Bolgheri, terra di pionieri del vino, che dal nulla hanno creato un territorio che oggi è uno dei più importanti, e terra di libertà enologica di ricercare, di inventare, di esprimere (e studiare il territorio) attraverso i tre vitigni più celebri del mondo, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, usati “a piacere”, in blend o in purezza, capaci di esprimere territorialità e tipicità. Terra in cui i tanti produttori di oggi, oltre 50, “autoctoni” o arrivati da altri territori d’Italia e del Mondo, riconosco, cosa rara nel mondo del vino, la leadership ed i meriti di chi ha inventato la Bolgheri del vino, ed i suoi padri fondatori, da Nicolò Incisa della Rocchetta con il Sassicaia, dapprima quasi in solitaria, e poi con Pier Mario Meletti Cavallari, Michele Satta, Lodovico Antinori e Piero Antinori, e sono consapevoli che ancora è poca, seppur luminosa, la strada percorsa, e che c’è una storia ancora da scrivere, fatta di continua ricerca nella qualità, nel vino come nell’accoglienza, potenzialmente ancor più diritta e lunga del meraviglioso Viale dei Cipressi, che reso immortale dai versi del Carducci (“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar, quasi in corsa giganti giovinetti mi balzarono incontro e mi guardar”), è diventato simbolo del territorio e del Consorzio. È il pensiero, in sintesi, emerso dal dibattito di oggi, a Castagneto Carducci, che ha celebrato il 25 anni della Doc di Bolgheri, arrivata nel 1994.
Un prima parte di un percorso che, come da tutti riconosciuto, è iniziato con il Sassicaia e la sua prima annata, uscita nel 1968, come vino da tavola, della Tenuta San Guido.
“La Tenuta San Guido è un brand di famiglia, di mio padre e di noi cugini - ha detto Priscilla Incisa della Rocchetta - e chiedersi se Sassicaia ha bisogno di Bolgheri, è come dire se è nato prima uovo o gallina. Sassicaia ha avuto un successo che non sarebbe quello che è senza territorio di Bolgheri. Il fatto che nonno Mario abbia avuto questa visione, questa ambizione di coltivare qui un tipo di vite diverso per fare un vino diverso da quello che si faceva all’epoca (la prima vigna la piantò nel 1944, ndr), è stata una casualità, Mario Incisa della Rocchetta, all’epoca fu anche deriso, ma era caparbio, e per fortuna ha continuato. Poi la parentela con gli Antinori ci ha aiutato a far nascere il nuovo progetto, a far diventare Sassicaia un vino per il pubblico, da vino “per la famiglia che era”, e senza territorio non sarebbe stato possibile. Tanto che e abbiamo sempre tenuto a restituire al territorio quello che ci ha dato, gran parte della nostra azienda è un rifugio faunistico. C’è una grossa sinergia con tutti i membri del Consorzio. Forse all’inizio abbiamo aiutato il territorio, ma senza il territorio - ribadisce Priscilla - non saremmo quello che siamo. E quando vado nel mondo a raccontare il Sassicaia, racconto sempre Bolgheri”.
Nel 1994 poi è arrivata la Doc, ed in “25 anni è cambiato tutto - spiega Michele Satta - Bolgheri si è inserita nel cambiamento epocale tra il vino-cibo ed il vino messaggero di uno stile di vita che viaggia nel mondo. Oggi celebriamo 25 anni di Doc, ma qui la storia è più lunga. 25 anni per il vino è come il primo dente per un bambino, siamo all’inizio, cominciamo oggi a capire i terreni, siamo alle porte di un’epoca nuova. Il vino è un prodotto che trasporta emozione, è un atto di comunicazione enorme, e noi stiamo vivendo un cambiamento epocale, ma con grande positività”.
Ma Bolgheri, forse più di altri territorio d’Italia, è il mix di grandi brand, di territorio e di Denominazione. “La storia è sempre la stessa: prima nascono le aziende, poi le denominazioni - ha spiegato Giovanni Geddes, guida di due realtà come Ornellaia e Masseto - è stato così a Bordeaux, ed in tanti altri territori. Sono le aziende e gli agricoltori che iniziano, poi le Doc nascono per dare una cornice di gestione, e per la comunicazione. Oggi con la Doc iniziamo a fare una comunicazione che come territorio ancora non è mai stata fatta. Qui ci sono opportunità enormi: ci sono vitigni conosciuti, ma danno vini diversissimi da Bordeaux, vini capaci di essere bevuti subito e con semplicità, ma anche capaci di invecchiare tanto. Il gusto del consumo mondiale, poi, è fatto con questi vitigni. Il 50% in Asia è Francia, il 95% di questo è Bordeaux, e sugli stessi vitigni sono nati i grandi vini americani degli ultimi 30 anni. La facilità di comprensione che può avere Bolgheri, grazie alla conoscenza di questi vitigni - spiega Geddes - è una grande opportunità. E poi qui può nascere una nuova “Napa Valley”, che è nata tanti anni fa con solo con un albergo, ed oggi è tra le principali mete enoturistiche del mondo, e genera un’economia incredibile. Qui si potrà fare lo stesso”.
Sull’enoturismo e l’accoglienza, per esempio ha scommesso forte la cantina Chiappini, come ha spiegato Martina Chiappini, “in un territorio eccellenti grazie alla grande eredità lasciata da chi è ventuto prima di noi”, ma grandi prospettive per il territorio, sono legate anche alla diversità dei suoi terreni. Una realtà che la famiglia Antinori, con Guado al Tasso, una delle realtà più grandi di Bolgheri, conosce bene.“Noi abbiamo terreni in zone diverse - spiega Albiera Antinori - in questi anni abbiamo sperimentato e fatto tante analisi per capire quali possono essere le varietà che si adattano meglio ad argille, sabbie, terreni diversi. C’è tanta differenza tra nord e sud, est ed ovest. È un’analisi importante, che va perseguita, perchè ci potrebbe riservare tante belle sorprese. Aver avuto un disciplinare che consente grande libertà è spirito pionieristico, è un invito a continuare a sperimentare. Le vigne qui sono giovani, ancora, ci sarà da divertirsi. Con vini sempre più tipicizzati, magari anche monovarietali, a patto si lavori sempre sulla grande e assoluta qualità.
Le celebrazioni di oggi sono importanti, in una generazione è successo un piccolo miracolo italiano, partito per caso, sviluppato senza troppi strappi e strattoni, senza obiettivi specifici, in maniera eterogenea, Bolgheri è diventata una denominazione che ha tanta strada da fare, ma che è già conosciuta in tutto il mondo. È un piccolo miracolo del made in Italy in una zona bellissima, e dobbiamo essere felice di quello che è stato fatto, grazie a tutti quanti. Non succede spesso, noi siamo in tante denominazioni, dove si perde un sacco di tempo a discutere su quello che era ed era stato, e mai sul presente e su quello che farà, quindi va fatto un brindisi ed un applauso ai vini di Bolgheri”.
Tra i tanti grandi produttori d’Italia che hanno investito a Bolgheri, c’è anche la famiglia Allegrini, nome storico della Valpolicella, che in questo fazzoletto di terra racchiuso tra le colline ed il mare, possidete Poggio al Tesoro.
“Una delle più grandi ricchezze di questo territorio è il suo grande capitale umano. Sono arrivata qui con mio fratello Walter - Racconta Marilisa Allegrini - e ci siamo innamorati di Bolgheri. Poi nel 2003 è mancato, e mi sono trovata a gestire questo sogno da sola, ma qui ho trovato persone fantastiche, e sono loro che determinano il successo nelle cose che facciamo, e a cui sono grata. Qui il paesaggio è fantastico: il Viale dei Cipressi, la via Bolgherese, i boschi … Ma non dobbiamo dare niente per scontato. Ci deve essere un rapporto pubblico-privato sempre più forte, per mantenere, l’integrità di questo territorio, che è unico. E dobbiamo fare qualcosa per i giovani, tutti noi produttori insieme, anche investendo soldi, come un’academy o un progetto simile, che insegni ai giovani le artigianalità che servono per far crescere il territorio”.
E tra i grandi nomi del vino italiano che a Bolgheri sono arrivati, più di recente, c’è Feudi di San Gregorio, cantina irpina guidata da Antonio Capaldo, con Campo alle Comete.
“Mi sono innamorato di Bolgheri, prima di tutto per la sua luce bellissima - spiega - poi per la libertà consentita dal disciplinare, dai vitigni, e poi per le persone che sono qui. Noi siamo arrivati per ultimi, e poter beneficiare del lavoro di chi ha costruito una denominazione così forte, a partire dai marchi aziendali che l’hanno reso grande, al Consorzio, è una grande opportunità”.
E se Bolgheri è un territorio legato al blend bordolese, oggi in molti puntano su vini monovarietali, come qualcuno ha fatto già da tempo, come la cantina Le Macchiole, ha raccontato Cinzia Merli.
“Nel 2011, tutti noi produttori, abbiamo deciso di cambiare disciplinare, e di inserire la possibilità di mettere sotto Doc anche vini monovarietali - ricorda Federico Zileri, presidente del consorzio e guida della Tenuta Argentiera - e anche grazie alla Regione Toscana che in questo percorso ci ha supportato, ora abbiamo tre varietà utilizzabili dallo 0 al 100%. Questa grande libertà è fondamentale: ci crediamo, e vedo un futuro roseo, perchè l’esempio di chi ha iniziato, e oggi è ai vertici nel mondo, è l’esempio per tutti noi. Bolgheri è un caso, non è strategia: è passione, impegno, lo sappiamo tutti, e dobbiamo andare avanti come ora, anche se siamo 56 e non più 7. Ringraziando anche, tra gli altri, le maestranze locali, ma anche le grandi comunità che sono sul territorio, di persone che arrivano dal Senegal e dal Marocco, senza le quali sarebbe per noi impossibile mantenere il territorio come facciamo oggi”.
Da queste consapevolezze condivise, e da queste visioni, parte dunque il domani di Bolgheri, oggi vera “wine blue chip” del vino di Toscana, unica Denominazione, dai dati visti da WineNews, tra le grandi di toscana, a vedere aumentare le proprie vendite, con un balzo del +16% nei primi 7 mesi del 2019 sul 2018, ennesimo segnale di salute di un territorio che oggi è tra i più prestigiosi del mondo, e tra i più preziosi d’Italia - dai 400.000 a 500.000 euro ad ettaro il valore di mercato stimato - ma anche tra i più coesi e dinamici.
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