“Il futuro del Brunello di Montalcino, che ha una storia relativamente giovane, passa dalla zonazione che deve essere fatta, per non rimanere indietro rispetto ad altri grandi territori d’Italia e del mondo, dall’educazione va fatta alle diversità tra zona e zona che però il mondo degli appassionati vuole conoscere, e dal sempre maggiore investimento su “single vineyards” e “cru”, che è solo agli inizi”: parola di Monica Larner, responsabile dall’Italia per “ The Wine Advocate” di Robert Parker, la rivista più autorevole ed influente del mondo del vino, dal palco di “Benvenuto Brunello 2017”, dove sono state anche assegnate ufficialmente le “5 stelle” (come anticipato da rumors di WineNews) alla vendemmia 2016, sancite dalla piastrella celebrativa firmata dalla Guida Michelin.
Un Brunello di Montalcino che vola nel mondo (il 70% finisce all’estero, il 30% negli Stati Uniti), e che, secondo la Larner, con l’annata 2010, celebrata nel mondo (e con la quale “The Wine Advocate” ha assegnato per la prima volta i 100/100 al grande rosso toscano, con il Tenuta Nuova di Casanova di Neri, il Madonna delle Grazie de Il Marroneto e con il Pian dell’Orino, che esce sul mercato un anno dopo il normale, ndr), “ha segnato un passaggio importante, anche dal punto di vista simbolico, iniziando di fatto un nuovo capitolo dopo qualche anno difficile e dopo la scomparsa di un personaggio come Franco Biondi Santi (per anni alla guida della cantina dove è nato il Brunello di Montalcino nell’Ottocento, la Tenuta Greppo, ndr), un percorso che ad un nuovo inizio, con una qualità ormai conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, e anche tanti produttori giovani. Ma di certo il Brunello di Montalcino non è un vino semplice, va spiegato, va raccontato agli appassionati il perchè di queste grandi e uniche acidità, di queste caratteristiche peculiari che qui esprime il Sangiovese, e anche per questo si deve arrivare davvero ad una zonazione. Anche perchè poi, quello che conta di più almeno per il nostro approccio a “The Wine Advocate”, è raccontare e valutare quello che si esprime nel calice”.
“ È proprio così, il futuro sta nello scoprire e nel raccontare le diversità del territorio di Montalcino - ha aggiunto il celebre sommelier e “soldato del vino”, come ama definirsi, Charlie Arturaola - le diversità sono tante, a seconda dei diversi versanti di Montalcino e non solo, e gli appassionati, soprattutto in America, le voglio conoscere, ed è bello che ci siano sempre più voci, anche giovani, che lo raccontano”.
Certo, quello del racconto del vino è uno dei temi più delicati, come ha spiegato Gioacchino Bonsignore del Tg5, dove cura la storica rubrica “Gusto”, stimolato dal Luciano Ferraro del Corriere della Sera: “in tv si parla poco di vino, e molto di cucina. Sicuramente l’impatto della cucina è stato enorme, e le ragioni sono tante. La cucina si racconta bene attraverso un mezzo caldo che entra nelle cucine delle case degli italiani, è un “focolare catodico”, e poi c’è anche una ragione tecnica, la cucina in tv costa pochissimo: per raccontare una ricetta semplice come una frittata di cipolle, che magari fa poi milioni di visualizzazioni anche su internet, bastano 6 uova, un chilo di cipolle e una signora brava a raccontare come si fa.
Per il vino è diverso - spiega Bonsignore - è percepito come qualcosa ancora di “pericoloso”, qualcosa che ha una grande popolarità tra gli addetti ai lavori, ma che non ha lo stesso impatto positivo della cucina, tra le famiglie. A raccontare il vino ci sono reticenze, si può parlare di territori, di vitigni, ma parlare di etichette, per esempio, è sempre percepito come pubblicità, ma è una ipocrisia. La tv è piena di marchi, pensiamo alle auto, o alla moda: non c’è nessuna remora a parlare delle marche, mentre nel vino non è così. Ma è un ragionamento miope. Servirebbe, però, anche una azione dei territori, ma anche dei produttori e dei marchi più importanti per farsi sentire di più da questi interlocutori. Anche perchè il vino è portatore di valori fondanti dell’umanità, del modo di stare al mondo, del rapporto tra le persone. Si potrebbe fare un grandissimo lavoro, perchè chi produce vino, in realtà, fa molto altro. Se dovessi raccontare il Brunello e Montalcino, per esempio, racconterei uno stile di vita, un modello culturale: dobbiamo pensare che qui sessantanni fa c’era una agricoltura difficile, su una terra difficile, oggi è un territorio trasformato completamente, è una comunità trasformata dal mondo di vedere la campagna e dal suo Brunello, ma anche dalla capacità di stare insieme”.
E di essere terra in cui gli “indigeni” e gli stranieri vivono fianco a fianco da sempre, come testimoniano anche i tanti investimenti che negli anni sono arrivati sul territori dall’estero.
“È una cosa che è sempre successa, pensiamo a più di 30 anni fa quanto è arrivata la famiglia Mariani creando Banfi, che è l’azienda più grande di Montalcino, e che ha dato una visibilità internazionale enorme al Brunello e al territorio, e questo gli va riconosciuto. Anche perchè all’epoca le aziende medio-piccole che c’erano non erano strutturate per affrontare i mercati come magari lo sono oggi”, ha sottolineato il presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Patrizio Cencioni.
In ogni caso, il grande vino nasce dalla grande passione di chi lo produce, così come succede per l’alta cucina. Ed è anche lungo questo filo più che mai rosso, che è nata l’idea e la collaborazione tra Consorzio del Brunello e la Guida Michelin Italia, che ha firmato la piastrella della vendemmia 2016. In un territorio, però, dove la grande ristorazione stellata è assente.
“Qui si mangia bene, ci sono prodotti di alta qualità - ha spiegato il responsabile comunicazione di Michelin Italia Marco Do - ma per avere un grande ristorante stellato, perchè no un 3 stelle, che acquista subito visibilità internazionale, servono investimenti. E si può fare in due modi: o si ha la fortuna di avere uno chef del luogo che ha grande passioni, grandi competenze e sviluppa un percorso che poi porta a certi risultati, o si investe e ci si porta una persona con queste grandi competenze, e gli si mette a disposizione tutto il possibile. E il luogo, l’attrattiva del territorio, conta fino ad un certo punto: pensiamo a Castel di Sangro, che è fuori da qualsiasi rotta turistica, ma dove Niko Romito con il suo ristorante Reale ha raggiunto le “tre stelle”. D’altra parte - ha aggiutno Marco Do - gli studi dicono che l’indotto di chi viaggia per ristoranti di alta qualità è di 280 milioni di euro, conti del ristorante esclusi, di cui 200 milioni portati da chi arriva dall’estero. E quindi avere un ristorazione con 2-3 stelle Michelin, per esempio, porta sul territorio una visibilità e un grande indotto. Abbiamo accettato con molto entusiasmo l’invito fattoci dal Consorzio del Brunello perché crediamo che ci sia un forte legame tra i nostri due brand. La missione di entrambi è quella di garantire sempre e comunque il massimo della qualità perché la credibilità e la reputazione passano proprio dalla capacità di essere trasparenti e rigorosi adottando criteri e comportamenti condivisi e riconosciuti in tutto il mondo. Lo stesso vale per le partnership ed i progetti editoriali che portiamo avanti. Lo vogliono i nostri lettori, lo vogliono i wine lovers e gli appassionati. Non è un caso che da oltre 60 anni Michelin sia il riferimento assoluto per l’enogastronomia mondiale, e lo stesso valga per il Brunello che è uno dei brandi italiani più conosciuti a livello internazionale”.
E sono stati assegnati anche i Premi Leccio d’Oro, che hanno l’obiettivo di selezionare e premiare ristoranti ed enoteche con la miglior carta o lista dei vini o comunque con una gamma ampia, ricercata e rappresentativa del Brunello e dei vini di Montalcino. Che in questa edizione sono andati
ai ristoranti Del Cambio di Torino guidato da Matteo Baronetto (1 stella Michelin) e all’Era Ora di Copenhagen dalla famiglia Milleri (1 stella Michelin), mentre per le enoteche invece il riconoscimento è andato a N’ Ombra de Vin di Milano e Litteri di Washington Dc, storica enoteca aperta negli anni 30 del Novecento dalla famiglia Litteri. E come impone l’anima del Brunello, tra locale e globale, sono state premiate anche due realtà del territorio, l’enotca Bruno Dalmazio ed il ristorante Il Giglio.
Premi selezionati da una giuria formata dalle new entry Enzo Vizzari, giornalista e critico enogastronomico, direttore dell’Area Guide del Gruppo Editoriale L’Espresso, Luca Martini, miglior sommelier del mondo nel 2013 secondo la Wsa (Worldwide sommelier association) e fondatore di Sommelier Consulting che opera anche nel mondo della ristorazione, e Charlie Arturaola, sommelier e critico enogastronomico di rilevo internazionale, protagonista del film the Duel of Wine, uscito nel 2016 nelle sale italiane, che si sono uniti al Presidente del Consorzio Patrizio Cencioni , aai componenti del Comitato di presidenza composto da Andrea Machetti, Tommaso Cortonesi e Riccardo Talenti, e agli esperti Allan Bay, illustre giornalista nel settore enogastronomico e collaboratore del “Corriere della Sera” per cui cura la rubrica “Vivi Milano”, all’enogastronoma e scrittrice di libri sul cibo per il mercato Usa Faith Willinger, al Presidente dell’Associazione Italiana Sommelier (Aisa) Antonello Maietta, e al presidente del Gruppo del Gusto della Stampa Estera in Italia Alfredo Tesio.
Focus - La vendemmia 2016 del Brunello di Montalcino, annata a “5 stelle”
Dopo le “5 stelle” per la vendemmia 2015, il massimo del punteggio possibile è stato assegnato anche alla vendemmia 2016.
“Siamo soddisfatti del risultato ottenuto e lo dobbiamo senza dubbio al saper fare dei nostri produttori - commenta il Presidente del Consorzio Patrizio Cencioni - dopo una primavera piovosa, l’autunno è stato caratterizzato da molto caldo di giorno e fresco di notte, un’escursione che ha reso le uve particolarmente ricche di acidità, colore e profumi. Ci aspettiamo grandi cose da quest’annata”.
A confermare il giudizio del Presidente del Consorzio anche i commenti degli enologi che sono stati
chiamati a valutare la vendemmia 2016.
Tra questi Paolo Vagaggini, enologo di fama nazionale e uno dei massimi esperti mondiali di Sangiovese, che ha detto: “l’annata ha sviluppato profumi franchi, netti, fragranti, una spalla acida forte che è garanzia di un lungo invecchiamento e un colore intenso e vivace. Queste caratteristiche sono evidenti nonostante la stagione non sia iniziata benissimo, ma il Sangiovese è un vitigno capace di reagire molto bene ai cambiamenti stagionali e ha portato a suo favore fattori che non erano del tutto positivi. Ci aspettiamo vini stilisticamente moderni”.
Per Carlo Ferrini “la vendemmia 2016 è stata perfetta, una delle più belle degli ultimi anni. A maggio e giugno il clima è stato freso, con una buona piovosità, mentre in estate il caldo è stato equilibrato, non eccessivo. Credo che questa vendemmia non sia molto distante dai risultati strepitosi raggiunti nel 2010 e nel 2015. E sarà interessante vedere il confronto da questa accoppiata a “5 stelle”, 2015-2016, e un’altra recente, la 2007-2008”.
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