni più tardi però il padre si ammala e muore: c’è da fare le valigie e rimboccarsi le maniche, e lui lo fa con la complicità della sorella Cristiana, che guida tuttora la sala. Da autodidatta si presenta a qualche corso professionale e compie stages decisivi al fianco di grandi chef come Valeria Piccini e Salvatore Tassa. Le matrici sono quelle: infatti la sua è una cucina centroitaliana di immediato impatto che non si perde in chiacchiere ed esprime una personalità generosa. Da una cucina “figurativa”, impostata sulle specialità tradizionali, la recente svolta verso l’astrattismo di piatti contaminati dall’avanguardia, ingredienti solitari e manipolazioni molto minimal.
Davide Scabin, chef patron del ristorante “Combal.zero” a Rivoli (Torino) in Piemonte (info: www.combal.org) - 2 Michelin stars
“Carne Cruda : Meet the Meat”
Figlio di un camionista e di una cuciniera d’osteria, Davide Scabin è un cuoco inafferrabile: il più inquieto, geniale e preveggente della cucina italiana. Da ragazzino vuole studiare informatica, oppure fare il ladro. Dopo l’istituto alberghiero e una serie di esperienze nei posti giusti, improvvisamente Davide fa inversione a U e sceglie la professione di rappresentante di prodotti estetici. Nel 1994 nuova svolta con l’apertura del “Combal”, inizialmente un’umile piola consacrata a zuppe e conigli arrosto. Ma all’arrivo dei gourmet di passaggio Davide si fa prendere la mano e improvvisa piatti che sembrano arrivare da Marte. Il resto è storia (e gloria) recente: chiamato nel 2002 a dirigere il ristorante del castello di Rivoli nei pressi di Torino, Davide può proporre la sua cucina a un pubblico in grado di apprezzarla a partire dalle applicazioni del food design, fino al recente cambio di rotta che, ancora una volta, anticipa tutti liberandosi dai manierismi d’avanguardia … in attesa della prossima, imprevedibile mossa.
Emanuele Scarello, chef patron del ristorante “Agli Amici” a Udine in Friuli Venezia Giulia (info: www.agliamici.it), presidente Jeunes Restaurateurs d’Europe-Italia - 1 Michelin star
“Risotto Perfection”
Se oggi Emanuele Scarello è un cuoco capace di mettere in tavola soluzioni tra le più estrose e centrate di tutto il Triveneto, è perché nel suo ristorante “Agli Amici” appena fuori Udine è da più di un secolo e da 5 generazioni che ci si tramanda ininterrottamente un sapere che fugge dalle idee scontate. Da una decina di anni abbiamo infatti due generazioni gomito a gomito: mamma Ivonne e il figlio Emanuele in cucina, papà Tino e la figlia Michela in sala e cantina. La vera attitudine di Emanuele è quella di dare nuova forma alla cucina della sua terra (d’altronde ne conosce ogni piega): acque aromatiche, paste atipiche, arditi rispecchiamenti crudo/cotto, quelle di Emanuele sono espressioni di una cucina contemporanea che ripercorre ostinatamente i suoi passi. Nel 1999, appena dopo un anno dal debutto in cucina di Emanuele, il ristorante Agli Amici riceve una stella Michelin.
Pietro Zito, chef patron del ristorante “Antichi Sapori” a Montegrosso di Andria (Bari) in Puglia (info: www.antichisapori.biz)
“Fall for pumpkin”

Siamo nell’Alta Murgia, a Montegrosso di Andria (Bari): un villaggio semi-abbandonato ai piedi di Castel Del Monte dove la natura pervade la cucina e se ne lascia disciplinare. Un ciclo spinto fin nei minimi dettagli dai pannelli solari e dal calore dei fornelli, tesaurizzato per scaldare l’acqua al ristorante.
Le guide recitano “Osteria Antichi Sapori”, perché la cucina è senza tempo, a parte le stagioni. Di rivisitare non ci pensa proprio Pietro Zito, che si definisce allievo di nonni e genitori, ma che ha imparato soprattutto dal maestro territorio. È lui a selezionare i formaggi delle masserie e a raccogliere nei fossi le erbe spontanee; sui tavoli finiscono il meglio di burrate e caciocavalli, olive alla brace, alla cenere, alla calce e il grano arso delle orecchiette, profumatissimo derivato delle spighe dopo la mietitura, bruciate dal fuoco e tostate dal calore. Pietro Zito tratta i vegetali come il più nobile dei pesci: coltello in mano, è un’orologeria per la sua cucina espressa, resa tangibile dall’esperienza di “Orto mio”, dove il cliente può cogliere l’ortaggio da approntare, quasi fosse l’aragosta di un acquario. Oppure può “adottare” un filare di pomodori galatini, fave nere, fagiolini di Andria, da coltivare nel week-end fino alla raccolta. Una sorta di fattoria didattica che si proietta nella cucina a vista e poi sul piatto.

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