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“AUTOCTONI”: ECCO I TOP 100 D’EUROPA. I VITIGNI DEL VECCHIO CONTINENTE IN UN LIBRO VOLUTO DALL’ITALIA E UE CON ENOTECA ITALIANA ED EDITO DA GRIBAUDO

A differenza di quelli “internazionali”, i vitigni “autoctoni” capaci di adattarsi ovunque, si trovano e danno il meglio di sé soltanto in alcuni luoghi e non in altri, grazie a quel particolare microclima ed ambiente circoscritti. Ce ne sono tanti nel Vecchio Continente. Sono oltre 100: dalla Germania all’Austria, alla Francia, all’Ungheria; dal Portogallo alla Spagna, alla Grecia; dalla Slovenia alla Slovacchia, alla Repubblica Ceca; da Malta alle Canarie, alle Azzorre; dalla Corsica a Cipro, all’isola di Madeira, alla Corsica, fino all’antichissima Creta. E danno origine a vini eccellenti.
La “mappa” completa del Vigneto Europa, un inesplorato “tesoro” vitivinicolo ed enologico continentale, ora è diventata una pubblicazione: il libro si intitola “Vino é, i vitigni autoctoni d’Europa” ed è stato realizzato da Gribaudo Editore, su iniziativa di Unavini, nella campagna “Vino é”, finanziata da Italia ed Unione Europea, in collaborazione con l’Enoteca Italiana di Siena.
“Baluardi - spiega Fabio Carlesi, direttore di Enoteca Italiana - alla mondializzazione della viticoltura e all’uniformità del gusto. I vitigni autoctoni, infatti, sono un simbolo di identità e rappresentano anche un’occasione di rilancio del territorio. E, inoltre, un’opportunità per riattivare le piccole microeconomie e tutelare le diversità vitivinicole e le tante biodiversità che l’Europa custodisce”.
Il volume, vademecum utile ed unico nel suo genere, ha un ricco apparato iconografico e storico. Dalle origini della vite e del vino e le prime tracce scoperte in Asia Minore, risalenti al Paleolitico, alla diffusione della vitis vinifera in Italia, con gli Etruschi e poi i Romani, che la esportarono in Gallia (I sec. A.c.), fino alla moderna enologia del XIX e XX sec, e ai più recenti mutamenti di tendenza di mercato, sintetizzabili nello slogan ABC: Anything But Chardonnay/Cabernet. A sottolineare “l’esigenza di scoprire prodotti autentici e ben identificabili”, contro la diffusione di “vini fotocopia: tutti corposi, tutti barriccati, tutti dal colore intenso…”.
Non si tratta però di uno scontro tra “autoctoni e vitigni internazionali”, avvertono gli addetti ai lavori. Nel libro è delineato “il panorama ampelografico del Vecchio Continente” allo scopo di “conservare la memoria storico-degustativa di una società”, una scelta strategica la cui “importanza deve essere compresa e adeguatamente sorretta da parte di governi”. Salvati in più occasioni dall’estinzione (grande gelata del 1709, epidemia di fillossera nel 1865), i vitigni autoctoni d’Europa rappresentano un patrimonio unico al mondo per il quale oggi si finanziano progetti di ricerca scientifica. Il miglioramento genetico (selezione clonale, autofecondazione), assieme ad un rinnovato sistema di “menzioni” che garantisca unicità è qualità “nel Far West legislativo”, sembrano essere oggi la carta vincente per gli “autoctoni”.
Anche se il panorama è piuttosto eterogeneo. Basti pensare che tra vini a Indicazione Geografica (Igt) e a Denominazione di Origine (Doc), sono oltre 10.000 le tipologie diffuse nell’Unione Europea. Lo stesso limite massimo di altitudine di coltivazione della vite, dà forse la misura delle differenze culturali, storiche, ambientali. Un “salto” che va dai 300 metri dell’Ungheria, ai 500 metri della Svizzera, ai 1000 metri di Pirenei, Val d’Aosta e Val di Susa, fino ai 1300 metri dell’Etna e poi, sempre più in alto, nel mondo, fin sulle vette dell’Himalaya (2500 metri) e delle Ande (3500 metri).

La curiosità - “Il Plavac Mali? Chi era costui …”. La vite dell’isola Hvar, il Sangue di Ercole e il vino di Giovanni Cuor di Leone
Il Plavac Mali? E’ il più diffuso sul litorale e nelle isole della Dalmazia (Hvar). L’Airén, invece, cresce nella Mancha spagnola, che persino gli arabi consideravano un deserto. Del portoghese Boal ne scriveva con competenza Josè de Carvalho, lo scrittore gastronomo. E se il Marsanne domina nella Valle del Rodano, il Gelewaz resiste alle raffiche caldissime dello “Xlokk” tra le rocce di Malta. A latitudini non distanti, il rosso Agiorgitico cresce sui pendii collinari del Peloponneso: lo chiamano Sangue di Ercole. Mavro e Xynisteri da Cipro allietarono la mensa di Giovanni Cuor di Leone, che dopo averlo assaggiato non potè farne più a meno.
Sono questi alcuni soltanto degli oltre 100 protagonisti del volume “Vino é: Vitigni Autoctoni d’Europa”, edito da Gribaudo nella campagna “Vino è”, finanziata dall’Unione Europea e dall’Italia, in collaborazione con l’Enoteca Italiana (Siena).
Nomi, immagini, origini, storia, curiosità: il volume non ha precedenti e per la prima volta nella storia dell’editoria enologica propone un censimento dei vitigni “locali” del Vecchio Continente che danno vita a nettari tipici ed unici.
Di rara fattura grafica, agile nella consultazione, “Vino é: Vitigni Autoctoni d’Europa” è un pregiato esempio dell’iniziativa italiana nel settore che pone Unavini ed Enoteca Italiana all’avanguardia ed allo stesso tempo un importante strumento di lavoro.

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