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Cambiamento, formazione, identità, ma anche saper dire di no: l’enoturismo secondo il Barolo

Una visione sul futuro del turismo nelle Langhe, da un seminario promosso dalla Strada del Barolo. “Il racconto del vino deve essere all’altezza”
BAROLO, ENOTURISMO, LANGHE ROERO E MONFERRATO, STRADA DEL BAROLO E GRANDI VINI DI LANGA, Italia
L’enoturismo nelle Langhe secondo il Barolo

Distretto n. 1 in Italia per valore esportato, terra di eccellenze enologiche invidiate in tutto il mondo, Barolo e Barbaresco in primis, e di bellezze uniche tanto da entrare, nel 2014, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco, con l’inserimento dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato, le Langhe, fiore all’occhiello del Piemonte, si legano indissolubilmente al vino trovando un “alleato” nell’altro “capolavoro” frutto della terra, il tartufo, a cui è dedicata la “Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba”, nella capitale del territorio, evento ormai prossimo al secolo di vita e che da territoriale è diventato globale. Tutti aspetti che hanno contribuito a far decollare il turismo, con un vero e proprio boom a tre cifre, un risultato importante e che ha generato ricadute positive, ma anche riflessioni, tanto che le Langhe sono state tra i primi territori ad interrogarsi sul futuro di questo fenomeno. E, quindi, nella ricerca di un equilibrio che abbracci il mantenimento della propria identità, data dai protagonisti di questa terra, il vero valore aggiunto, e l’apertura verso il mondo esterno, anche perché il turismo è una voce fondamentale nell’economia territoriale. Si tratta di equilibri non semplici da trovare, soprattutto in un mondo che cambia velocemente, e che interessano anche molti altri territori del vino caratterizzati da piccoli centri e dalle loro comunità.
Di come “Tenere la barra dritta. Ovvero come continuare a garantire un alto posizionamento del turismo nell’area del Barolo” si è parlato in un seminario promosso dalla Strada del Barolo e dei Grandi Vini di Langa, nei giorni scorsi all’Enoteca Regionale del Barolo, a Barolo, per fare il punto sullo stato attuale del turismo nel territorio, tenendo conto sia delle trasformazioni in atto nei comportamenti e nelle aspettative dei visitatori, sia delle dinamiche legate allo sviluppo turistico e alla sua sostenibilità. Un’area che registra da tempo flussi turistici in grado di generare ricadute economiche significative, al punto da aver reso il turismo un settore strategico per lo sviluppo del territorio con i dati attuali che evidenziando, non a caso, come la spesa media pro capite dei turisti è stimata intorno ai 250 euro al giorno contro una media nazionale attorno ai 120 euro. Lo sviluppo turistico degli ultimi decenni, si afferma, è stato in gran parte spontaneo, non pianificato, frutto di intuizioni e opportunità colte sul momento. Oggi, però, è necessaria una riflessione su una strategia chiara e condivisa che coinvolga il pubblico e il privato, basata su obiettivi comuni e su regole condivise. Ma ci sono anche dei cambiamenti da tenere in considerazione perché, ha evidenziato la Strada del Barolo, se negli anni passati, circa il 90% dei visitatori erano autentici appassionati di vino, spesso esperti, curiosi e desiderosi di vivere esperienze enogastronomiche di alto livello, oggi assistiamo all’arrivo di nuove fasce di pubblico: persone meno interessate al vino, ma attratte da altre componenti del nostro territorio, come i paesaggi, le attività outdoor, la bicicletta, i percorsi naturalistici o culturali. Oppure coppie che scelgono di soggiornare in appartamenti dotati di cucina, preferendo fare la spesa in autonomia e consumare i pasti nella propria struttura (spesso di altissimo livello), evitando così hotel e ristoranti ogni sera. Si tratta di un cambiamento che pone interrogativi, ma rappresenta anche una nuova realtà a cui dobbiamo saper rispondere.
Tanti gli spunti emersi dai tavoli di lavoro e che, ovviamente, hanno interessato il mondo del vino e le cantine, in particolare sul ruolo che queste hanno nello sviluppo enoturistico. Fondamentale è fare squadra, e, sull’idea del “turista che vogliamo”, si registra che non si intende fare una banale selezione sulla base della capacità di spesa, anche perché spesso, ad esempio, i giovani che oggi non possono permettersi di acquistare vini molto cari magari in futuro lo faranno. Il turista che vogliamo è colui che rispetta il nostro fragile territorio, è curioso della nostra storia, della nostra identità e dei nostri valori, ha voglia di aumentare la propria cultura del vino e di conoscere il territorio che lo produce. Questa scelta valoriale è alla base del posizionamento alto e consapevole che desideriamo, dove la sostenibilità dell’esperienza viene prima della quantità o del ritorno immediato.
Un aspetto a cui viene data particolare risonanza è la necessità della formazione del personale e questo perché non sempre i turisti hanno l’opportunità di entrare in contatto con i titolari delle cantine, spesso impegnati nelle attività produttive. L’accoglienza è dunque affidata al personale, rendendo il tema della formazione cruciale. Chi si occupa dell’accoglienza deve essere all’altezza del ruolo: saper trasmettere la storia e i valori dell’azienda, e gestire l’esperienza con competenza. Le cantine, che hanno anche una “funzione educativa”, sono quelle a cui spetta il delicato compito del “racconto del vino” che deve essere all’altezza di un prodotto, come il Barolo, che è tra i rossi più prestigiosi al mondo.
Ma c’è anche bisogno di “dire no” e quindi di tenere conto dei limiti riguardanti il numero massimo di persone che giornalmente visitano una cantina (ma anche per singola visita), tenendo presente che non tutte le cantine possono o devono accogliere grandi gruppi. Viene anche suggerito di fare attenzione alla quantità di vini in degustazione perché offrire troppi vini in un’unica visita crea confusione e non è vincente, senza dimenticare quelle che sono state definite come “richieste fuori contesto”. Perché le cantine sono luoghi di produzione agricola: non sono ristoranti e non sono spazi in cui organizzare addii al nubilato/celibato, apericena, eventi serali o feste private. Definire questi limiti non significa escludere, ma tutelare la qualità dell’esperienza e l’identità dell’azienda. Significa anche rifiutare la logica che “si deve crescere all’infinito” governando i limiti nel rispetto del contesto e delle proprie fragilità.
La convinzione è che il futuro del territorio non è nel segmento lusso, ma in una fascia “premium”, fondata su autenticità, qualità e identità forte perché la vera unicità del territorio non sta tanto nei prodotti o nei paesaggi (comuni ad altri contesti competitivi), ma nel modo in cui le persone vivono, accolgono e raccontano quel territorio.

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