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Assemblea Cia: l’agricoltura è un asset strategico per il Paese, ma viaggia al 50% del proprio potenziale, frenata anche da falsi luoghi comuni, come l’incidenza del caporalato, il peso del “km zero” e i dati sull’imprenditoria giovanile

L’agricoltura è un asset strategico per il Paese. Basti pensare al conto dei danni provocato dall’emergenza terremoto, in pochi secondi sono andati in fumo oltre un miliardo di euro nei territori colpiti a fortissima vocazione rurale. Il settore primario si muove ancora a meno del 50% del suo potenziale ma, con poche misure ben mirate, è nelle condizioni di raddoppiare il proprio valore complessivo e garantire almeno 100.000 nuovi posti di lavoro. È la fotografia scattata dalla dall’Assemblea nazionale della Cia - Agricoltori Italiani, oggi a Roma. A penalizzare il settore anche le tante “verità nascoste” dell’agricoltura italiana, o meglio i falsi luoghi comuni che ne condizionano fortemente l’immagine. Come il tema del caporalato, fenomeno reale e odioso, ma circoscritto a pochi casi a fronte di oltre un milione di imprenditori che operano nella trasparenza, nel totale rispetto delle regole e per la qualità. Anche il tanto decantato boom del “km 0”, aggiunge la Cia, oggi genera meno dello 0,4% del fatturato complessivo mosso dal settore.

Per l’agricoltura dunque “è tempo di cambiare - dice il presidente della Cia, Dino Scanavino - un’evoluzione che deve partire dal superamento di gravi vizi strutturali del settore. A partire dal turn-over nei campi che è fermo a 5 titolari d’azienda “under 40” ogni 100 “over 65”. Del resto - osserva Scanavino - non è facile aprire un’azienda agricola se proprio il bene terra costa in media tra i 18 e i 20.000 euro per ettaro, contro i 5.500 euro della Francia e i 6.500 euro della Germania”. Altro pilastro da rimuovere, aggiunge la Cia, è quello della burocrazia. Ancora oggi un agricoltore impegna circa 90 giornate l’anno a svolgere pratiche e adempimenti di legge. Ci sono poi alti costi di produzione, che restano i più “salati”d’Europa (superiori almeno del 15% della media), e generano il fenomeno dell’indebitamento: un agricoltore italiano su tre ha pendenze da ripianare.

Ma per la Cia è anche dai macro numeri che si scopre il potenziale inespresso di agricoltura e agroalimentare italiano: 165 miliardi il valore complessivo della produzione e 38 miliardi il traguardo dell’export a fine 2016 sono buone performance, ma ancora lontane da quelle fatte registrare dagli altri competitor europei, per colpa anche dell’assenza di una strategia organica per aggredire i mercati stranieri. La cifra mossa dal nostro export è ancora bassa rispetto a un potenziale pari almeno a 70 miliardi di euro. Oltre al caporalato e al “km 0”, tra i falsi luoghi comuni che circondano l’agricoltura la Cia elenca anche il “boom”dei giovani. Difatti, dice l’organizzazione, anche se le start-up aumentano, il ricambio generazionale nei campi è ancora fermo sotto il 6% e su ogni 100 iscritti alla Facoltà di Agraria solo 2 studenti approdano alla laurea. E non è neanche vero che l’agricoltura ha un alto impatto ambientale, anzi, fornisce un contributo insostituibile alla costruzione del paesaggio e per stabilizzare e consolidare i versanti contro il rischio idrogeologico, tramite metodi colturali sostenibili mitiga l’effetto serra, produce energie rinnovabili e ha un ruolo fondamentale nell’assorbimento di anidride carbonica. Infine, conclude la Cia, è assolutamente falso che ci sia troppa chimica nell’agricoltura nazionale: l’Italia è il Paese in cui si effettuano i più rigorosi controlli sulla salubrità dei prodotti agricoli e alimentari. Inoltre è il Paese in Europa che sta convertendo più velocemente il metodo colturale da convenzionale a biologico.

Tra gli interventi dell’Assemblea Nazionale Cia, spicca quello del Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, rivolto principalmente alla dimensione europea dell’agricoltura italiana, tra Pac e accordi internazionali. “Gli accordi servono, buttare via gli accordi considerandoli figli del male assoluto è folle. I piccoli soccombono. Poi magari è importante discutere della qualità degli accordi. Da soli - spiega il Ministro - non possiamo fare tutto. Il ripiegamento esclusivo sulle politiche nazionali sarebbe un grosso danno. Sono comunque per dare battaglia perché ci si renda conto che serve una politica agricola europea più semplice che affronti temi cruciali finora trascurati”. Il riferimento è anche al famigerato Ttip, che dopo le elezioni Usa rischia di saltare definitivamente. “Non so come andranno le cose sul patto transatlantico dopo la scorsa settimana. Mi auguro - continua Martina - che si riprenda una discussione e che la si ricalibri, la si riorganizzi ma si riprenda, con l’idea che fare un accordo può essere positivo per riconoscersi reciprocamente e tutelare meglio alcune produzioni. Io - prosegue il Ministro - sono per fare gli accordi, perché senza gli accordi i deboli sono più fragili non sono più forti. Poi discutiamo della qualità di questi accordi, proviamo ad organizzare un sistema di reciprocità che l’accordo deve favorire. E un’Europa che non sa fare questo lavoro fino in fondo è destinata ad essere sempre più debole”. Chiusura sull’annosa questione dell’origine delle materie prime in etichetta, sulla quale assicura che il Governo “sta lavorando per arrivare al traguardo dell’origine obbligatoria in etichetta anche per grano e pasta, confido che nel giro di qualche giorno si possa fare un buon passo in questa direzione”.

Riparte proprio dal Ttip, e dalle elezioni Usa, che hanno visto il trionfo, inaspettato, del candidato repubblicano Donald Trump, il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti. “Credo che l’idea dei dazi commerciali - esordisce Poletti - sia una ricetta che più sbagliata non si può. Alcune ricette di Trump non sono delle buone ricette, e sicuramente non lo sono per il nostro Paese. Non ci si difende tirando su i muri, non entrano i prodotti da fuori ma poi tre secondi dopo chi è vittima del dazio mette su un dazio un po’ più alto verso i nostri prodotti. La verità - continua Poletti - è che non ci sono soluzioni facili per problemi difficili, le proposte facili nove volte su dieci risultano una balla”. Il Ministro del Lavoro, quindi, torna sul lavoro giovanile, specie in agricoltura, da favorire mettendo mano alla Riforma Fornero, e quindi, sostanzialmente, “cominciando ad aprire una prima finestra sul pensionamento. Con la legge Fornero c’è stato un innalzamento secco molto forte dell’età di pensionamento Bisogna provare a cominciare a smontare e ad aprire un po’ questo meccanismo. Non penso che se uno va in pensione automaticamente c’è un altro che va al suo posto, ma - precisa il Ministro - non accetto neanche la teoria che se 100.000 persone vanno in pensione non entri al loro posto neanche un giovane”.

Altro tema cruciale per Poletti è “costruire i meccanismi che rendono possibile questo passaggio. Noi abbiamo introdotto nella legge sulla scuola l’alternanza scuola lavoro, cioè abbiamo deciso che i ragazzi che frequentano le scuole secondarie superiori hanno l’obbligo di fare 200 ore o 400 ore direttamente nelle imprese per conoscere come è il mondo del lavoro e capire quello che vorrebbero fare. Ci vuole il grande manager ma ci vuole anche l’operaio in gamba, ci vuole il commerciale. Dire ad un ragazzo di 17 anni che non si impara solo studiando ma anche facendo è una cultura che dobbiamo riconquistare, se noi ridiamo valore a queste esperienze anche la possibilità per i giovani di fare la scelta dell’agricoltura è una possibilità più forte”.

Infine, tra le misure del Governo a sostegno del settore agricolo, “stiamo lavorando insieme ad Inail per dare un sostegno al rinnovamento del parco macchine perché sia meno rischioso e pericoloso. Il sostegno agli investimenti degli agricoltori che utilizzano tecnologie innovative, che tutelano l’ambiente e producono con maggiore efficacia ed efficienza’’ inserito in Agricoltura 4.0. Quindi - aggiunge Poletti - sosteniamo gli investimenti e cerchiamo di produrre una condizione che sul piano fiscale consenta agli agricoltori di avere un reddito adeguato al loro impegno. Credo che in termini di prospettiva l’agricoltura sia un comparto che ha tutte le condizioni per essere un pilastro dell’economia del nostro paese. L’agricoltura - conclude il Ministro del Lavoro - non è più solo allevamento e coltivazione ma è turismo, gastronomia, enologia, trasformazione di prodotti agricoli e questo ha prodotto anche un ritorno di giovani all’agricoltura”.

Altro tema all’ordine del giorno, quello della giusta remunerazione, alla base della sopravvivenza stessa delle imprese agricole del Belpaese, su cui si è concentrato l’intervento del presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia. “ È un tema difficile quello della giusta remunerazione del produttore agricolo - dice Scordamaglia - ma una cosa è certa: l’industria, e non parlo dei passaggi speculativi della filiera, non sopravvive se muore la produzione. Quindi la giusta remunerazione al produttore è un problema comune bisogna arrivare ad avere una produzione con più valore aggiunto”.

Focus - Il “Network dei Valori” della Cia

Gli agricoltori italiani indicano tra le maggiori difficoltà proprio l’eccessivo appesantimento degli obblighi normativi e la pressione della fiscalità. A cui si aggiunge un problema strutturale legato all’organizzazione commerciale del prodotto e a una distribuzione del valore non equa all’interno delle filiere. Da questa premessa prende forma il progetto della Cia - Agricoltori Italiani “Network dei Valori”, ovvero “accordi sinergici ben codificati tra l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, la logistica e gli enti locali per costruire un percorso virtuoso intorno alle produzioni agroalimentari”. L’intenzione è dare vita a “Reti d’impresa territoriali capaci di mettere in trasparenza l’intero processo che porta i prodotti agricoli e alimentari di quel luogo dal campo al consumatore. Con un codice di tracciabilità ad hoc, da apporre sul packaging dei cibi, a certificazione e garanzia del processo avvenuto all’interno di un accordo di rete”. “Il progetto è ambizioso - sottolinea il presidente della Cia Dino Scanavino - ma è una strada che bisogna percorrere perché porterebbe benefici a tutti i comparti coinvolti: non solo quello produttivo, ma anche quello della logistica e del commercio, fino ad arrivare ai consumatori“. In questo senso, continua Scanavino, “la tragedia del terremoto che ha colpito il Centro Italia può rappresentare il banco di prova per iniziare il percorso dei “Network dei Valori” proprio dai territori feriti dal sisma, per dare impulso alla ripresa delle attività economiche e sostenere la commercializzazione delle produzioni tipiche e locali”. Da una prima proiezione della fattibilità del progetto, con i “Network dei Valori” secondo la Cia si potrebbero risparmiare circa 18 miliardi di euro. “Più di 800.000 aziende agroalimentari italiane - conclude Scanavino - chiedono sostanzialmente questo: ovvero un netto abbattimento del peso burocratico, facendo leva su un sistema maggiormente fiduciario tra imprenditori e istituzioni e su reti semplici, snelle e dirette tra i vari componenti di ogni filiera”.

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