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TRA DONO, PROFITTO E BELLEZZA

Brunello Cucinelli e il primo vino prodotto nella vigna di Solomeo: “un tributo alla Terra Madre”

WineNews ospite dell’imprenditore illuminato e “re del cashmere” nella presentazione, a Milano, del Rosso del Castello di Solomeo che nasce in Umbria

“Io sono affascinato dalla terra, perché vengo dalla terra e ho vissuto nella terra. E vi racconto questo: ieri c’erano dei campi arati che emanavamo un profumo affascinante, e ho detto alla mia nipotina che saremmo andati a fare una corsa sulle zolle, perché è troppo facile correre dove è pulito e quando sei in equilibrio. È questo attaccamento alla terra che mi ha spinto a produrre vino. Ho iniziato con un amico che lavorava con me, poche bottiglie: lo assaggiammo ed era buono, anche se non ci credevo. Perché io provengo dalla cultura contadina del mio babbo, che faceva il vino quasi più cattivo al mondo. Ma quando ho portato il nostro vino in tavola, tutta la mia famiglia si è accorta che qualcosa era cambiato”. Parole di Brunello Cucinelli, imprenditore “illuminato” e “re del cashmere”, nella presentazione del Rosso del Castello di Solomeo, ieri sera, in una “cena autunnale”, o “della gratitudine” come l’ha definita lui stesso, della quale WineNews è stata ospite all’Istituto dei Ciechi di Milano, con il primo vino prodotto nella bellissima vigna di Solomeo - 9.000 bottiglie di un blend bordolese da uve Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese, annata 2018 - e l’olio della nuova stagione che, invece, lo stilista produce già da tempo.
Lo ha ricordato lo stesso Cucinelli: “noi iniziammo, un po’ di anni fa, a fare l’olio, e ogni anno ci veniva così così. Mi dissero, allora, di chiamare Giovanni Batta il “re dell’olio”. Lo feci. Ma mi disse che quando avrebbe compiuto 70 anni, avrebbe smesso, e io gli chiesi se era perché aveva fatto troppi soldi. No, mi rispose, ma smetto lo stesso. E io gli dissi allora che gli avrei garantito l’acquisto di tutto l’olio in più non venduto, se lui, in cambio, avesse “educato” i nostri giovani a produrre il miglior olio. Batta è uno dei più grandi produttori di olio al mondo, che ha ricevuto tanti premi, ma non lo fa vedere. Ancora oggi, alla soglia degli 80 anni non ha ancora smesso, perché è un maestro, non può”.
Tornando dalla moda al vino, come aveva anticipato a WineNews già nel 2020, il nuovo progetto di Cucinelli, personaggio multiforme e carismatico, diviso tra la lussuosità del suo cashmere made in Italy di altissima qualità e la costante ispirazione a San Francesco, il Santo di Assisi che, figlio di ricchi mercanti di tessuti, fece della povertà, per scelta, uno dei suoi tratti fondanti, non poteva che nascere dai vigneti di Solomeo, a pochi chilometri da Perugia, nell’Umbria terra del Patrono d’Italia e di grandi vini, dove è iniziata la sua avventura imprenditoriale e oggi è il cuore della sua vita familiare, imprenditoriale e spirituale, nel nome di un nuovo “Capitalismo Umanistico”, con l’uomo e la natura al centro del modello di vita e di lavoro, di cui è un fervido sostenitore. “Io sono affascinato dalla vita monastica, lo sapete - ha detto lo stilista - e i monaci benedettini fecero queste grandi piantumazioni di ulivi che ancora abbiamo, perché l’olio è un dono. Quando abbiamo fatto la piantumazione nuova a Solomeo, abbiamo messo gli ulivi in circolo e distanti abbastanza perché si potesse vedere il panorama, cercando di curare prima la bellezza”. Allo stesso modo è disposto anche il vigneto di cinque ettari nel Parco della Bellezza, che è fatto anche di altre coltivazioni ed è tra i “sogni” realizzati dall’imprenditore e dalla sua famiglia, con la Fondazione Brunello e Federica Cucinelli, a Solomeo, trasformato, con un progetto di restauro che ha davvero pochi eguali in Italia, in “Borgo dell’Armonia”, in sintonia con la natura che lo circonda, e che racchiude luoghi che rappresentano tappe speciali di un percorso che attraversa la storia, la cultura, l’arte, la natura e i paesaggi - tra cui il Castello che dà il nome al vino - circondati dal “Bosco della Spiritualità”.
Proseguendo nel suo racconto nella cena firmata dal tristellato ristorante Da Vittorio dei fratelli Cerea ma con “menu perugino” per “amici” giornalisti ed esperti di vino ed olio, di Solomeo, investitori ed analisti - da Natalia Aspesi a Milena Gabbanelli, da Barbara Stefanelli a Luciano Ferraro, da Carlo Verdelli a Gianluca Vacchi, per citarne solo alcuni - invitati all’Istituto dei Ciechi di Milano perché è un “luogo che rappresenta spiritualità, intimità e gratitudine”, “dopo i primi esperimenti - ha ricordato Cucinelli - abbiamo deciso di fare un vino per dare dignità alla nostra terra, piantando una piccola vigna, ma come ci hanno insegnato i grandi architetti del Rinascimento, affascinante al solo vederla”. Come per l’olio, “mi dissero di rivolgermi a Riccardo Cotarella, uno degli enologi più bravi al mondo. Il primo anno avrei voluto comprare vino da etichettare. Mi disse di no, che dovevo fidarmi perché lo avremmo prodotto noi stessi. E così è stato: a quattro anni di distanza, oggi lo offriamo in questa serata di gratitudine. Perché se abbiamo prodotto questo vino è grazie anche alla quotazione in borsa, senza la quale non avremmo avuto la possibilità di fare tante cose nella nostra azienda. Sono passati 10 anni dalla quotazione, e ne siamo affascinati, perché siamo più internazionali, appetibili e penso che renda un’impresa anche più longeva. Ora con il vino faremo un po’ di soldi, non tanti. Ma se non vendiamo i pullover, l’olio e il vino non lo possiamo fare”, ha detto con ironia.
Vino che, oggi, “è un simbolo di un territorio, di un produttore, ma anche di amore ed innovazione - secondo Cotarella - perché non c’è prodotto dell’agricoltura che possa rappresentare una trasversatilità territoriale e una biodiversità come il vino. Ogni Paese ha il suo campanile, ha il suo vino, ed ha il suo amore. E questo progetto vive di questo. Il Castello di Solomeo non è stato creato per fare grandi mercati, ma come sottolineavamo anche con WineNews e il suo direttore Alessandro Regoli - ha spiegato, rivolgendosi ai presenti alla “cena autunnale” o “della gratitudine” - per dimostrare che da un territorio al quale è stato dato grande valore come ha fatto Brunello Cucinelli, è possibile “ricevere in cambio” ottimi prodotti, e viceversa. Questo vino sarà una bandiera per Solomeo e per l’Umbria, ma farà anche capire quanto un territorio può essere generoso verso chi sa conoscerlo e metterlo in condizione di produrre bene. Ha un unico difetto, è ancora giovane, e per questo invecchierà per molti anni”.
Infine, il messaggio che, in ogni occasione e come sempre, Cucinelli rivolge ai giovani, “che lavorano nelle nostre campagne affascinati dall’imparare il mestiere per il loro futuro. Ma abbiamo bisogno di ridare dignità morale al loro lavoro, e anche economica, perché chi manderebbe il proprio figlio a zappare un uliveto per 600 euro al mese? Noi stiamo provando a farlo, ora lo faremo anche con il vino”.

Focus - “Il Vino di Solomeo, un tributo alla Terra Madre”, di Brunello Cucinelli
Se mi domando perché ho scelto di produrre vino qui a Solomeo, il pensiero ritorna a qualche anno fa, quando nacque in me un desiderio, un desiderio così bello che apparve straordinario, per fascinazione, e così lo feci divenire una realtà viva senza chiedermi da dove veniva.
Solo dopo qualche tempo, quando l’edificio della cantina vegliava con amorosa cura la vigna che dolcemente con le sue anse, si estendeva verso la valle; quando germogliarono per la prima volta più numerose delle stelle le viti che i cespi di rose alla testa di ogni filare proteggono, quando le foglie autunnali iniziavano a rosseggiare e sembravano in gara contro il sole che tramonta, allora gustai il primo mosto premuto che ribolle e poi il primo vino spillato, e mentre assaporavo tutto questo con leggera serenità sotto le nobili volte della cantina, sentii dentro di me, di improvviso, come lo zampillo di una fonte nuova, un sentimento di gratitudine, prorompente gratitudine verso Gea, la Terra Madre, della quale l’umanità intera è figlia lungo tutta la sua antica storia, e capii d’un tratto da dove veniva il desiderio che mi aveva portato a quell’amabile risultato. Amo la Terra.
Sono nato in una famiglia contadina, e ho imparato ad amare la Terra madre fin dalla mia infanzia, quando giocavo insieme ai miei fratelli e ai cugini nei campi, e poi da adolescente, guidando l’aratro con i buoi ben diritti nei solchi, lodato per questo da mio padre, che in tale ordine vedeva la bellezza. Così vicino spiritualmente e fisicamente alla terra, che rivoltata dal vomere fumava contro il cielo pallido, potevo sentire il suo profumo, vedevo gemere l’humus che è vita, e capivo perfettamente perché quella terra ferace venisse adorata dagli antichi con la parola di Madre.
La Terra mi sembrava regina dell’armonia di ogni aspetto del Creato, e così della famiglia; in quei tempi non ricordo un solo giorno di tristezza. Non ho mai visto discutere i miei genitori e in casa non mancava davvero nulla di quanto realmente necessario: la tavola era ornata come quella dei re con i semplici doni della Terra, sempre nuovi secondo la stagione, e un profumo si spandeva per la casa, diverso a seconda delle ore del giorno. Tutti avevano un compito, si respirava un’aria di perfetta serenità e di reciproca dedizione. Ma sulla tavola non mancava mai il vino, consumato sempre con moderazione; era quasi un rito farne assaggiare un poco ai più piccoli, si diceva, per “farli diventare grandi”. Ai miei occhi quell’ambrosia appariva come un fattore di saggezza, perché la bevevano i grandi, che erano saggi.
Oggi, con gli anni che sono trascorsi, penso a quella gioventù spensierata, e paragono la beatitudine campestre, così amabilmente cantata da tanti antichi, alla vita attuale, confermandomi sempre di più del fatto che il perpetuo mutamento della natura non fa che confermare la sua universale indispensabilità per il genere umano. Per questo dovremmo prendere esempio dagli antichi e migliorare il nostro rapporto con il Creato. Produrre un buon vino è un amabile modo di farlo, perché rispetto all’aspirazione alla qualità di cui siamo orgogliosi a Solomeo e significa essere grati alla Magna Mater, riconoscere che, come diceva Senofane, dalla Terra tutto deriva.
Il vino Castello di Solomeo è prodotto in 9.000 bottiglie all’anno, da una piccola vigna che si estende per circa 5 ettari. Le sue uve sono Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, da cui nasce il prestigioso blend bordolese, a cui viene aggiunto il vitigno Sangiovese come tributo alla cultura e alla tradizione vitivinicola del Centro Italia. Da questa unione nasce un vino strutturato e al tempo stesso ricco di morbidezza e di quella leggera fascinazione che fu all’origine del suo desiderio. Il frutto della vite, insieme all’olio, il quale produco da diversi anni, è un simbolo primordiale della Terra che ci viene donato dai tempi più remoti. Il vino di Solomeo lo immagino come un atto di sacralità filiale verso la Terra, alla quale mi ispiro in ogni scelta, nella vita, nel lavoro, nel paesaggio incantato.
In un antico inno greco, a Gea madre di tutti i viventi, la dea è invocata così: “Gea io canterò, la madre universale, antichissima, che nutre tutti gli esseri, quanti vivono sulla terra; quanti camminano, quanti sono nel mare e quanti volano, tutti si nutrono dell’abbondanza che tu concedi. Grazie a te gli uomini sono fecondi di figli e ricchi di messi”.
Mi sembra già di veder sorgere un futuro radioso dove l’alta tecnologia, in armonia con la biologia, sarà sempre di più uno strumento prezioso per l’umanità, consapevole dei grandi simboli, dei grandi ideali, dei valori congeniti della specie umana. Il vino è tra questi valori uno dei più nobili, genitore di quella Sapienza di cui fu padre Dioniso, e che regolata da Apollo secondo quanto ci racconta Nietzsche, è la forma più umana e completa di conoscenza.

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