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“BRANGELINA” A CHI? LʼATTORE (E VIGNERON DA DUE DECENNI) SAM NEILL A TESTA BASSA CONTRO IL LUOGO COMUNE DEL “CELEBRITY VINEMAKER”, CHE A SUO DIRE PORTEREBBE UN PREGIUDIZIO NEGATIVO VERSO LE SUE CREAZIONI NEOZELANDESI

Ha interpretato ufficiali della Marina dellʼArmata Rossa e paleontologi ammirati davanti a dinosauri clonati con la medesima bravura e inconfondibile stile: è Ufficiale dellʼOrdine dellʼImpero Britannico e vigneron da quattro lustri, e a farsi intruppare nella sempre più folta folla di star e starlette che finiscono più o meno folgorate sulla via del vigneto, Sam Neill proprio non ci sta. “Non mi piace lʼetichetta di “celebrity winemaker” e non voglio assolutamente essere associato a quella categoria”, lʼattore nordirlandese, ma neozelandese dʼadozione, ha detto nel corso di una recente intervista con “The Drinks Business”, “perché quando la gente sente parlare di vini fatti da celebrità finisce con lʼalzare gli occhi al cielo e pensare automaticamente che non sia un buon prodotto. Ma io faccio vino da ventʼanni, e con questo tipo di cose non voglio avere nulla a che fare”.

Nonostante il suo invidiabile curriculum davanti alla macchina da presa, insomma, Neill rivendica lʼorgoglio del vigneron in quanto vigneron: e a buon diritto, perché i suoi prodotti - provenienti da due singoli vigneti a Pinot Nero nella regione dellʼOtago Centrale, dai quali nascono circa 200 casse di vino ogni decennio - sono tra lʼaltro stati recentemente “adottati” da Negociants UK per essere introdotti sul mercato britannico.

“Penso che siano prezzati ad una cifra ragionevole per la qualità che offrono”, ha chiosato Neill riferendosi alle circa cinquanta Sterline che ci vogliono per portarsi a casa una delle sue bottiglie, sottolineando che “i Pinot neozelandesi spesso hanno un prezzo conveniente in rapporto alla loro qualità, a differenza dei pur meravigliosi Pinot della Borgogna” e che “non ho mai sentito né il bisogno né la voglia di fare il tipo di Pinot - succoso e fruttato - che i consumatori si aspettano da un vino di questo tipo proveniente dal Nuovo Mondo”.

Neill, tra l'altro, usa tappi a vite per i suoi vini da quindici anni, ed è convinto di non voler tornare mai più al sughero, a causa della sua rischiosità: per di più, a suo dire, “il sughero non aiuta in alcun modo il vino a invecchiare: se lascia passare lʼaria, non sta facendo il suo lavoro, e troppi tappi di sughero finiscono col contaminarsi. Dimentichiamoci per un attimo tutte le baggianate sulla retorica del suono di un tappo di sughero che viene tolto dalla bottiglia: mi piange il cuore quando devo cercare un cavatappi”.

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