Il biologico italiano sembra in salute. Crescono produttori e superfici certificate bio, cresce il giro d’affari, tra consumo interno ed export, e cresce la voglia dei consumatori, che sono numericamente sempre di più, e riconoscono al biologico una maggiore salubrità, per uomo e ambiente, rispetto al cibo da agricoltura convenzionale. Ma non mancano le difficoltà. Dal calo dei consumi in quantità, almeno in Italia, con la crescita in valore legata soltanto ad un’inflazione che mette sempre più in difficoltà famiglie ed imprese, alla volatilità dei prezzi, alla necessità di una comunicazione (oggi il lancio della campagna #IoParloBio, promossa dal Ministero dell’Agricoltura e realizzata da Ismea, tra web e tv, con Elio, gli influencer Revee (@sayrevee), Carlotta Ferlito (@carlyferly) e Lulù Gargari (@lulugargari), ed il conduttore tv Luca Sardella e con il claim “La salute del Pianeta passa dalla tua spesa”) che spieghi il valore aggiunto e la differenza tra prodotti da agricoltura biologica e convenzionale che, almeno su alcune commodities, spuntano invece prezzi quasi identici, al netto di un costo di produzione maggiore e rese minori per il biologico. Per questo, dopo l’approvazione della legge sull’agricoltura biologica di un anno fa, è più che mai necessario trovare la quadra e far partire il “Piano di azione nazionale per la produzione biologica e i prodotti biologico” guidato dal Ministero dell’Agricoltura, di concerto con le rappresentanze del settore, e la creazione di un marchio che abbini il bio al made in Italy, valore fortissimo quando si parla di cibo e di vino, in utto il mondo. Messaggio emerso in avvio di Sana, il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, appuntamento più importante del settore, di scena a BolognaFiere, dal 7 al 9 settembre 2023. La crescita del settore si legge nei numeri. Come quelli illustrati da Pietro Gasparri, dirigente dell’Ufficio Agricoltura Biologica del Ministero dell’Agricoltura, ha evidenziato come dal 2010 al 2022 siano cresciuti gli operatori, a quota 92.000 (con una crescita di oltre il 90%), e le superfici certificate bio, con una Sau che supera i 2,3 milioni di ettari (+111%) e vale i 18,7% della superficie nazionale in media (e tra i settori il vigneto bio è il 21,7% del totale, mentre l’incidenza più alta è nella superficie ad agrumi bio, al 31,3%, e poi dall’olivo, al 27,5%) che porta il Belpaese vicino all’obiettivo del 25% entro il 2030 fissato dal “Farm to Fork” dell’Unione Europea. Con l’Italia leader in Europa per numero di aziende agricole bio (seppur con una media di 28,4 ettari, contro i 50 della Germania, i 49 della Spagna ed i 47 della Francia), ma con una certa concentrazione territoriale, visto che il 54% delle aziende agricole è concentrata in sole 5 Regioni come Sicilia, Puglia, Calabria, Campania e Toscana.
Ma se da lato produzione i numeri sono tutti positivi, al consumo le cose, non vanno altrettanto bene, almeno in Italia, in un quadro complessivo come sottolineato da Silvia Zucconi (Nomisma). “Dai nostri dati, emerge che l’inflazione, che peraltro per il cibo è più elevata che in altri settori, intorno al +10% nell’ultimo mese, ha fatto perdere 6.700 euro di potere di acquisto procapite agli italiani. Una situazione che riguarda non solo le classi a reddito medio basso, ma anche la cosiddetta classe media, tanto che il 34% degli italiani è preoccupato per il futuro economico. Nel largo consumo le vendite della gdo, nel complesso, sono cresciute del 10,2% in valore, ma diminuite in valore del -3,3% in volume nel primo semestre 2023 (sul 2022). Ma per gli italiani il cibo rimane uno degli elementi fondanti della qualità della vite e del benessere, tanto che solo il 14% delle famiglie ha ridotto la spesa in valore, magari acquistando meno, stando più attenta alle promozioni e agli sprechi, facendo la spesa più spesso acquistando solo l’indispensabile. In questo quadro - spiega Zucconi - è rimasto stabile il numero di famiglie, 23 milioni, l’89% del totale, che consuma prodotti bio in casa, ma il biologico funziona bene anche nel fuoricasa, con il 73% dei consumatori che sceglie prodotti e vini bio anche al bar o al ristorante”. Eppure i problemi non mancano: “nel 2023, con l’anno terminate a luglio, le vendite del bio in Italia si sono attestate a 5,4 miliardi di euro, con un crescita del +9% sul dato a luglio 2022, con una crescita del +7% nei consumi domestici (che valgono 4,2 miliardi di euro), ed un incoraggiante +18% per il consumo fuori casa (che vale 1,2 miliardi di euro). Ma non è una crescita reale - spiega ancora Zucconi - perchè quella in valore è spinta solo dall’inflazione. I volumi nel complesso calano del 4%, e sono giù in tutti i canali, tranne il discount, che fa il +2%, segno che anche nel bio più che in passato c’è una ricerca di convenienza. E questa contrazione è dovuta soprattutto alla necessità di risparmiare, quindi questo è lo scenario”. Tuttavia, il biologico italiano, che è cresciuto anche nelle esportazioni (a 3,6 miliardi di euro nell’anno terminante a luglio 2023, con una crescita del +8% anno su anno, e addirittura del +203% dal 2012 ad oggi), non perde appeal, tanto che il 58% di chi lo consuma regolarmente lo vorrebbe sempre nel carrello, soprattutto per prodotti di base come su frutta, uova, e olio evo. Anche perchè il biologico, spiega ancora Nomisma, risponde perfettamente alle richieste dei consuamtori che guardano sempre più salubrità e sostenibilità, visto che chi sceglie bio lo lo fa in primis perchè lo ritiene migliore per la propria salute (27%) e perchè pensa che la produzione biologica rispetti di più l’ambiente rispetto al convenzionale. “Ma serve una comunicazione migliore, perchè il consumatore si confonde tra certificazione e claim che richiamano salute e sostenibilità ma non identificano prodotti bio, e questo può essere fattore di confusione. Serve più trasparenza, anche perchè il consumatore vuole sempre saperne di più, e vuole conoscere meglio le differenze tra convenzionale e biologico, ed in questo senso sono importantissime le campagne di informazione nei punti vendita”, ha concluso Zucconi. Altro tema che contribuisce a fare un po’ di confusione è quello della volatilità dei prezzi. Come sottolineato da Riccardo Meo (Ismea). “La volatilità dei prezzi crea difficoltà nel riconoscere il valore aggiunto del bio. Ed è legata a fenomeni accelerati dalla pandemia, ma anche dal clima che ha ridotto le produzione, dal costo dei trasporti, e anche dalla speculazione. Se guardiamo al frumento duro, per esempio, in prezzi sono in calo del 30% negli ultime mesi, tanto per il biologico che per il convenziona, con una forbice peraltro minima, visto che al bio viene riconosciuto appena l’1,5% in più rispetto al convenzionale. La dinamica di calo è la stessa anche per il frumento tenero, sebbene qui il bio spunti il 26% in più rispetto al convenzionale”. Tra i tanti casi analizzati, spicca in positivo quello dell’uva da vino (il campione di riferimento è la Sicilia, ndr): in questo caso, un quintale di uva bio è pagato in media 57 euro, il 107,7% in più dell’uva coltivata in convenzionale.
Insomma, un quadro complesso, quello del biologico, ma con tante opportunità davanti, “e da cogliere nel minor tempo possibile”, ha detto Luigi d’Eramo, Sottosegretario all’Agricoltura (con delega per l’agricoltura biologica). “Il bio - ha detto d’Eramo - è un settore strategico per qualità, lavoro, economia, e per continuare a sostenerne lo sviluppo serve un piano d’azione chiaro, concertato con le rappresentanze della filiera, che non si limiti alla gestione delle contingenze, ma sappia tracciare una visione da ora ai prossimi 30 anni, perchè solo dando prospettiva di pianificazione si mettono le imprese e gli operatori di investire. Serve una buona comunicazione, per fa capire meglio quanto sia importante il prodotto bio, anche per sostenibilità ambientale e salute, e anche per questo lanciamo oggi la campagna di comunicazione istituzionale del Ministero dell’Agricoltura in materie. Ma serve anche formazione continua degli operatori, che deve essere sostenuta anche economicamente, così come lo sviluppo del mercato. E ancora, serve sburocratizzare il settore, tema che è una priorità per il Governo”.
“Il quadro complessivo è positivo, gli agricoltori bio hanno già accettato la spinta dell’Europa verso il “Green deal”, c’è una opportunità che riguarda l’unione tra il bio ed il sistema di qualità del cibo italiano e dell’origine, e c’è una sensibilità dei cittadini che vedono nel bio una chiave per la sostenibilità ambientale. È chiaro quindi che le opportunità per il bio sono molto forti. Ma le criticità ci sono, e sono evidenti - ha commentato Mariagrazia Mammuccini, presidente Federbio e produttrice di vino, con la cantina Mannucci Droandi, nel Valdarno, in Toscana - e vanno portate alla luce. A partire dalla difficoltà sui consumi delle famiglie, che non riguarda solo il bio. Le risorse ci sono, ma servono obiettivi comuni, va tenuta insieme la crescita della produzione con quella del mercato del biologico, sennò si rischia il boomerang, e giù su alcuni prezzi abbiamo visto similitudini tra bio e convenzionale. E va riconosciuto il valore del bio per la fertilità del suolo, per il rispetto della filiera animale, e questo va comunicato ai cittadini. Serve il giusto prezzo: se accettiamo la dinamica “aumento dell’offerta - abbassamento del prezzo”, ripercorriamo gli errori del convenzionale, e quindi servono gli strumenti giusti. E poi serve il marchio “made in Italy bio”, ma anche la valorizzazione della filiera corta, dei distretti bio, che per le aziende locali sono strumenti straordinari. E chiaramente il supporto all’export. E poi dobbiamo investire tutti in ricerca, innovazione, lotta al cambiamento climatico. E investire tanto nella zootecnia biologica come alternativa allevamento intensivo che va superato, per il benessere animale e del suolo. Dobbiamo comunicare e raccontare che il bio pone al centro del sistema la funzione dell’agricoltore per il territorio”.
“La filiera va sostenuta - ha aggiunto Nicoletta Maffini, presidente Assobio - e il tema del giusto prezzo per il biologico è importante, ma ci possono essere tanti altri strumenti per sostenere i consumi. Come la revisione dell’Iva sui prodotto bio, piuttosto che la revisioni dei processi di certificazione, con costi spesso replicati, che poi si scaricano sul prodotto finale e quindi sui consumatori. E dobbiamo tenere presente che c’è ancora una fetta importante, il 7% della popolazione, che non crede al biologico, ad una produzione più rispettose della salute delle persone e dell’ambiente, e forse una migliore tracciabilità darebbe il suo contributo a convincerla del contrario. La campagna istituzionale del Ministero è importante, speriamo sia solo l’inizio”.
Un tema delicato, quello della comunicazione, come ricordato anche da Livio Proietti, Commissario Ismea: “da ricerche che abbiamo fatto, solo 1 consumatore su 3 è riuscito ad individuare il marchio biologico tra 5 marchi che gli sono stati proposti, ed è evidente che se il consumatore non conosce il marchio bio, rischia di essere vittima di suggestioni che non rispondono al biologico vero”. A tracciare la rotta per il futuro del settore sono state anche le organizzazioni agricole, come la Cia-Agricoltori Italiani e la Coldiretti. “Il momento è complicato per tutti, non solo per il bio - ha detto il presidente della Cia - Agricoltura Italiana, Cristiano Fini - e serve uno sforzo maggiore rispetto al passato per sostener l’agricoltura, va detto in modo molto chiaro. Ci sono problemi e vanno affrontati, anche nel bio, con serenità. Il piano d’azione del biologico è molto importante. È importante per rilanciare i consumi, ma dobbiamo intervenire anche sulla produzione per sostenere chi crede nel bio, che lo fa per etica, ma anche per motivazioni economiche. La comunicazione è fondamentale, tanto pensando a quella sui media, che all’educazione che deve partire da scuole e studenti, non solo portando alimenti bio nelle mense, ma anche insegnando il valore di un’agricoltura salubre e sostenibile come quella biologica. Ma serve anche la ricerca, però. E se il bio ha scelto di non seguire Tea (le tecniche di evoluzione assistita, ndr), allora servono altri strumenti, perchè se l’agricoltura non ha rendite che remunerano l’agricoltore, l’agricoltore molla, ed i primi a farlo sono i giovani. E dobbiamo affermare una distintività nel prezzo, tra bio e convenzionale, che resta fondamentale, perchè il bio ha costi più alti e rese più basse”. “Oggi abbiamo davanti una sfida - ha detto il presidente Coldiretti, Ettore Prandini - che si gioca su più fattori. Quello della comunicazione, che riguarda il biologico, ma anche il biodinamico, di cui si parla troppo poco. E più comunichiamo e facciamo informazione e facciamo cultura di prodotto, più lo posizioniamo al giusto prezzo. E a me piace parlare più che di prezzo che il consumatore paga, di redditualità di chi produce, perchè il valore non è distribuito bene lungo la filiera, dobbiamo partire dagli agricoltori. E poi noi dobbiamo puntare non solo sul biologico, ma sul “bio made in Italy”: più ci distinguiamo più abbiamo credibilità nei confronti dei consumatori d’Italia e del mondo. E sull’internazionalizzazione dobbiamo superare il sistema della Regioni: serve una regia nazionale, se dobbiamo competere con altri Paesi che fanno così. E poi c’è il tema della infrastrutture, tema per cui non possiamo perdere neanche un centesimo sul Pnrr. Per fare un esempio, il trasporto su gomma prevalente è costoso e ci penalizza, serve più trasporto su rotaia, e questo riguarda sia la remunerazione degli agricoltori, che i costi per i consumatori, che la sostenibilità. Ma non demonizziamo, però chi non fa bio: la filiera agricola italiana vince tutta insieme”.
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